giovedì 28 ottobre 2021

MARIA RIZZI LEGGE: "LUNAMAJELLA" DI GIAN PIERO STEFANONI

Maria Rizzi su “Lunamajella” di Gian Piero Stefanoni , Confine editore

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

Gian Piero Stefanoni, in quest’Opera dal titolo magico, “Lunamajella”, editore Cofine, che la prefatrice Anna Maria Curci racconta proprio con la levità dell’incantesimo, oltre che con la professionalità dell’eccellente esegeta, asserendo che “lunamajella è una parola che raccorda la lontananza con la prossimità, il cielo e la terra, la spiritualità (“globo sospeso”) con la fisicità (“che quasi ci tocca”)”, non narra della terra natia, ma per adottare ancora le parole della Curci  “(di una determinata area del teatino divenuta per il poeta paese dell’anima e della terra del cuore) che si va manifestando come madre terra, come un universo nel quale geografia e sonorità concorrono a ri –nominare e a ri-fondare”. In effetti se si è capaci di mettere radici nella terra, si saprà anche ergersi alti nel cielo, e divenire talee del mondo visibile così da poter raggiungere l’invisibile. Stefanoni è proteso verso una seconda patria, che ruota intorno alla Montagna Madre, come in Abruzzo tutti la conoscono, piena in ogni sua parte dei segni della presenza umana dai tempi più antichi. Un luogo privilegiato di ritualità, di rifugi per officiare culti e cerimonie religiose, la Majella ha da sempre suscitato la ricerca del contatto con la divinità. Lo confermano la presenza di grotte sacre, di chiesette, di eremi… Per gli abruzzesi la montagna è la Madre, la personificazione della crescita delle cose viventi, della fertilità della terra. Nell’Opera l’Autore si illumina e si arricchisce di un dire poetico appartenente a una lunga tradizione di italiano e di dialetto, correda le pagine di versi di illustri abruzzesi come Tito Verratti, Vittorio Clemente e si avvale per le traduzioni in abruzzese di Mario D’Arcangelo. Di Verratti è quella che la Curci definisce in modo superbo ‘perla in epigrafe’: “Sbrane e turmente l’alme, triste core, / l’alme ch’è tormentate nen si more”. La prima lirica è dedicata a uno dei paesi più famosi della zona, Pennadomo, chiamata dagli abitanti di Chieti semplicemente Penna. “Ciaffòssene le stelle, / quacche mbrije a lu spettà, /aunìte a le Sante ce’ncavéme a le rocce” – “Ci incavano stelle, vaghe ombre in attesa, / preghiamo con i Santi / allungati alle rocce”. E già dalla soavità di questi versi si evince l’importanza di custodire il dialetto, che costruisce mondi ed è, quindi, più che una lingua, una visione.  Oltre che alla Montagna Madre e a Pennadomo, nella Silloge sono contenute liriche dedicate ad altri paesi come Lama dei Peligni, San Martino, Marina di Torino di Sangro, Fara.  Lunamajella rappresenta l’astro intorno al quale si srotola la vena dell’Autore. Le dedica otto liriche e Pennadomo la segue a ruota libera con ben sette poesie. Stefanoni rivela il suo rapporto empatico con la natura di questa zona. “Giacché / anche tu cerchi sbocco / nell’autunno di viole / che di noi non si scorda -/un azzurro, un giallo / e un rosso per chi resta / ora che le anime / come uccelli si lanciano - / più non si guardano torve - / verdi in un lago verde di monti / dentro quel cielo / che mai vuole perderci”- (Lunamajella VII) – tradotta in abruzzese da Mario D’Arcangelo. E dei luoghi si coglie il misticismo e il carattere selvaggio dei monti, delle colline e del mare. La protagonista del libro, la Montagna che le dà il titolo, è paragonabile a una delle grandi cattedrali della terra, con i suoi portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle. Gian Piero Stefanoni con il suo spirito entra negli alberi, nel parato, nei fiori, nelle onde. Lunamajella è per lui un sentimento. Leggendo questa Silloge di incantesimi e insegnamenti ho ripensato a una frase di Ennio Flaiano: “Tra i dati positivi della mia eredità abruzzese metto anche la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo è ancora ‘nu cristiane’), la benevolenza”. Questa eredità il nostro Poeta sembra possederla tutta. Dai suoi versi traspare la tenerezza e la modestia di fronte a tutte le bellezze della zona. Il Poeta ci convince che i dialetti devono essere eterni: Gesù parlava in dialetto, Dante scriveva in dialetto e, probabilmente, il Padreterno nel cielo, si esprime in dialetto.  

Maria Rizzi

 

 

 

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2 commenti:

  1. Un grande abbraccio e grazie di cuore alla dolcissima Maria per la bontà di questa esatta lettura del mio mondo nel magico della Majella e grazie al caro Nazario per la sua risonanza su Leucade. Grazie!

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  2. Gian Piero mio, non so più quante volte hai ringraziato e ti ripeto, in questa illustre sede, che è stata pura gioia leggere la tua magia. Ringrazio il nostro Nume Tutelare che accoglie tutte le istanze e vi stringo al cuore entrambi!

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