domenica 16 gennaio 2022

CARMEN MOSCARIELLO LEGGE: "LA MIA CANTORIA" DI G. IULIANO


Carmen Moscariello,
collaboratrice di Lèucade

La mia cantorìa di Giuseppe Iuliano.

Letto da Carmen Moscariello

La chiave nel pozzo e il Pozzo Gerardinello

Leggere non è solo capire. Certi  libri che raccontano la vita sono capaci di muovere nel lettore scandagli, fare affiorare cose seppellite dal tempo, alle quali allora  quando accaddero nemmeno si diede troppa importanza.

 Peppino Iuliano mi ha inviato la sua ultima raccolta poetica “La mia cantoria” , un titolo che ti sorprende e ti fa pensare.  Prima di approfondire la lettura ho  creduto che fosse una preghiera per quei luoghi irpini massacrati dai terremoti o semplicemente che fosse un canto barocco utile a comprendere a fondo questa amara realtà.

Tutt’altro.

Anche se l’autore rispecchia nella sua scansione dei versi certa struttura di musica barocca: Preludio, fuga, sermone, concerto grosso, cantata, opera seria, oratorio, melodramma,  seconda e ultima cantata, solo formalmente si rifà a un “a solo barocco”.

Poi la lettura quando ha iniziato  a toccare il mio cuore- le comuni radici non mentono e non sono acqua- mi ha fatto ricordare  della cantoria di Santa Maria di Conza, più esattamente di Sant’Andrea di Conza. Ce ne parlò tanto tempo fa nell’Istituto Francesco De Sanctis di Lacedonia il nostro Professore di Religione Don Domenico Spatuzzi, per spiegarci il motivo per il quale il popolo lacedoniese adorasse  San Gerardo, qui le cantate del popolo in onore del Santo risanano le ferite e profumano della neve di quei monti. Ci raccontò che il vescovo di Lacedonia Claudio Albini (1736-1744), due giorni dopo la visita di  San Lorenzo dei Liguori si recò a Conza, con il suo fidato collaboratore Gerardino da Maiella, nato a Muro Lucano, (il Santo che   rimase accanto al Vescovo a Lacedonia fino alla sua morte e al quale si deve il miracolo della chiave nel Pozzo)Il viaggio aveva come finalità di fermarsi  al monastero dei Frati Riformati di Conza per rendere omaggio a San Lorenzo dei Liguori. Al convento dei frati era legata un’umile chiesa frequentata dal popolo cristiano e che  i canti che si elevavano in preghiera al Signore e alla Madonna erano di straordinaria magnificenza. Il mio Professore  ci raccontava anche di una schola cantorum , unica nell’Irpinia a quei tempi, a questa  Cantoria (1610) si accedeva con una scala di legno ed era situata sopra  il pronao. Con dolore chiudeva la sua lezione dicendoci che dopo la venuta dei Piemontesi il convento e la chiesa erano stati sottratti ai monaci e  venduti a dei privati e che ormai tutto era andato perduto. Io in quell’occasione appresi per la prima volta che cosa era una cantoria. Non so se nella cattedrale di Nusco, il luogo in cui vive il poeta, ci sia una cantoria, mi sembra di ricordare che nel convento di Folloni a Montella, distante solo  pochi chilometri, sia presente nella chiesa  una cantoria, il convento tutt’oggi è abitato dai  francescani. Qui  si elevano alla Madonna canti meravigliosi, come pure a Gesù bambino tutt’ora vividi nel mio cuore, con il ricordo della visita all’immenso presepio che i frati preparavano per i devoti a Natale e che durava anche oltre la festa.(in questo luogo era passato San Francesco e a lui si deve la fondazione del convento (1222)).

Vi racconto tutto questo perché Il libro di Peppino Iuliano è costruito tra i pilastri lignei di una cantoria che non è certo quella di Donatello a Santa Maria del Fiore  a Firenze. E’ traballante, ha scalinate di legno, con perni che non reggono il dolore di quelle terre. I versi  di Iuliano sono una preghiera cristiana per gli umili della terra che non sanno come sottrarsi a quelle radici velenose e alle  innervature ghiacciate di quei boschi selvatici (Folloni) un tempo devastati dai lupi e dai briganti, ora dalla fame dei più poveri:

 

E’ di legno questa piccola croce

che riempie il vuoto di porta

come estrema frontiera.

Nessuna fede o pietà

vale la morte nel cuore

Ultima partenza dalla casa/paese

Matria/ patria, culla malvagia.

Ha chiodi di rabbia e ruggine

il sepolcro di memorie

Giuramento e bestemmia

alla malasorte che dura e insegue

la vita come anima dannata.

Morte al Sud, genie fisse o migranti,

ventri mai sazi, scosse di vera miseria

Fuga cosciente, rifiuto di quest’inferno .

 Né la poesia attutisce il  dolore, né  si attenua la  ribellione alla povertà. Alle sofferenze risponde  con parole dure  che  sembrano pietre. E’ l’ennesima denunzia del poeta contro chi è stato troppo distratto, troppo preso dal suo tornaconto. Non è nuovo Peppino a questa fiera presa di coscienza, che negli ultimi anni è divenuta sempre più caustica, più insofferente, più ribelle. L’interessante prefazione di Paolo Ruffilli mette fortemente l’accento sull’impegno civile del poeta, cosa sempre presente nei suoi versi.

 Io amo questo tipo di poesia che dalla storia della vita di un singolo, diviene storia sociale, dolore universale, ribellione di popoli.

Questa è poesia.

 E’ il  pane quotidiano per gli affamati di giustizia.

Carmen Moscariello


La mia cantoria (a solo barocco) di Giuseppe Iuliano

Prefazione di Paolo Ruffilli

Note  nel piego di copertina di Francesca Romana De’Angelis e di Paolo Saggese

Delta3 Edizioni.

Nessun commento:

Posta un commento