INTERVISTA AL POETA NAZARIO PARDINI
SULLA SILLOGE DICOTOMIE:
THE WRITER EDIZIONI, MILANO, 2013
A CURA DI MIRIAM
LUIGIA BINDA
Questo mio breve messaggio per ottenere qualche risposta sull’ultima sua pubblicazione
di poesie, dal titolo: Dicotomie.
Tre brevi domande che ritengo utili ai lettori per capire gli intenti
di questo suo nuovo libro.
Miriam
Luigia Binda
M. L. B. Questa silloge e' una nuova raccolta di poesie che si
presenta come un Inno al sentimento.
Ogni parola è suono evocativo di immagini passate che si legano alla forza ritmica-sublimata
della parola "amore". Perché, nonostante vi sia una
continuità tra le immagini del passato e quelle del presente, piena di
sentimenti positivi nei confronti della natura e l'ambiente familiare, Lei ha
scelto come titolo alla Sua silloge Dicotomie.
N. P. Il significato intrinseco del testo, quello alla cui resa
contribuisce gran parte delle poesie, quello che – è vero – si slancia non di
rado in voli di sapore azzurro, e che fa dell’amore il piedistallo su cui
costruire il senso della vita e del suo mistero, è già contenuto ed
emblematicamente rappresentato nell’immagine della copertina. Uomini armati di violenza primitiva si scagliano
contro una preda che non ha scampo. E dove la dicotomia? Nel fatto che non di
rado si salvano animali trovati in difficoltà, menomati. Si curano, per ridarli
al volo o al bosco. Per poi ucciderli?
Passò del tempo e proprio in quel paese
si organizzò una caccia:
tre cani inferociti lo stanarono,
lo portarono agli uomini, a coloro
che l’ebbero salvato. Canne in mano,
puntarono la preda,
spararono precisi,
morì ammazzato
E chi dice che non sia uno di quegli animali salvato ad essere ucciso? Magari dagli stessi uomini che ebbero pietà.
Un’altra evidente dicotomia nasce dal riaffiorare di una emozione giovanile,
di antica primavera, che, poi, ha assunto, anche, un significato di valore ambientale,
di tutela dei nostri grandi beni naturalistici. Prende spunto da una passione erotica
vissuta in seno ad una natura incontaminata, ricca di profumi e di messaggi.
Sì, perché, il memoriale, se importante, si fa storia preziosa e non mantiene
mai solo il volto di una persona amata, ma
si protende a quello di un’età, alla giovinezza ad esempio, con tutte le sue
sfumature; e ritorna a vivere, pressante, fresco, ingigantito, dopo essere rimasto
a lungo a decantare nell’anima; si riaffaccia con la voglia di farsi nuovo,
portandosi dietro contorni, sapidi di vita, a dare vigoria alle immagini: una
spiaggia, un tramonto, un bosco, una collina disposti a collaborare.
E c’era una collina, là, una verde collina, incontaminata e impreziosita
di bocci e profumi d’acacia, a fare da alcova ai baci trafugati dal tempo. Sono
tornato più volte sulla mia collina zeppa di memorie. Ma:
Ora è il cemento che guasta la collina
e di gran corsa
l’odore di benzina. Su quel colle
non profumano più quei bocci bianchi;
ci sono uccelli a branchi
che roteano largamente sui detriti
dell’ingordigia umana.
Tantissime, quindi, le dicotomie, basta saperle leggere. Pur
personali, toccano questioni più o meno evidenti di questa nostra società: la
caccia, l’emigrazione, la guerra, l’ecologia, l’infanzia, l’idea di patria, il
consumismo, la questione di essere e di esistere, lo sradicamento di gente
dalla campagna verso la città, la solitudine, lo spleen, la filosofia del
vivere e del credere, del bene e del male, di Caino e di Abele, dell’amore e
della morte - Saffo pensò alla morte nell’attimo eccelso, superbo dell’erotismo,
perché non venisse contaminato dalla vita -. Ma quello che emerge alla fine è
un inno ad Eros, all’amore per l’amore, alla donna, alla pace, all’ambiente e a
un ideale che permetta voli incondizionati, su terre e mari di sogno. Sì!,
perché il sogno fa parte della vita: La vita è sogno. E la vita, che sogniamo e
che immaginiamo, è quella pulita, quella che riesce a superare tutte le
dicotomie del vivere e farne una simbiotica fusione di elementi che si nutre anche del male, per ossigenarlo e
ridarlo sano agli uomini. E’ questa la forza
che nel testo vince su tutto, anche sui dissesti, perché è un sentimento che va
al disopra della materia, va al di là del tutto, e vive nella convinzione di un
futuro zeppo di nuovi miti.
E immaginatevi Marti
novelli
con armi fuse ai piedi
della pace.
Oppure nuove Cereri a
volere
mele cotogne nei cassetti
lignei
a insaporire vesti
ricamate
da mani di concordia. E
valli e venti
di nobili concimi
profumati
di letti cari ad animali
amici.
E uccelli sicuri nei
cieli
di mille colori dipinti,
gorgheggi a sfiorare
l’azzurro.
Gorgheggi gioiosi
nutriti di semi
ignari di morte. E dentro
i boschi
nuove Diane a proteggere
i cerbiatti
che salteranno liberi
su slarghi ricamati di
bellezza
fra alberi invecchiati
sopra suoli ridenti di
marine
e sapidi di ragie.
E Nettuni placati che
vorranno
mari azzurri e rilucenti
a rispecchiare cieli
nei loro fondi chiari e
cristallini.
Nei loro fondi carichi di
vita.
Ed Afroditi tenere
per puri amori scevri di
commerci
dove saranno i figli
dell’amore
il frutto sacrosanto
d’uomo e donna.
Dove i popoli
tenderanno la mano ad
altri popoli,
non per meschini intrichi
di poteri,
ma per dono d’Ireni. E
bandito
sarà il verbo nemico
dai linguaggi rinati.
E quelli che verranno
volgeranno lo sguardo a
noi
come a un’età
di uomini dimentichi del
cielo
che videro imbarbariti
anche gli dèi
in fuga dalle loro
blasfemie.
26/12/2012 h. 11,30
Una delle più commoventi è quella a pag. 33: Sulla strada c’è guerra. Tratta, appunto, un problema attualissimo:
le stragi, sulle strade, dei ragazzi delle discoteche, e non solo. L’antinomia?
E’ là! Fra l’immagine di un mare notturno, simbolo di riposo e di alcova, di
pace e silenzio, e quello che accade accanto, sulla strada principale. Mentre sulla
spiaggia, solitaria e serena, si sta vivendo una storia ai primi raggi di un’alba
accarezzata dal fruscìo della battima:
Sulla strada c’è
guerra. Si ritorna;
e un botto
deflagrante irrompe attorno:
dei ragazzi
violentano la vita
per qualcuno in
dormiveglia con in mano
l’immagine di un
Cristo Salvatore.
Amore e morte. Quiete e straziante fracasso. Vita e dissacrazione.
Eros e Thanatos.
Oppure quella del ricordo di una madre, paesana, intruppata nella
mota, a recidere foglie, con lo sguardo a terra, coi sogni violentati, ma che
riesce – quasi dicotomico sentimento saffico fra bruttura del corpo e grandezza
dell’anima – riesce, d’istinto, ad alzare gli occhi per stupirsi, sorprendersi alla
scoperta del bello:
Se era brutto la terra s’impolpava,
e sotto l’acqua, appena riparata,
violentava i suoi sogni. Non di rado,
alla sera, il tramonto si gonfiava
per toccare coi suoi colori d’oro
la mota di quei solchi. E mia madre
si stupiva davanti a quei colori,
davanti a quella volta iridescente.
Con il falcino in mano, e il volto stanco,
ammirava, stupita,
quei giochi del tramonto sopra il campo.
Ma lei ha
ragione, cara Miriam. Alla fine, Speranza e Eros riescono a imporsi, col loro
potere; e, a conclusione del testo, elevano l’uomo al di sopra di ogni suo contrasto
materiale. E’ là che nasce un’alba delicata ed armoniosa per vincere il gelo
della notte. E’ in quell’alba che io ritrovo me stesso ed il valore immenso della
poesia. Questo mistero a cui non vale chiedere spiegazioni. La si deve capire,
intendere, quando c’è. La s’incontra nella sua melodia, nel suo travaso dalla
terra al cielo. E il suo scopo non è tanto quello di farsi leggere, quanto quello
di rivelare le tante emozioni a chi la scrive. Che gioia e che piacere vederle in
pagine, concretizzate in fiumi di parole che a volte scorrono come sorgenti
cristalline, a volte stentano a trovare forza per tradurre sentimenti tanto
forti.
L’alba
Il gelo della notte
vede l'alba nascosta in qualche
luogo
e dà sfogo alla sua rabbia,
ma la rena del mare la nasconde
e le fronde dei pini
la fanno respirare.
Il mare
annulla la morsa
e l'alba nasce
là dove pasce il cielo,
là dove il gelo non arriva mai.
M. L. B. Pubblicare libri di poesie secondo la sua esperienza ha un valore letterario, oppure diventa
valore storico per l'umanità? - Un valore storico che vivifica anche il
pensiero di Gian Battista Vico il quale affermava che La Nuova
Scienza si fonda sull'oratoria, la poesia, la storia
del verosimile e non sugli schemi
rigidamente meccanici del pensiero razionale.
N. P. La poesia, la buona letteratura, l’arte, il bello sono e
saranno il piedistallo su cui cresce e crescerà la parte eccellente
dell’umanità. E non facciamo i modesti. Ogni scrittore ambisce a far parte di
quella storia in cui crede e a cui dà tutto se stesso. Anche se, come ho detto antecedentemente,
quando scrivo non penso certamente a quel
fine. La realizzazione più grande è scrivere, indipendentemente dalla buona o
dalla cattiva sorte. Farlo con tutto il disordine intimo, sentimentale. Perché
non vale la ragione quanto l’obliquità del sentire. L’irrazionalità ci esalta,
ci trasferisce nelle sfere del sublime, ci fa toccare vette di ebrietudine
indispensabili al misterioso gioco dell’arte.
E’ la ragione, semmai, che ci richiama all’ordine, alla disciplina, e
tende a raffreddare quegli slanci di verticalità, quegli azzardi oltre la
siepe.
M. L. B. Ci può dire, quindi, se anche oggi, in un clima in cui si massimizzano i consumi
materiali e si minimizza il consumo
della cultura italica, vale
la pena secondo Lei, dedicarsi
intensamente alla scrittura poetica per pubblicare libri (nel suo caso anche come blogger), per
affermare un genere di letteratura che non ha risvolti commerciali e talvolta rimane, come genere
artistico, chiuso in ambienti intellettualizzati, ristrette Lobby o circoli
culturali molti dei quali sopravvivono con il contributo dei Premi Letterari?
N. P. Io credo poco
nei Premi Letterari. In questa miriade di premi disseminati per tutto il
territorio nazionale. Né tanto meno in commissioni improvvisate e poco preparate.
Ho preso parte, altri tempi, e ne ho vinti tantissimi. Ora il più delle volte
partecipo, quando, leggendo i nomi dei componenti di giuria, posso
constatare la validità di quel Premio. Uno di questi, ad esempio, è il Libero
De Libero di Fondi, punto di riferimento per ogni scrittore. Ed è stato vinto
da autori noti. Devo dire, però, che, in qualche misura, mi hanno aiutato a
pubblicare e a farmi conoscere. Quanto alla commercializzazione non si può
pensare, certamente, di vendere libri di poesia. Tutt’al più vengono acquistati,
pochi, pochissimi, dagli addetti ai lavori. Lo stesso Luzi ha cominciato a realizzare
in tarda età. Io però farei differenza fra la commercializzazione del prodotto
e la soddisfazione personale. Questa è un’altra cosa. E credo di avere risposto
già esaurientemente a questa domanda. Affermando, anche, che lo scopo della
poesia è inversamente proporzionale a quello che si pone la nostra società, del
tutto materializzata. Proprio perché viviamo in un mondo dove il fine
principale è il guadagno e l’arricchimento della malapolitica, e del malaffare,
credo che la poesia trovi il terreno
giusto per esistere e per confermare la validità dei suoi messaggi.
Messaggi spirituali, di evasione, ma anche di partecipazione, di presenza, dal
momento che prospettano, solitamente, progetti di futuri migliori, in cui
tornino a vincere l’etica, la pace, e i buoni sentimenti. Amarci, in fin dei
conti, non è poi tanto difficile. E se ci sono circoli letterari, anche chiusi
e ristretti, ben vengano; basta che i loro soci professino l’amore per la Poesia ; quegli adepti difficilmente si proporranno di
fare del male, di sciupare il tempo a imbrattare la vita.
Non chiedermi perché sono venuto
a trovarti di nuovo. Sarà forse
perché qualcosa provo
ancora dentro me.
Sai!, non è molto che pensavo
all’ultimo saluto. Ti ricordi?
Era sul mare, il cielo cinerino
di un settembre un po’ stanco accompagnava
un melanconico addio. Eppure
io non credevo che un lungo patrimonio
potesse rivelarsi così fragile
come la bruma pallida d’autunno.
Il cielo si rompeva ad occidente
e il sole grosso e fervido, alla sera
di quel giorno impossibile, tingeva
il tuo volto diverso. Mi ero sperso.
Non ritrovavo più la strada amica,
la strada di una vita. Sono qui.
Non chiedermi perché. Sono venuto!
Ho ancora dentro l’anima
il sole di una sera,
il mare quasi calmo, un volto stanco,
e una bàttima lenta a misurare
un tempo troppo pigro per chi soffre.
Sarà forse l’amore. Chi lo sa.
Eppure c’è qualcosa che ha guidato
quest’animo rigonfio di ricordi
tra i fiordi del passato. Ma non chiedermi
di più. Accetta un mio saluto. E vado.
Davanti a me c’è un guado,
un guado che riporta
quest’uomo ormai attempato
all’altra
sponda.
24/12/2011 h. 23
Nazario Pardini 07/02/2013
La ringrazio per la sua
disponibilità
M. L. Binda
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