sabato 2 marzo 2013

MIRIAM L. BINDA: INTERVISTA A N. PARDINI SU "DICOTOMIE"


INTERVISTA AL POETA NAZARIO PARDINI

SULLA SILLOGE DICOTOMIE: THE WRITER EDIZIONI, MILANO, 2013

 

 

 

A CURA DI MIRIAM LUIGIA BINDA

 

 

Questo mio breve messaggio per ottenere  qualche risposta sull’ultima sua pubblicazione  di poesie, dal titolo: Dicotomie.

Tre brevi domande che ritengo utili ai lettori per capire gli intenti di questo suo nuovo libro.  

 

Miriam Luigia Binda

 

 

M. L. B. Questa silloge e' una nuova raccolta di poesie che si presenta  come un Inno al sentimento. Ogni parola è suono evocativo di immagini passate che si legano alla forza ritmica-sublimata della parola "amore".  Perché,  nonostante vi sia  una  continuità tra le immagini del passato e quelle del presente, piena di sentimenti positivi nei confronti della natura e l'ambiente familiare, Lei ha scelto come titolo alla Sua silloge Dicotomie.

 

N. P. Il significato intrinseco del testo, quello alla cui resa contribuisce gran parte delle poesie, quello che – è vero – si slancia non di rado in voli di sapore azzurro, e che fa dell’amore il piedistallo su cui costruire il senso della vita e del suo mistero, è già contenuto ed emblematicamente rappresentato nell’immagine della copertina. Uomini  armati di violenza primitiva si scagliano contro una preda che non ha scampo. E dove la dicotomia? Nel fatto che non di rado si salvano animali trovati in difficoltà, menomati. Si curano, per ridarli al volo o al bosco. Per poi ucciderli?

 

Passò del tempo e proprio in quel paese

si organizzò una caccia:

tre cani inferociti lo stanarono,

lo portarono agli uomini, a coloro

che l’ebbero salvato. Canne in mano,

puntarono la preda,

spararono precisi,

                          morì ammazzato

 

E chi dice che non sia uno di quegli animali salvato ad essere  ucciso? Magari dagli stessi uomini che ebbero pietà.  
Un’altra evidente dicotomia nasce dal riaffiorare di una emozione giovanile, di antica primavera, che, poi, ha assunto, anche, un significato di valore ambientale, di tutela dei nostri grandi beni naturalistici. Prende spunto da una passione erotica vissuta in seno ad una natura incontaminata, ricca di profumi e di messaggi. Sì, perché, il memoriale, se importante, si fa storia preziosa e non mantiene mai solo il volto  di una persona amata, ma si protende a quello di un’età, alla giovinezza ad esempio, con tutte le sue sfumature; e ritorna a vivere, pressante, fresco, ingigantito, dopo essere rimasto a lungo a decantare nell’anima; si riaffaccia con la voglia di farsi nuovo, portandosi dietro contorni, sapidi di vita, a dare vigoria alle immagini: una spiaggia, un tramonto, un bosco, una collina disposti a collaborare.
E c’era una collina, là, una verde collina, incontaminata e impreziosita di bocci e profumi d’acacia, a fare da alcova ai baci trafugati dal tempo. Sono tornato più volte sulla mia collina zeppa di memorie. Ma:

 

Ora è il cemento che guasta la collina                      

e di gran corsa

l’odore di benzina. Su quel colle

non profumano più quei bocci bianchi;

ci sono uccelli a branchi

che roteano largamente sui detriti

dell’ingordigia umana.

 

Tantissime, quindi, le dicotomie, basta saperle leggere. Pur personali, toccano questioni più o meno evidenti di questa nostra società: la caccia, l’emigrazione, la guerra, l’ecologia, l’infanzia, l’idea di patria, il consumismo, la questione di essere e di esistere, lo sradicamento di gente dalla campagna verso la città, la solitudine, lo spleen, la filosofia del vivere e del credere, del bene e del male, di Caino e di Abele, dell’amore e della morte - Saffo pensò alla morte nell’attimo eccelso, superbo dell’erotismo, perché non venisse contaminato dalla vita -. Ma quello che emerge alla fine è un inno ad Eros, all’amore per l’amore, alla donna, alla pace, all’ambiente e a un ideale che permetta voli incondizionati, su terre e mari di sogno. Sì!, perché il sogno fa parte della vita: La vita è sogno. E la vita, che sogniamo e che immaginiamo, è quella pulita, quella che riesce a superare tutte le dicotomie del vivere e farne una simbiotica fusione di elementi che si  nutre anche del male, per ossigenarlo e ridarlo sano agli uomini. E’ questa  la forza che nel testo vince su tutto, anche sui dissesti, perché è un sentimento che va al disopra della materia, va al di là del tutto, e vive nella convinzione di un futuro zeppo di nuovi miti.

 

E immaginatevi Marti novelli

con armi fuse ai piedi della pace.                              

Oppure nuove Cereri a volere

mele cotogne nei cassetti lignei

a insaporire vesti ricamate

da mani di concordia. E valli e venti

di nobili concimi profumati

di letti cari ad animali amici.

E uccelli sicuri nei cieli

di mille colori dipinti,

gorgheggi a sfiorare l’azzurro.

Gorgheggi gioiosi

nutriti di semi

ignari di morte. E dentro i boschi

nuove Diane a proteggere i cerbiatti

che salteranno liberi

su slarghi ricamati di bellezza

fra alberi invecchiati

sopra suoli ridenti di marine

e sapidi di ragie.

E Nettuni placati che vorranno

mari azzurri  e rilucenti

a rispecchiare cieli

nei loro fondi chiari e cristallini.

Nei loro fondi carichi di vita.

Ed Afroditi tenere

per puri amori scevri di commerci

dove saranno i figli dell’amore

il frutto sacrosanto d’uomo e donna.

Dove i popoli

tenderanno la mano ad altri popoli,

non per meschini intrichi di poteri,

ma per dono d’Ireni. E bandito                                

sarà il verbo nemico

dai linguaggi rinati.

 

E quelli che verranno

volgeranno lo sguardo a noi

come a un’età                                                           

di uomini dimentichi del cielo

che videro imbarbariti anche gli dèi

in fuga dalle loro blasfemie.

(INEDITO) 

26/12/2012   h. 11,30

 

Una delle più commoventi è quella a pag. 33: Sulla strada c’è guerra. Tratta, appunto, un problema attualissimo: le stragi, sulle strade, dei ragazzi delle discoteche, e non solo. L’antinomia? E’ là! Fra l’immagine di un mare notturno, simbolo di riposo e di alcova, di pace e silenzio, e quello che accade accanto, sulla strada principale. Mentre sulla spiaggia, solitaria e serena, si sta vivendo una storia ai primi raggi di un’alba accarezzata dal fruscìo della battima:

 

Sulla strada c’è guerra. Si ritorna;

e un botto deflagrante irrompe attorno:

dei ragazzi violentano la vita

per qualcuno in dormiveglia con in mano

l’immagine di un Cristo Salvatore.

 

Amore e morte. Quiete e straziante fracasso. Vita e dissacrazione. Eros e Thanatos.
Oppure quella del ricordo di una madre, paesana, intruppata nella mota, a recidere foglie, con lo sguardo a terra, coi sogni violentati, ma che riesce – quasi dicotomico sentimento saffico fra bruttura del corpo e grandezza dell’anima – riesce, d’istinto, ad alzare gli occhi per stupirsi, sorprendersi alla scoperta del bello:

 

Se era brutto la terra s’impolpava,

e sotto l’acqua, appena riparata,

violentava i suoi sogni. Non di rado,

alla sera, il tramonto si gonfiava

per toccare coi suoi colori d’oro

la mota di quei solchi. E mia madre                  

si stupiva davanti a quei colori,

davanti a quella volta iridescente.

Con il falcino in mano, e il volto stanco,

ammirava, stupita,

quei giochi del tramonto sopra il campo.

 

Ma lei ha ragione, cara Miriam. Alla fine, Speranza e Eros riescono a imporsi, col loro potere; e, a conclusione del testo, elevano l’uomo al di sopra di ogni suo contrasto materiale. E’ là che nasce un’alba delicata ed armoniosa per vincere il gelo della notte. E’ in quell’alba che io ritrovo me stesso ed il valore immenso della poesia. Questo mistero a cui non vale chiedere spiegazioni. La si deve capire, intendere, quando c’è. La s’incontra nella sua melodia, nel suo travaso dalla terra al cielo. E il suo scopo non è tanto quello di farsi leggere, quanto quello di rivelare le tante emozioni a chi la scrive. Che gioia e che piacere vederle in pagine, concretizzate in fiumi di parole che a volte scorrono come sorgenti cristalline, a volte stentano a trovare forza per tradurre sentimenti tanto forti. 

 

L’alba

 

Il gelo della notte

vede l'alba nascosta in qualche luogo

e dà sfogo alla sua rabbia,

ma la rena del mare la nasconde

e le fronde dei pini

la fanno respirare.

 

Il mare

annulla la morsa

e l'alba nasce

là dove pasce il cielo,

là dove il gelo non arriva mai.

 

 

M. L. B. Pubblicare libri di poesie secondo la sua esperienza  ha un valore letterario, oppure diventa valore storico per l'umanità? - Un valore storico che vivifica anche il pensiero di Gian Battista Vico il quale affermava che La Nuova Scienza  si fonda sull'oratoria, la poesia, la storia del verosimile e non sugli  schemi rigidamente meccanici del pensiero razionale.

 

N. P. La poesia, la buona letteratura, l’arte, il bello sono e saranno il piedistallo su cui cresce e crescerà la parte eccellente dell’umanità. E non facciamo i modesti. Ogni scrittore ambisce a far parte di quella storia in cui crede e a cui dà tutto se stesso. Anche se, come ho detto antecedentemente, quando scrivo non penso certamente a  quel fine. La realizzazione più grande è scrivere, indipendentemente dalla buona o dalla cattiva sorte. Farlo con tutto il disordine intimo, sentimentale. Perché non vale la ragione quanto l’obliquità del sentire. L’irrazionalità ci esalta, ci trasferisce nelle sfere del sublime, ci fa toccare vette di ebrietudine indispensabili al misterioso gioco dell’arte.  E’ la ragione, semmai, che ci richiama all’ordine, alla disciplina, e tende a raffreddare quegli slanci di verticalità, quegli azzardi oltre la siepe.

 

M. L. B. Ci può dire, quindi, se anche oggi,  in un clima in cui si massimizzano i consumi materiali  e si minimizza il consumo della  cultura italica,  vale  la pena secondo Lei,  dedicarsi intensamente alla scrittura poetica per pubblicare libri  (nel suo caso anche come blogger), per affermare un genere di letteratura che non ha risvolti  commerciali e talvolta rimane, come genere artistico, chiuso in ambienti intellettualizzati, ristrette Lobby o circoli culturali molti dei quali sopravvivono con il contributo  dei Premi Letterari?

 

N. P. Io credo poco nei Premi Letterari. In questa miriade di premi disseminati per tutto il territorio nazionale. Né tanto meno in commissioni improvvisate e poco preparate. Ho preso parte, altri tempi, e ne ho vinti tantissimi. Ora il più delle volte partecipo, quando, leggendo i nomi dei componenti di giuria, posso constatare la validità di quel Premio. Uno di questi, ad esempio, è il Libero De Libero di Fondi, punto di riferimento per ogni scrittore. Ed è stato vinto da autori noti. Devo dire, però, che, in qualche misura, mi hanno aiutato a pubblicare e a farmi conoscere. Quanto alla commercializzazione non si può pensare, certamente, di vendere libri di poesia. Tutt’al più vengono acquistati, pochi, pochissimi, dagli addetti ai lavori. Lo stesso Luzi ha cominciato a realizzare in tarda età. Io però farei differenza fra la commercializzazione del prodotto e la soddisfazione personale. Questa è un’altra cosa. E credo di avere risposto già esaurientemente a questa domanda. Affermando, anche, che lo scopo della poesia è inversamente proporzionale a quello che si pone la nostra società, del tutto materializzata. Proprio perché viviamo in un mondo dove il fine principale è il guadagno e l’arricchimento della malapolitica, e del malaffare, credo che la poesia trovi il terreno  giusto per esistere e per confermare la validità dei suoi messaggi. Messaggi spirituali, di evasione, ma anche di partecipazione, di presenza, dal momento che prospettano, solitamente, progetti di futuri migliori, in cui tornino a vincere l’etica, la pace, e i buoni sentimenti. Amarci, in fin dei conti, non è poi tanto difficile. E se ci sono circoli letterari, anche chiusi e ristretti, ben vengano; basta che i loro soci professino l’amore per la Poesia;  quegli adepti difficilmente si proporranno di fare del male, di sciupare il tempo a imbrattare la vita.  

 

 

Non chiedermi perché sono venuto

a trovarti di nuovo. Sarà forse

perché qualcosa provo

ancora dentro me.

Sai!, non è molto che pensavo

all’ultimo saluto. Ti ricordi?

Era sul mare, il cielo cinerino

di un settembre un po’ stanco accompagnava

un melanconico addio. Eppure

io non credevo che un lungo patrimonio

potesse rivelarsi così fragile

come la bruma pallida d’autunno.

Il cielo si rompeva ad occidente

e il sole grosso e fervido, alla sera

di quel giorno impossibile, tingeva

il tuo volto diverso. Mi ero sperso.

Non ritrovavo più la strada amica,

la strada di una vita. Sono qui.

Non chiedermi perché. Sono venuto!

Ho ancora dentro l’anima

il sole di una sera,

il mare quasi calmo, un volto stanco,

e una bàttima lenta a misurare

un tempo troppo pigro per chi soffre.

Sarà forse l’amore. Chi lo sa.

Eppure c’è qualcosa che ha guidato

quest’animo rigonfio di ricordi

tra i fiordi del passato. Ma non chiedermi

di più. Accetta un mio saluto. E vado.

Davanti a me c’è un guado,

un guado che riporta

quest’uomo ormai attempato

                                   all’altra sponda.

 

24/12/2011   h. 23

 

 

Nazario Pardini                                                                    07/02/2013

 

 

 

La ringrazio per la sua disponibilità

 

M. L. Binda

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