I
miti che verranno
Mitologie nuove ci saranno,
nuove divinità per nuovi Olimpi,
Giòvi rinati sopra vette eccelse
di neve rosa. E fervidi tramonti
che tingeranno terre accarezzate
da porpore benefiche.
E immaginatevi Marti novelli
con armi fuse ai piedi della pace.
Oppure nuove Cereri a volere
mele cotogne nei cassetti lignei
a insaporire vesti ricamate
da mani di concordia. E valli e venti
di nobili concimi profumati
di letti cari ad animali amici.
E uccelli sicuri nei cieli
di mille colori dipinti,
gorgheggi a sfiorare l’azzurro.
Gorgheggi gioiosi
nutriti di semi
ignari di morte. E dentro i boschi
nuove Diane a proteggere i cerbiatti
che salteranno liberi
su slarghi ricamati di bellezza
fra alberi invecchiati
sopra suoli ridenti di marine
e sapidi di ragie.
E Nettuni placati che vorranno
mari azzurri e
rilucenti
a rispecchiare cieli
nei loro fondi chiari e cristallini.
Nei loro fondi carichi di vita.
Ed Afroditi tenere
per puri amori scevri di commerci
dove saranno i figli dell’amore
il frutto sacrosanto d’uomo e donna.
Dove i popoli
tenderanno la mano ad altri popoli,
non per meschini intrichi di poteri,
ma per dono d’Ireni. E bandito
sarà il verbo nemico
dai linguaggi rinati.
E quelli che verranno
ci volgeranno lo sguardo
come a un’età
di uomini dimentichi del cielo
che videro imbarbariti anche gli dèi
in fuga dalle loro blasfemie.
26/12/2012 h. 11,30
Questo prodotto poetico di Nazario Pardini affonda le sue radici in una forte aspirazione a una realtà umana più nobile ed elevata, più degna e trasparente, insomma in un desiderio di catarsi o di palingenesi. E, in quest'operazione, il poeta convoca liricamente le divinità del mondo antico affinché contribuiscano, ognuna per la propria parte, a creare un'età aurea, cioè una realtà più degna di essere vissuta, con buoni governanti (Giove), senza guerre( le armi fuse di Marte), con la rivalutazione della vita semplice dei campi e dei prodotti naturali (Cerere), con la vita serena di animali e piante (Diana che protegge i cerbiatti), con il mare calmo e terso a rispecchiare il cielo (Nettuno), con puro e vero amore (Afrodite) e, infine, con la pace interiore (Irene) che sovrintende ai rapporti tra gli individui e tra i popoli.
RispondiEliminaAspirazione umanitaria -questa- non vaga né velleitaria, perché reca dentro di sé lo stimolo al miglioramento di animi e coscienze. C’è nel testo una dolorosa ed autentica esigenza di un mondo migliore, rimossa finalmente la crassa rozzezza e la profonda corruzione che pervade questa nostra realtà.
Pasquale Balestriere
Questa rivisitazione del mito, da parte di Nazario, apre il cuore: voglio dire che il poeta eleva un canto che è un inno alla vera speranza. Ma chiediamocelo: di cosa si nutre la sua aspirazione? Si ciba, appunto, di nuove-remotissime divinità. E qui sta - a mio modo di vedere - la grande valenza icastica di questa lirica, di questo moderno poema: sta in ciò che percepisco come senso della ricreazione, del rinnovamento; dalle radici però, dalle loro più profonde propaggini. Certo (concordo con Balestriere): è la descrizione di una palingenesi quella che, alla fine, risulta; una palingenesi rigeneratrice che - in quanto tale - deve, prima, ripulire, mondare perché, "placati" da una Natura incontaminata, tornino gli dei a rivedersi nell'azzurro dei cieli e dei mari, nel verde dei boschi, nei canti degli uccelli, nella fusione delle armi per l'acciaio della pace. Oh no, non è l'Arcadia!: è la Terra come sarà, come forse è stata ad ogni sua rinascita, come sono certi che sarà i poeti: quelli autentici, che aprono il cuore all'uomo.
RispondiEliminaSandro Angelucci