LA SCAMPAGNATA DI PASQUETTA
Nostalgia per una bella tradizione scomparsa
Frammenti di ricordi messi insieme
da Paolo Bassani
“Che cosa
rimpiange del passato?”: fu chiesto un giorno a Ungaretti, durante
un’intervista televisiva. Con l’arguzia e la simpatia che gli erano proprie, il
grande poeta vegliardo rispose: “Il canto
dell’ubriaco”; e subito -quasi a voler chiarire il suo pensiero al
perplesso cronista che gli aveva posto la domanda - soggiunse che, proprio la
scomparsa del canto dell’ubriaco, era la conferma di quello stato di malessere
tipico dell’inquieto vivere moderno. Non significava che l’ubriaco era sparito
ma, piuttosto, che egli stesso si era trasformato: aveva perduto quella sua
caratteristica allegra per chiudersi in se stesso, divenendo triste e spesso
aggressivo. Non a caso ho voluto ricordare questo episodio; c’è in esso come
potete vedere, un legame con questi miei frammenti miranti a rievocare un
momento particolarmente simpatico della vita spezzina. Se anche voi siete della
mia generazione -non più giovani, per intenderci- certamente vi ricorderete con
una punta di nostalgia di quel lunedì dell’Angelo che era per noi il giorno
della scampagnata. Già nel mattino le vie che conducevano sui colli, da Porta
Genova a Porta Isolabella, da Via XXVII Marzo a Porta Castellazzo e su su fino
a Sarbia, e così la strada che portava alla Foce, si animavano di gente
festante: uomini e donne, giovani e anziani: intere famiglie che arrancavano
sui ripidi tornanti portandosi grosse borse e sporte ripiene. E con l’andar del
tempo le vie si affollavano sempre più assumendo quasi l’aspetto di un
pellegrinaggio, tanto che la sede stradale pareva divenuta un percorso
riservato ai pedoni. Così quella marea di gente saliva verso la campagna,
accampandosi sui prati che si affacciavano lungo il cammino. Nasceva in questo
modo la più spontanea e cara festa campestre degli spezzini. Nell’aria luminosa
della primavera, come un concerto s’innalzavano le voci, mentre la gente,
seduta sulle alture, sembrava occupare gli spalti di una maestosa arena innanzi
all’incantato spettacolo del golfo. C’era allora un’armonia...un modo diverso
d’essere, che nasceva forse da una vicinanza, da un incontro, vorrei dire da
uno spirito paesano. C’era una maggiore disponibilità ad apprezzare le cose
semplici, dovuta forse al fatto che poche erano le possibilità offerte da quei
tempi. E tuttavia questa limitazione non impediva, ma facilitava il trascorrere
di momenti sereni. Anzi, sotto questo punto di vista il successo era completo.
Il segreto era dunque proprio lì: in quel modo immediato e fresco di comunicare
e di legarsi agli altri. Bastava sedersi sull’erba, davanti ad una ruvida
tovaglia che offriva fette di pane scuro, un piatto di cotolette, qualche fetta
di torta di riso e un fiasco di trebbiano, per ritrovare poi l’allegria e un
nuovo gusto per la vita. L’automobile -che avrebbe cambiato tante abitudini-
non era ancora arrivata, e neppure si pensava ad essa. Non era ancora giunto il
caotico fine settimana fatto di caselli, di code snervanti e d’autostrade, di
ristoranti “tipici”, di piatti e bicchieri di plastica. La campagna, a due
passi dalla città, era ancora aperta e pulita, e limpido il cielo e più chiaro
il sole e più vero l’avvento delle stagioni. La scampagnata di pasquetta era
più di una tradizione: pareva divenuta un rito. Era l’incontro con la
primavera. E allora la buona stagione giungeva puntuale all’appuntamento; non
come oggi che ci mostra spesso un volto malato, ove s’accenna e sfiorisce
effimero annuncio di rondini mute che non si fermano più. A volte, facendo il
confronto tra passato e presente, mi chiedo che cosa ricorderanno dei loro
tempi i giovani d’oggi. Certamente non la nostra scampagnata di Pasquetta. Essi
non hanno vissuto quel momento; non perché non vollero, ma perché non lo
trovarono. Fu certamente colpa dei tempi che, offrendo nuove possibilità,
promisero migliori occasioni di svago, ma fu anche colpa dell’uomo che,
abbacinato da tante novità, credette di emanciparsi fuggendo dalla semplicità
di molte tradizioni; pensò d’essere più libero chiudendosi in se stesso, più
moderno rifuggendo da quello spirito paesano che ancora lo legava al passato,
alla gente, alla terra. Tornava la gente a sera giù dai Colli e dalla Foce,
finendo in canto quella serena scampagnata di pasquetta. E quando già nella
notte brillava la città di luci, e la faccia della luna spargeva il suo quieto
e pallido chiarore, ancora qualche voce...qualche canto s’indugiava lungo la
strada che scendeva. Come Ungaretti, anch’io, per quel lontano canto che nasce
dal ricordo, oggi sento tanta nostalgia.
Paolo
Bassani
Ho riportato questa pagina della memoria nel mio ultimo libro "RIVERBERO", che sta uscendo in questi giorni.
RispondiEliminaPaolo Bassani