Giuseppe
Vetromile: PERCORSI ALTERNATIVI.
Marcus Edizioni. Napoli. 2013
Più
non sapremo né dove né quando il viaggio abbia pace e fine
Ci possono essere “Percorsi
alternativi”? “Percorsi alternativi” a
una legge inderogabile che ci vuole terra, polvere, azzeramento; una fine che
non salva nemmeno la memoria. Troppo, d’altronde, l’ossigeno necessario per
sottrarla all’annegamento. Ma la ricerca di tali percorsi è propizia per lo
spirito, per la mente, in questo esercizio
di estraniante fattura? Sì!, lo spirito beneficia certamente di questo
azzardo, di questo a tu per tu con l’irremovibilità delle leggi naturali.
Sfidiamola la natura! cerchiamo “Percorsi alternativi”! La mente, in tale
esercizio tonico-costruttivo, si acuisce, si potenzia, si amplifica, si
svincola, anche, dalle sue funzioni di
retaggio umano. Proprio!, perché è dell’uomo pensare, ricercare, inventare,
trovare strade per sopperire, in parte, alla sua insufficienza. Beati quelli
che hanno fede! E’ il dono più grande ex Cielo per risolvere quei dubbi che
determinano nell’uomo il dilemma dell’essere e dell’esistere. E che cosa
possiamo fare di fronte al potere della
morte, di fronte a questo irrevocabile e perentorio potere, assoluto potere?
che cosa? che cosa per ingannarlo, tradirlo, o azzerarne il patema che ci trasmette
durante il percorso della nostra avventura terrena? E grande, senz’altro grande, è questo dramma
interiore, questo pensiero della nostra inesistenza. Il non esistere non fa
parte di noi. Noi in quanto nati, pedine del tutto con la nostra unicità; noi
esseri viventi, pensanti, creati per ampliare la mente oltre i limiti del
possibile. Ed è, appunto, nel tentativo di costruire un mondo
poetico-immaginifico, finalizzato a mettere in soffitta tale senso di
annullamento, che Vetromile ricorre a tutta la sua energia verbale; a tutta la
sua sapientia vitae; e dato che niente può
contro “il disastro finale”, e ne è cosciente, s’impegna a non pensare alla sua
natura da mortale, ad estraniarsi con lune nascenti, con scrivanie di ricordi,
con appigli a sogni, con erbe primaverili,
col fiorire di mandorli, per traslare il cuore oltre la barriera della
morte. Per traslare il cuore oltre la barriera; quello di un uomo; di un uomo
con i suoi crucci, le sue meditazioni, i suoi tormenti, o le sue possibili
distensioni. Perché il suo grande dono è, senz’altro, la vita, che sembra
dirgli: “Amami! Perché sono io che ti ho dato l’amore, che ti ho dato il sogno, che ti ho dato il mare. Sono io che ti ho iniettato
il sangue della poesia”. Ma perché un bene così ineguagliabile ci deve essere
sottratto; forse perché veniamo dal nulla e nulla dobbiamo essere? forse perché
dobbiamo sentirci consci di questa nostra miseria? E la fugacità del tempo, la
inconsistenza del presente, il “fugerit invida aetas”, insomma la precarietà
del tutto è il leit motiv di questa opera. Ed è umano che lo sia:
(…) Mia cara
lo stare quaggiù è un semplice
giro di materia
la nostra polvere alimenterà
il cielo
e le stelle
daranno luce ad altri viandanti
daranno luce ad altri viandanti
Noi
saremo trascorsi senza una
minima certezza
e tutto il resto ormai non
avrà più
alcuna importanza (pp. 52).
Come è umana la voglia di
riattualizzare la memoria; di farne storia; farne vita; un prolungamento vivo
per contrastare la fine, artefice del suo spegnimento. Anche se, poi, è proprio il memoriale a darci l’idea del
correre implacabile dell’esistere e del suo finire:
(…) Chiudi l’abbecedario mia
cara
e l’orologio e questo spazio
duro
e tutta la casa
: è trascorsa ogni vita su
un’onda
mai più tornerà se non nel
ricordo
se mai la morte ce lo
propagherà fino al domani (pp. 51).
Rifugiamoci,
allora, in quello che si è salvato del suo impagabile patrimonio! ritorniamo
anima e corpo a noi che eravamo! manteniamo in vita quel noi a scapito del niente!
In qualche modo ci distrarremo, forse, dal potere sottrattivo dell’oblio; dell’oblio
di un viaggio il cui rumore si sente
sempre più forte col passare delle fermate; sempre più forte sulle rotaie
dell’ultima stazione. Oppure che fare? Vetromile
ricorre alla poesia. Il Nostro, coniatore di parole, maestro nel
trattarle, si crea primordi rigeneranti;
azzarda sguardi oltre la vita ed i suoi limiti. E poiché la nostra magagna è
quella di essere miseri umani, aspiranti all’eterno, cerca di ovviare a questo tormento
pascaliano, lanciandosi oltre gli spazi. In un volo retrogrado verso la bocca del mondo. Inventandosi viali stellari,
che nascono dalle sue sottrazioni e volano alti.
(…)
Spero di ritrovarvi l’alfa
prima
che l’omega mi abbranchi definitivamente
nella
certezza del non ritorno… (pp. 37).
Alti come la poesia che ama. E
la poesia è il suo essere. Essere nuovo, fatto di slanci e di ritorni a cose
umili e contingenti, alimentatrici del suo canto. Un flusso emotivo e
intellettivo che lo impegna, estraniandolo dalla sua immanenza, dalle sue
debolezze. Sì!, Vetromile ama la poesia, come ama la vita. Ci crede fino in
fondo. E questo gioco ubriacante dà slanci fecondi, vertiginosi; slanci, che
sorretti da prolungate e forti impalcature stilistiche - tanta è l’urgenza di dire –, sono capaci di
coinvolgerti in imprese ardue e liberatorie. E anche se il nulla ricorre spesso
in questi versi, mai il percorso creativo piomba nel nichilismo, perché è
proprio questo amore a portare il poeta a
ringhiare contro il nulla. Un nulla che ci assedia e lo assedia.
Nazario Pardini 19/03/2013
Tema alquanto sfruttato: l'onda che porta i ricordi, oppure l'Alfa e l'Omega. ecc.ecc. Pardini, aggiunge invece maggior vigore, per indicare una corrispondenza ulteriore, tra il nulla e i percorsi di questa poesia.
RispondiEliminaRingrazio l'amico Nazario per aver individuato, con questa sua approfondita recensione, i temi essenziali del mio dire poetico in questo libro.
RispondiEliminaGiuseppe Vetromile
"Percorsi Alternativi" di Pino Vetromile è un'opera che si snoda e oscilla tra due fedi, una poetica, l'altra religiosa. Alla poesia Vetromile chiede il riscatto dalla morte fisica, cioè vita memoriale, ma anche varchi di possibile (e magari momentanea) fuga; alla religione, un aldilà dello spirito, ma innanzitutto un aiuto e un conforto nella difficile e dolorosa avventura della vita. La quale, dunque, cerca spiragli di una qualsiasi salvifica luce dal "de profundis" di una quotidianità grigia e straniera, ovvia e ruvida, clamorosa e vuota, beffarda e impotente.
RispondiEliminaSono questi, in estrema sintesi e a mio modesto parere, gli ambiti in cui si muove ogni fermento creativo del poeta vesuviano. Aggiungerei un altro dato che costantemente connota la sua produzione in versi, e cioè la consapevolezza della precarietà e della problematicità della condizione umana. Su tutto, una piena maturità espressiva che doviziosamente incarna il mondo interiore del poeta.
E complimenti all'amico Nazario per la sua bella recensione.
Pasquale Balestriere