Adriana
Assini: La Riva Verde
Scrittura
& Scritture. Napoli. 2014. Pg. 184. €. 12,50
Una
rinfrescata di modernità che fa della Storia un racconto
a noi
vicino
Guerra
dei cent’anni: desolazione, campagne abbandonate, vedette per mettersi al riparo
entro le mura, pestilenze (celebre quella del Boccaccio: “Nell’anno del Signore
1348 la mortifera pestilenza giunse a Firenze…”); un tremendo flagello in
Europa; interrogatori e sentenza del 24
maggio 1431 per Giovanna D’Arco: “…per questo motivo noi ti giudichiamo come
eretica e stimiamo che tu sia da espellere
dalla Chiesa e che tu debba essere consegnata alla potenza secolare”; una
guerra, appunto, questa dei cent’anni, che finendo nel 1453, si trascina fino
alle soglie dell’età moderna.
Ma
per quanto riguarda Bruges, località in cui si sviluppa la maggior parte degli
avvenimenti del nostro romanzo, il mercato della lana, dei vestiti, e
l’industria tessile vi prosperano fin dal XII secolo, grazie alla stabilità garantita dal patronato dei
conti di Fiandra. Tra il XIII e il XIV secolo il re di Francia Filippo il Bello invia nella regione una forza di
occupazione per annettere le Fiandre. Ma la città si ribella in massa e caccia
i francesi durante i famosi Mattutini di Bruges; successivamente il predominio
sul fiorente mercato tessile di cui Bruges è il centro commerciale sarà una
delle principali cause di questa ferale guerra tra Francia e Inghilterra.
È
in questo periodo che si dipanano gli avvenimenti del romanzo La riva verde di Adriana Assini… Un
romanzo di intrighi , di vicende, che, anche se ben collocate storicamente,
vanno al di sopra dei fatti per la singolarità dei personaggi e per la
contemporaneità dei nèssi che ne fanno una storia attualissima: rivalità, amore
conteso, contorni ambientali di supporto alla psicologia degli attori.
Già fin
dai primi accenni si può percepire il saggio uso che la scrittrice fa del
paesaggio. Si apre con una scena tridimensionale, da cinemascope: “Un vento
salato muggiva su Bruges. Il cielo, gessoso, incombeva sui vicoli, lambiva i
possenti bastioni e le torri, incorniciando in una fredda aureola lo scuro
castello del conte”. Un quadro di manzoniana memoria che riporta al simbiotico
mèlange fra natura e psiche, e che fa da prodromico avvio all’avvicendamento degli
interpreti principali: Greta du Glay, vecchia, vergine, folle; una specie di
fattucchiera; Rose, figlia di jakob, timida di sorgente, vergine, promessa a
certo Jan, al soldo di suo padre, ma innamorata di Robin Campen, di parte
avversa (lavorava la robbia, il rosso). In contesa erano i tintori del rosso e
quelli del blu. E i fatti si susseguono
con un incalzante fluire narrativo, ma più che altro con una sequela dialogica
secca e apodittica di grande effetto attrattivo. Qui sta la novità della prosa di
Adriana: il gioco analitico delle vicende. Ogni parte della narrazione volge a
delineare la varietà dei caratteri sulla scena, a fare della passione storica dell’autrice
un serbatoio di input umani che si traducono in sentimenti universali;
sentimenti che si distaccano dal periodo per trasferirsi oltre il tempo, oltre
gli avvenimenti stessi. I conflitti di classe, l’amore condizionato che ambisce
alla piena libertà, i raggiri, come tanti ce ne sono ai nostri tempi. Là la
paura dei lupi e dei lampi; oggi la stessa paura per motivi non certo meno
pericolosi. Là un nugolo di donne che sfida la sorte contro la tirannia
maschile, qui quell’attuale femminismo che tende a valorizzare il ruolo della
donna. Per non dire di assassinî e fughe inaspettate, che tanto hanno a che
vedere con gialli che viviamo ogni giorno. Insomma una rinfrescata di modernità
che fa dell’opera un racconto a noi vicino; un racconto che pulsa di passioni e
contaminazioni emotive di grande sostanza e potenzialità creativa. Ed è un
piacere abbandonare il pensiero a quegli amori contrastati, a quelle lotte per
la libertà, a quegli intrighi che sanno tanto di vita comune, di normali quanto
occasionali accidents di un percorso
che si dipana con una tale fluidità da tenere avvinto il lettore fino alla
fine. Sì!, un andare senza vuoti, senza inceppi, dove gli uomini, le donne, le
abitudini, i contrasti si stagliano davanti all’anima con una tale generosità
esplicativa da lasciare senza fiato.
La campana del Beffroi a preannunciare
gragnole di guai. Margot che irrompe
nella bottega ad annunciare che i blu hanno sorpreso i rossi nei canali (“… i
residui dei coloranti avrebbero impiegato non meno di una settimana e, nel
frattempo, loro rischiavano di veder al macero centinaia di rotoli di stoffa…”).
Scaramucce. Rose che chiede di Robin: “Rose saltò su come se l’avesse punta una
vespa e s’affrettò a chiedere di Robin, la cui sorte le premeva più dei suoi
stessi parenti”. L’assemblea delle donne. La Compagnia della Conocchia:
segretezza (Alix, Ysengrine dei Tigli, Greta, Rose, Margot). “Poco importava se
le loro vite scorrevano senza svaghi… quanto un capo di bestiame, non alzavano
la testa, non chiedevano giustizia”. E le vicende si susseguono incalzanti su
una tessitura di solida tenuta, frutto di una frequentazione letteraria
esperita in anni di contatti e di studi; un procedere vincolante per vaghezze
semantiche, ed energia creativa; coinvolgente per espansioni emotive volte a
sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo. Perché alfine è la
vita che domina nelle storie di Adriana, è la pulcritudine del dire, ed il
trionfo dell’amore.
Anche se su percorsi da Via Crucis. Su percorsi di
polisemica significanza non solo storica, ma etica, religiosa, di pluralità
umana, rafforzata da leggi che impediscono di affidare cadaveri alle mani
impure di una donna. Rafforzata da slanci verso un Dio che non guardi tanto alle
opere, quanto al cuore.
E dove l’amore può raggiungere apici di intensità dai
toni epico lirici: “Posso sfidare le mareggiate senza lasciarmi impressionare
dai tuoni, ma senza Rose mi sento ancora un uomo perso, un uomo a metà”.
Insomma una storia pepata, piena di contraccolpi, di sorprese, ora belle ora
meno. D’improvvisi scompigli. Di abbandoni di alcune componenti dalla
Compagnia. Di sospetti. Di fughe improvvise. Ma sta proprio nella simbiotica
fusione degli opposti la verità della vicenda umana. E Adriana la sa raccontare
ricorrendo proprio al polemos eracliteo,
cosciente che la vita si dipana su un percorso breve, inaffidabile ma in cui
sono in agguato notti amiche a lenirne le inquietudini: <<“Mi rattrista
pensare che se Rose ritroverà Robin non
si unirà più a noi”.
“Perché
mai? Non è forse la sua felicità che vogliamo?” si stupì Greta, osservando come
la vita, in fondo, non fosse che un lungo succedersi di incontri e di
separazioni>>.
Sì, questa è la vita, e qui anche buona
parte della filosofia di Adriana:
“…un’altra
notte amica era in arrivo”.
A voi la lettura, dacché il compito del critico
è quello di introdurre non di rivelare.
Nazario Pardini
03/05/2014
che meraviglia! grazie Nazario.
RispondiEliminaAdriana
Carissima Adriana,
RispondiEliminati ringrazio del generoso apprezzamento.
Nazario
bellissima lettura,un'opera che vorrò leggere
RispondiEliminaGraziella C.