domenica 25 maggio 2014

ROBERTO MESTRONE SU "OLTRE QUEL MURO", DI N. PARDINI

Roberto Mestrone, collaboratore di Lèucade

Oltre quel muro
di Nazario Pardini
A CURA DI ROBERTO MESTRONE COLLABORATORE DI LEUCADE 

La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca.
Leonardo da Vinci, Trattato della pittura.
 Arnold  Böklin, Toteninsel (L'isola dei morti)

Böklin, col suo Toteninsel, ci ha accompagnato accanto ai cipressi di Foscolo e sulle sponde dell'Acheronte dantesco. Tra le pieghe impassibili di rocce granitiche abbiamo lambito il silenzio della morte e sopra le acque scure si è socchiuso, al nostro sguardo, il ciglio del mondo che pulsa oltre la vita.
Ma un dipinto non dà voce al pianeta dei defunti.
La pittura è una poesia che si vede e non si sente, un'armonia di immagini e sensazioni senza suoni che ci diletta col sortilegio di colori ed ombre sapientemente impressi sulla tela.  Solo gli occhi ne traggono godimento.
Nazario Pardini ha restituito la parola ad un quadro ammutolito dalle cupe tinte dell'oblio, dando respiro a una Natura soffocata dal  pennello esiziale del Nulla, eterno carnefice di ataviche nostalgie.
E si assiste all'incontro degli spenti visi del passato con le rade immagini dei viventi, tra l'odore di cera e il fumo della notte.
L'aria che vibra, l’aria che tocca le fronde, giunge al cuore accompagnata da versi lievi e carezzevoli come raggi celesti. E il petto si inonda di gioia.
Oltre quel muro è la cronaca di un idillio che coniuga passato e presente, illusioni e certezze, realtà e fantasia; si intrecciano e si fondono fronde verdi con il sorriso dei cari estinti, compagni dei sogni e complici delle tenebre.
Sorretto da affetti e ricordi il regno dei morti vive di nuovo, sorge alla penombra e si anima nel tardi, come fiore raro che rinserra i petali al sole e sboccia a notte fonda.
Tutto è beato, sul limitare dei sepolcri.
E tra le pietre sbocciano rose, gigli ed orchidee, sotto i cipressi risplende il tramonto, sul mare immobile verdeggia il tappeto di un prato.
La Poesia è una pittura cieca, ma chi la sa nutrire di fulgido amore e di calde speranze inonda il buio di luce, dipingendo con i versi le sponde di un Lebensinsel ai confini del puro regno, oltre quel muro dei nostri sentimenti.

                                   Roberto Mestrone


Oltre quel muro

La notte
ai flebili lumi
e fra le stelle
belle le mie anime
sul prato al cimitero;
all’ora tarda,
quando i viventi
sono nei giacigli,
s’incontrano tra i tigli
ed i cipressi.
Escono dai marmi freddi
sulla loro terra
e tra l’odore di cera
e il fumo della notte,
tra l’esalare di rose,
di gigli ed orchidee,
parlano di affetti e di ricordi
ai bordi dei sepolcri;
li puoi vedere:
ecco mio padre con mia madre
ed ecco mio fratello
che sorridente
per l’agognato arrivo
vola di gioia.

Restano le anime
fino a notte fonda,
non odi parole di spiriti,
ma vedi l’aria che vibra,
l’aria che tocca le fronde,
le lievi foglie                                               
alle soglie dei sepolcri.
La vita, la morte,
le corte strade,
le rade immagini dei viventi,
gli spenti visi del passato:
tutto è beato ora.

Il regno dei morti
vive di nuovo,
sorge alla penombra
e si anima nel tardi;
se guardi sotto l’ombre
dei cipressi,
i tramonti attendono l’oscuro,
il puro regno
oltre quel muro
dei nostri cimiteri.










4 commenti:

  1. Vero. La poesia è una pittura cieca. Meglio: una pittura che non si vede. Ma è fatta di parole, di parole che creano immagini visibili, non dai nostri occhi, ma dalla mostra mente, dall’armonia che le immagini riescono a rendere. Parole che trasmettono, con le immagini, sensazioni, dolori o serene meditazioni, che diventano poesia. Riflessioni di memorie o di un passato che torna a vivere, se rievoca persone care o eventi che la nostra coscienza conserva prima della “soglia”, che ci consente poi, una volta attraversata, di penetrare al centro o nel fondo delle nostre memorie. E tutto questo, con dolcezza delle immagini e del dire in una versificazione sempre delicata ma forte, riesce a fare Nazario Pardini, in “OLTRE QUEL MURO”.
    E sinceri complimenti alla N. Busà ed a Roberto Mestrone, che, con particolare partecipazione hanno saputo cogliere lo spirito profondo e la felicità espressiva della lirica di Nazario Pardini.
    Umberto Cerio

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  2. A dir poco commovente la lirica del professor Nazario "Oltre quel muro"... echeggia i Sepolcri e li modernizza, dando nuova vita al silenzio delle anime. I nostri amati sono percepibili, il loro regno 'si anima sul tardi' e disvela fruscii, vibrazioni, movimenti di foglie... Un modo diverso di comunicare, di dire la presenza e la pace. Rasserenante e tutta in levare la lirica. Un crescendo rossiniano di emozioni tese a superare la fugace scintilla dell'attimo terreno. M'inchino davanti ai commenti dei miei predecessori, plaudo la scelta luminosa e struggente del quadro e abbraccio il caro Professore, che consente di 'vedere oltre' con tanta raffinata maestria... Maria Rizzi

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  3. Scriveva Erich Fromm: “I sogni sono come un microscopio col quale osserviamo le vicende nascoste della nostra anima. “ E le “anime” del Poeta, vivente dormiente, sono i defunti genitori e il fratello che, “sorridente”, li ha appena raggiunti. Quelle anime che, nell’oscurità vivono e parlano facendosi sentire attraverso i profumi che esalano i fiori posti sulle tombe e lo stormire del vento tra le fronde. Un sensazione d’infinito leopardiano non, nello specifico, di là da una siepe, ma oltre il muro cimiteriale. “Tutto è beato”, scrive il poeta, perché il sogno (immaginazione), per dirla con Leopardi, è il primo fonte della felicità umana.
    Si può anche azzardare una riflessione sull’elemento proustiano della “memoria involontaria”, in questa lirica del professor Pardini, densa di spunti e di significati.

    Lorena Turri

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  4. È vero. Poesia, pittura, musica, ognuna ha i propri mezzi espressivi per trasmettere sensazioni, emozioni, concetti, mezzi che, però, possiamo rinvenire in ognuna di esse, per cui possiamo dire che è l’Arte in genere a parlare, a cantare, a dipingere, e a penetrare in tal maniera nella mente e nel cuore dell’uomo. E allora la lirica di Nazario Pardini si pone, ad un tempo, come suono, come dipinto, come canto, per porci in contatto con un mondo che è oltre il visibile. Esiste questo mondo? È irreale? È il Nulla oppure il Tutto? Questo non lo possiamo sapere, perché la nostra conoscenza può agire solo nell’ambito dei fenomeni, che è, come diceva Kant, come un’isola: al di là di questa c’è il gran mare del noumeno, dove non possiamo addentrarci. Ma, pur nell’ipotesi che l’Aldilà non esiste, tale mondo ci appartiene comunque, facendo parte della nostra sfera affettiva: perché l’Aldilà lo percepiamo, lo sentiamo, anche se ci è impedito spiegarcelo razionalmente, e l’Arte è lo strumento privilegiato che scavalca il sensibile e raggiunge il Grande Segreto dell’invisibile. Grazie, quindi, a Nazario Pardini per questa sua bella e intensa lirica, e grazie a Roberto Mestrone per il suo, altrettanto bello, commento.
    Vittorio Verducci

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