PREFAZIONE
A IDEE PEREGRINE
DI
NADIA PUCCINELLI
SILLOGE
III CLASSIFICATA
AL PREMIO IL PORTONE 2016
Idee
peregrine
Amo il cipresso
che quasi silenzioso
muove appena nel vento
e non scompone
nel tumulto del cielo
il disegno possente.
Ma voi,
piccole foglie fragili e bizzarre,
scomposte dalla brezza
come idee peregrine,
voi teneramente verdi
nell'immane sciagura
di quest'aria in tempesta,
mi rammentate i miei sogni di ieri,
il mio muovermi vago e fiducioso,
quell'allegria dispersa
che a lungo rimaneva
della mia giovinezza ormai lontana.
Iniziare
da questa poesia significa andare da subito a fondo nell’anima della
scrittrice; nei suoi intendimenti esistenziali; nelle sue meditazioni di
ontologica estensione; nei suoi intrecci verbali. Qui c’è la vita con tutte le
sue vicissitudini; i suoi incantamenti davanti ad una natura che coinvolge e trascina;
che si fa misura e riflesso di un sentire profondo e generoso. D’altronde che
cosa è la poesia se non che rivisitazione di paesaggi e intime riflessioni
sul vissuto. È così che la realtà si
traduce in immagine; è così che perde il suo reale impatto per trasformarsi in
visioni coccolate da un sentire pregno di nostalgia, di nostoi. Di questo
ha bisogno il canto; di fatti
sedimentati in animo e tornati a vivere
in sintagmi e fonemi che fluiscano con melodia; che con ritmo eufonico
concretizzino la morbidezza del poièin; e l’animo fecondo della Puccinelli
affida il suo sentire a foglie fragili e bizzarre atte a concretizzare l’idea di
un’esistenza fuggitiva e precaria; un verde che attende quell’immane sciagura
che tutto sottrae e porta via. Fenollosa Ernest Francisco affermava che “la poesia è
l’arte del tempo”. È
la coscienza di un’ora che fugge, che non dà la possibilità di
afferrarla al presente, a segnare la linea rossa del “Poema”. È umano,
fortemente umano, provare in noi il desiderio della fuga; l’azzardo verso
confini che delimitano il nostro esistere. “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto
di andarsene via”. (Pavese, La luna e i
falò). “…Ritorno con nell’anima lo sguardo/di una
fanciulla intenta al corredo/che giocava spensierata a palla/sorridendo con le
ancelle. Torno a sera/zeppo di vita, arricchito di genti di mari e di città/che
colmarono in parte le mie voglie./ E questa è la mia sera:/ è un’ora che lascia
all’incoscienza del mattino/la ricchezza del ritorno…” (Nazario Pardini: La ricchezza della sera, da Le simulazioni dell’azzurro).
Ma
è anche umano rendersi conto della pochezza della nostra vista, dacché oltre
tali orizzonti ci è vietato prolungare lo sguardo. È qui che la natura si fa
compagna di viaggio della Poetessa: l’accompagna coi suoi lampi di empatica
visività; le dona i suoi riflessi, le sue macule o le sue luminose vertigini
per significare momenti ora tristi ora felici, ora pregni di saudade ed ora in
preda a inquietudini di fragile terrenità. Anche se slanci di misura
escatologica si fanno avanti nella silloge è pur sempre la ricerca di soluzioni
ai perché irrisolvibili a tenere la barra di comando. E il tutto scorre con
energica verbalità. La parola diviene
contenitore di epigrammatiche soluzioni e il verso con accorgimenti
tecnico-stilistici riesce a farsi corpo di un messaggio di forte intimità.
<<La
ragione non ha mai asciugato una lacrima e la filosofia può riempire pagine di
parole magnifiche, ma dubitiamo che gli sfortunati vengano ad appendere i loto
vestiti al suo tempio (Génie du Christianisme di Francois-René de
Chateaubriand)>>. Perché questa citazione. È presto detto: quello che
domina e che assembla il dipanarsi delle pièces è proprio il sentimento. Tanti
stati d’animo che concatenati gli uni agli altri offrono la chiara idea
dell’ispirazione della Puccinelli. Non è certo la ragione con la sua freddezza
a frenare gli input emotivi, le fughe oniriche, o i ritorni memoriali. È
cosciente la Nostra del sapore della vita e della sua irrimediabile
sottrazione. Le antiche primavere tornano con tutto il loro bagaglio di sguardi
e sorrisi come l’amore con tutto il suo
potere di erotica armonia: “Se fossi una
canzone/ ti parlerei d’amore,/ ti farei compagnia quando sei solo…/ se fossi il
tuo lenzuolo, il tuo cuscino,/ e ti fossi vicino!” (La berretta).
E
c’è il fiume (l’Arno) che nel perdere il corso nel nulla del mare tanto simboleggia lo scorrere della
vita; il suo esaurirsi in un tanto che tutto sommerge: “Ti seguiamo: oltre la curva,/ in mezzo alle pinete,/ fino al nulla del mare” (L’Arno). Tante le
emozioni configurate in titoli secchi e significanti: La nevicata sul monte, La torre dell’ore, Le mani, Le stelle, Vorrei
svanire, Ancora… Impressioni e fotogrammi di una realtà che è di fronte
alla Poetessa; ma mai una realtà scussa a se stante; piuttosto la ricerca di tante
risposte nel caleidoscopio dell’azzurrità; tanti schizzi figurativi che
lasciano o hanno lasciato il segno:
Cerco un sorriso.
Mille risposte cerco
nel caleidoscopio azzurro.
Nazario
Pardini
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