mercoledì 12 settembre 2018

E. ALOISI LEGGE: "CARLA MARIA CASULA"


Emanuele Aloisi legge Carla Maria Casula

Emanuele Aloisi,
collaboratore di Lèucade
La lettura dei versi della Casula, rimanda inevitabilmente a un’altra celebre Poesia e alle sue parole: “considerate se questo è un uomo (…) considerate se questa è una donna”.
Non c’è più la differenza di genere, di ruoli e identità prestabilite nelle costrette attività: l’uomo “che lavora nel fango (…) che lotta per un pezzo di pane”; la donna “senza capelli (…) e freddo il grembo”.
 Non vi è più necessità di profili. Entrambi, uomo e donna, diventano “un corpo senza corpo” quasi a indicarne, o evidenziarne l’anima, e la sua sacralità, sconsacrata nel “niente”.
 Non c’è anima se non c’è un corpo che la incarni, prima; un tempio che ne preservi la dignità, e stimoli al rispetto della stessa, senza distinzione alcuna, somatica o cromosomica.
“(…) questo è stato”: l’invito a una meditazione attenta; l’alternativa è un minaccioso malaugurio “o vi si sfaccia la casa” come una crepa in faccia, la dignità oltraggiata dal vulnus della memoria.
  Le colonne del tempio devono restare ben solide sui basamenti secolari, e nelle fughe devono restare i ricordi, momenti e nomi incisi ai capitelli, agli ornamenti di corinzie foglie.
Ma il vento soffia, e ancora sembra se le porti a spasso, le foglie, assieme ai “visi” di facciate, e delle case anonime, ovunque sparse.

I tendini sguarniti
invocano il profumo della lana
e le guance scavate
implorano il sangue rubicondo
come torrente disarticolato
che va controcorrente dal suo mare...

Se poco o tanto importa poco -il tempo- e circola come le foglie, nei corsi e nei ricorsi di stagioni: gli “occhi vuoti” sono rimasti “vacui” nella sosta di un’attesa, come è rimasto l’uomo, di questo tempo e d’ogni tempo


di un tempo che non c’è
di un bacio solitario
di un presagio che suona libertà

La libertà: il pane indispensabile alla dignità, le cui briciole, ancora oggi, si perdono nei torrenti disarticolati, che vanno controcorrente dal loro mare.
E se “la nostra lingua -come scriveva Primo Levi nel romanzo-  manca di parole per esprimere l’offesa della demolizione di un uomo, in un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile (...)”
Ecco allora la lingua della poesia, che non necessita sempre, non obbligatoriamente, di articolate e ricercate parole, ma di emozioni, si, capaci, come fiammelle, di far riflettere, e generare ombre, sui  muri di caverne e tra i macigni di domande

Dove sei, padre, che mi guardi, cieco?
Dove sei, madre, che mi parli, muta?
Dove sei, figlio, che cammini, immobile?
                                                                                            

capaci di infliggere nelle coscienze i chiodi della storia, la cui ruggine scorre fuori, al sole, e nelle pause dei sanguinanti ossimori, nella musicalità della metrica: un continuo alternarsi di endecasillabi e settenari, nell’assonanza di parole, nell’agrodolce delle immagini: “piove neve solare/gelida come pietre di dicembre”.

Ecco la lingua della poesia, illuminata da uno Spirito capace di renderla universale, comprensibile e alla portata di tutti, soprattutto dei cuori, che avrebbero difficoltà a pulsare all’eco ovattata edalle vetrate delle nicchie, isolata in ermeneutica erudita.  

La poesia è memoria, quando si veste di quotidianità: “Stando in casa andando per via/coricando(ci) alzando(ci)/ ripete(ndola) ai nostri figli”.

L’anima vive quando un corpo non “resiste/ di resistenza morta/mentre il dolore sibila l’inferno”. L’anima vive quando piange, anche quando torce il braccio della propria carne, ma non mangia terra, semmai la tocca con le mani, e dalla stessa è accarezzata, senza l’odore del gas, o il sale in fondo nella gola, nell’abisso di una camera.

                                                                                           Emanuele Aloisi


Carla Maria Casula

Gli ultimi istanti prima della camera a gas
(pensieri scomposti di un prigioniero ad Auschwitz)

E tu lo chiami corpo?
Senza carne che riveste le costole,
senza colore che ricopre i vivi,
senza la dignità che spetta a un uomo,
è un corpo senza corpo.
Ma un corpo senza corpo è come il niente
e del niente conserva
l’inconsistenza dura
e la morte che arriva in trasparenza,
prima che nasca l’alba.
I tendini sguarniti
invocano il profumo della lana
e le guance scavate
implorano il sangue rubicondo,
come torrente disarticolato
che va controcorrente dal suo mare...
Il respiro è sgualcito
sopra le labbra vuote
e gli occhi vacui sostano in attesa
di un tempo che non c’è,
di un bacio solitario,
di un presagio che suona libertà.

Dove sei, quando piango?
Quando mi torco il braccio
Per non sentire i chiodi e la cancrena?
Quando mangio la terra senza mani?

Dove sei, padre, che mi guardi, cieco?
Dove sei, madre, che mi parli, muta?
Dove sei, figlio, che cammini, immobile?
Sotto un cielo distratto
piove neve solare
gelida come pietre di dicembre
e il mio corpo resiste
di resistenza morta,
mentre il dolore sibila l’inferno.

3 commenti:

  1. Grande Emanuele per una grande poesia di Carla Maria Casula. Con la tu disamina dei versi hai reso a quest'opera un valore aggiunto.

    RispondiElimina
  2. Immensa nella manifestazione di un dolore che va oltre ogni pensiero, immensa nella sua umanità, nel ricordo di una folle devastazione morale e fisica inflitta, e la condanna impietosa a una morte quasi invocata per le sofferenze subìte. Una lirica che scuote le coscienze, e a questo deve servire la poesia; parole segnate sulla pelle come quel marchio terribile, nero come il fumo uscito dai camini che odorano di morte. Da brivido le invocazioni in tono di preghiera ma anche di rabbia, impotenza! Stupenda e molto accurata la lettura di Emanuele Aloisi, che con estrema sensibilità coglie i vari aspetti più profondi dell'opera. Chapeau ad entrambi. Grazie della condivisione, Franca Donà

    RispondiElimina
  3. Effettivamente Emanuele si è calato nell'Opera di Carla Maria Casula e,come geologo ne ha sondato con perizia, acume e straordinaria sensibilità la profonda humanitas,
    la sanguigna, cruda e inutile violenza perpetrata nei lager. La poesia postata è eco di migliaia di migliaia di lamenti, innocenti e nudi. Spogliati della libertà e, soprattutto della dignità. La mente può tentare di conservare i ricordi, l'amore, il dolore, ma se ogni giorno il corpo viene sottoposto a violente inaudite, si perde il senso di se stessi.Molto incisivo il verso, estrapolato con arte da Emanuele: “resiste/ di resistenza morta/mentre il dolore sibila l’inferno”.
    "Resistenza morta" equivale a esseri umani privati di ogni forma di capacità di dire:" Sono ancora un uomo".
    Tutto è già spento nelle creature descritte dall'Autrice ed Ella si riferisce alla realtà, attinge dalla verità assoluta. Dopo essere stata ad Auschwitz e aver continuato a leggere testi relativi i 'Volenterosi carnefici di Hitler' so che l'Autrice è nel nero, sembra conoscerlo direttamente, e dimostra con i suoi versi, perfetti a livello stilistico, quanto un uomo o una donna possano perdere la loro identità... Primo Levi dopo il libro "Se questo è un uomo" provo a rivivere, a riconquistare i valori che aveva perso,, ma non potè sopravvivere. Questi versi educano e aiutano a non dimenticare, soprattutto in un momento storico difficile come quello che attraversiamo. Ringrazio Emanuele, per la sua esegesi di sommo valore e l'Autrice per la capacità di illuminare e mettere in ginocchio di fronte a tanto strazio....
    Maria Rizzi

    RispondiElimina