mercoledì 5 settembre 2018

N. PARDINI LEGGE: "PRIMAVERA, INDOMABILE DANZA" DI GUGLIELMO APRILE


Guglielmo Aprile
Primavera, indomabile danza



Una romanza, un’ode, un panteistico afflato al mondo naturale che tutto significa, imponendo la sua potenza alla miseria di noi esseri mortali. Qui si respira aria di primavera ma non idealizzata, non traslata, ma vissuta nella sua interezza, nella sua costante e testarda  rigenerazione: è nel tenere sul palmo un filo d’erba che si scopre la regalità del volere; l’imperiosità inerme della sua crescita; del suo valore; per il poeta i semplici nidi tra i rami suscitano la stessa reverenza che si prova “per le più orgogliose cattedrali.” Una vicinanza olistica alla madre terra che fa  da contraltare al pensiero filosofico, etico, religioso, umano dell’autore. Proprio partendo da questi versi si può penetrare da subito a fondo nella poetica di Guglielmo Aprile, nei suoi pensamenti raccolti e meditati, suscitati dalla visione di un filo d’erba, di un nido, dall’odore della terra dopo la pioggia, o dal vento che come un bambino

fa festa e canta sul prato più magro
o in dorso galoppa alle valli...

Una vera festa di colori e di emozioni, di energica ed ontologica riverenza verso un naturismo spesso trascurato per interessi economici. Ma qui non si vuole criticare, non è questa una poesia-contro, quanto piuttosto un poema di epigrammatico slancio emotivo. Sembra che il poeta liberi la sua anima sguinzagliandola per prati e valli, per fiumi e colli, in braccio a primavere di epifanica rinascita, polpose di verzicanti profumi in albe schiarite da soli novelli. Poi rientra questo spirito vagabondo portandosi dietro il patrimonio che natura gli ha donato. È così che preme; è così che, con tale carica,  invita il poeta a trasferire sul foglio tutto il suo bagaglio di contaminazioni: melodia, romanza di note wagneriane;  sottile eleganza di stagione, palpito floreale, vitale, voglia di ri-fiorire che  invita Vivaldi a intervenire con suonate di violini, con ritornelli  in accordi di effetto visivo; melologo, ecfrasi fra dire e vedere, fra vedere e sentire, fra sentire e pensare.
Questa  la religione del poeta: aggrapparsi alle cose umili, semplici, vere, pulite per innalzarsi alla maestosità del Creato, ma sempre tramite l’alito che fa aprire i fiori. Eccola la sua scoperta, la sorprendente vicinanza alla terra, eccolo il panteismo viscerale di Gugliemo Aprile. Si possono leggere i frammenti   del suo essere  ricorrendo ai dati della narrazione, dacché la crepa, l’erba, l’alito, i fiori, le onde, il polline, il vento non sono altro che concretizzazioni di uno spirito tutto vòlto a dire di sé; a narrare la sua  vicenda terrena, la sua fede:

La mia è la fede nell’erba che spunta
nei campi e in ogni crepa dell’asfalto,
non ho altro dio che l’alito che fa
aprire i fiori e cavalcare le onde,
credo solo in quest’umile, non scritta
religione del polline e del vento.

Il simbolismo antropico, l’umano farsi e disfarsi, la legge di eros e thanatos, sono còlti in una natura audace e sottile, tenera e forte, varia e articolata:

Il mandorlo in fiore somiglia
a una ragazza al primo appuntamento...ui si respira aria di primavera, ma non idealizzata, non Qui


in un raffronto epigrammatico col fatto di essere umani, con l’azzardo all’oltre delle possibilità del vivere:

Svetta dai cornicioni,
dalle crepe dei muri, a fiotti, erompe
straripa l’erba, sanguina...


Voglia di amare, di esserci anche contro le ostilità di un vento che strappa o di un mare che a primavera si rompe fragoroso  sulle ferule prolungate nel cielo.
Una flessuosa danza di versi ora ipertrofici ora ipotrofici; di settenari a diluirsi in misure endecasillabe di piacevole euritmia; di varietà tonale in corrispondenza al diacronico fluire degli stati d’animo:

E più di tutti i saggi
sa parlarmi di Dio
l’odore della terra quando piove...

Qui la voce del divino, qui l’impatto emotivo-intellettivo, qui la filosofia tibulliana hoc mihi contingat; qui il poeta con tutta la carica umana  volta ad un travaso nel  segreto del misterioso regista:

Chi la prima rugiada
raccoglie sulle guance
dell’anemone, chi le lance
del sole in mezzo al fogliame
forgia? Chi insegnò al mare
le sue canzoni, e la strada
all’ape verso i fiori? Chi veglia
che ogni anno il gabbiano
ritorni al suo nido?

Ed è una continua sorpresa intricante andare assieme al poeta a scoprire la perfetta organizzazione dell’alleluia dei passeri; l’enigmatico e imperscrutabile intreccio delle nuvole issate:

Più dolce, più solenne
l’alleluia dei passeri
di quello di tutte le chiese,
le nuvole issate
sotto la cupola del cielo
i soli altari a cui mi inchini,...

il corso dei fiumi verso il mare; il loro morire e rinascere:

Cercano con impazienza il mare,
e mai paghi, con entusiasmo immutato,
si gettano nuovamente dalle cime,
pronti a salpare ancora...

il carillon degli uccelli:

Cercano con impazienza il mare,
e mai paghi, con entusiasmo immutato,
si gettano nuovamente dalle cime,
pronti a salpare ancora...


la ricerca degli ipocastani:

In cerca di cosa protendono
al cielo gli ippocastani
strenuamente le braccia;
quale prodigio attendono
dalle profondità del cielo
quei boccioli, che implorano
la mai bastante carità del sole;...

Uno spartito sorretto da metafore, sinestesie, enjambement, iperboli: invenzioni  di rara potenza creativa che danno substantia al dettato poetico; vigore e visività ad emozioni che, covate nell’animo di Guglielmo Aprile, si sono concretizzate nella danza dei soli simile all’umano “poiché ha in sé l’uomo qualcosa/ che oltre se stesso lo innalza/ e lo fa già divino”:

Unica e innumerevole,
è la danza dei soli, e quella
dei pollini tra l’erba bionda:
è oltre l’uomo, e a lui simile,
poiché ha in sé l’uomo qualcosa
che oltre se stesso lo innalza
e lo fa già divino.

Nazario Pardini
02/09/2018



DAL TESTO

Religione


Tengo sul palmo della mano questo
filo d’erba, tanto
in apparenza inerme
quanto imperioso, possente è il volere
che dalla terra gli ordinò
di alzarsi, che mi sembra
di stare al cospetto di un re;
e guardo ai semplici nidi tra i rami
con la reverenza che avrei
per le più orgogliose cattedrali.

E più di tutti i saggi
sa parlarmi di Dio
l’odore della terra quando piove,
il vento che come un bambino
fa festa e canta sul prato più magro
o in dorso galoppa alle valli,
il docile ronzio
di un insetto che agita
appena le sue ali:
lo sfioro e un riso vago
di sole tra le ombre di un pino
già lo ha rapito, non saprò mai dove.


***************

Gli imperi degli uomini non durano
che un giorno, a confronto
col mandorlo che si riveste
di gemme ogni marzo sui rami,
e prima di bibbie e piramidi
nel bosco già il tordo
regnava, e la fiamma pura
dell’alba indorava le creste.

Cadranno altari e mura
eretti sulla terra, non si estingue
invece la fiamma che genera
le maree, brucia nelle vene
del vento e nelle tue, e un solo poema
compongono l’onda che scrive
con miriadi di lingue
rune sopra le rive,
la scia della cometa,
la goccia di pioggia che trema
sull’orlo di un petalo.

*************

Più dolce, più solenne
l’alleluia dei passeri
di quello di tutte le chiese,
le nuvole issate
sotto la cupola del cielo
i soli altari a cui mi inchini,
la pioggia che bacia il mio volto
mi scrive sulla pelle
un salmo che nessun libro ha mai alzato,
e la traversata che compie
su un tronco la coccinella
ripete il viaggio
che scrive ogni stella.

La mia è la fede nell’erba che spunta
nei campi e in ogni crepa dell’asfalto,
non ho altro dio che l’alito che fa
aprire i fiori e cavalcare le onde,
credo solo in quest’umile, non scritta
religione del polline e del vento.

































1 commento:

  1. Le sono sinceramente riconoscente! Il suo entusiasmo mi grafica: vuol dire che qualcosa, di quella irripetibile stagione passata, in cui provavo a rivivere un'eco della libertà primordiale, camminando intere giornate e dormendo all'aperto, sulla scia di Holderline e di Lawrence, non è andato perduto, visto che l'ho resa partecipe di un sentire di cui ero totalmente imbevuto, prima che tutto in me si fosse guastato... Un caro abbraccio, guglielmo

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