sabato 1 settembre 2018

MARIA GRAZIA FERRARIS: "LO "SCAPIGLIATO"" IGINO UGO TARCHETTI A VARESE



Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

Lo “scapigliato” Igino Ugo Tarchetti a Varese.

Igino Ugo Tarchetti
“L’amore è la fusione e la conciliazione di due egoismi  che si soddisfano a vicenda”(Fosca, I.U. Tarchetti)

La seconda metà dell’Ottocento vide in visita a Varese alcuni letterati famosi come Giovanni Verga, il massimo esponente del Verismo italiano, che nell’estate del 1880 passò più giorni a Varese, riposando sulle colline del Sacro Monte  scrivendo e revisionando il suo capolavoro presso l’Hotel Riposo alla Prima Cappella del Sacro Monte. Anche la giornalista ormai famosa Matilde Serao fu  a Varese. Leggiamo sul giornale locale un suo articolo pieno di entusiasmo: “…Varese è un paese d’incanto, poiché in nessun angolo di questa nostra magnifica Italia vi è, come qui, questo trionfo così ammirevole di una vegetazione  profonda e ricca negli alberi, nelle piante, nei fiori, nelle erbe dei prati...  Ma credete voi per questo che Varese sia  un ritrovo di malinconia e monotonia? è perfettamente il contrario! questo paese leggiadro, nelle sue antiche vie, sotto i suoi antichi portici,  è civilissimo, di una civiltà perfetta. Tre alberghi…corse di cavalli il suo golf nella Valganna è delizia degli inglesi… quest’anno, in agosto, Varese ha visto e vede una folla italiana, ma anche americana e inglese, riempire i suoi alberghi e vivere qui dei momenti di benessere schietto..”
Non meno significativa la presenza di Igino Tarchetti, uno dei massimi esponenti della Scapigliatura, quel movimento milanese di avanguardia degli anni Sessanta-Settanta  dell’Ottocento che si affermò a imitazione della francese bohème, volgendosi a modelli stranieri e dando vita a numerose riviste, come Il Pungolo, Emporio pittoresco, Rivista minima, Cronaca grigia, Il  gazzettino rosa…
Ugo Tarchetti  fu a Varese nel 1863, in qualità di addetto al commissariato militare;  intorno alla sua permanenza in città  si vocifera di  un episodio “erotico- giallo”, quasi  simile a quelli narrati da  Piero Chiara…. Il Tarchetti  fu uno spirito inquieto, morto di tisi a 28 anni, autore di racconti e di liriche che contengono un tessuto ispido e poco elaborato  di aspirazioni  vivaci ma fugaci e mutevoli, ma anche di interessanti tentativi sperimentali e d'impressioni  che continuamente volgono verso la confessione sentimentale e l'introspezione. Va ricordata la sua ricca attività letteraria che spazia dai romanzi antimilitaristi che mettevano in discussione il Risorgimento nazionale appena conclusosi, al saggio critico sul romanzo, passando attraverso le liriche e ai romanzi fantastici. (Una nobile follia, Racconti umoristici, Storia di una gamba, Racconti fantastici…)
L’amico Salvatore Farina, scrittore oggi dimenticato, ma che a suo tempo godette di larghissima popolarità, amico di  personaggi come Verga, De Amicis, Giacosa, che fu  giornalista, romanziere di grande successo popolare ed editoriale, autore teatrale, collaboratore della rivista "Nuova antologia", e direttore della "Gazzetta musicale" e della "Rivista minima", e nel 1876 fu tra i promotori della fondazione del  "Corriere della Sera", lo descrive così:
 “ Era alto, di complessione forte e gentile, aveva faccia di Nazareno, talvolta sdegnosa, per lo più mite; guardava superbamente gli uomini ignoti per paura che gli fossero avversari, ma con gli amici il suo sorriso buono si apriva alla confidenza, e sempre, sempre, io lo vidi ricercare il cielo mormorando versi di Heine, o di Shakespeare, o di Byron. ..
Le donne egli le amava soltanto; troppo le amava, e perciò non poteva trovarsi bene nella compagnia di molte insieme. Una gli bastava, e a quell'una imprestava per un'ora, per un giorno o per un anno, tutta la sua tenerezza, tutta la sua idealità d'artista.”
Di Varese, suo soggiorno provvisorio dopo aver trascorso alcuni anni nell’Italia meridionale da poco annessa al Piemonte, Tarchetti  scrive: “Varese mi piace. A chi non piacerebbe? La natura mi commuove, mi rende triste; la bellezza delle donne, del cielo, delle campagne, mi fanno sospirare le mie speranze passate, e quell’ideale che non troveremo mai nella vita”
A Varese fu protagonista di una storia d’amore importante che durò  oltre un anno.
Ne abbiamo testimonianza dalle lettere che ci sono pervenute, un epistolario che manca però della scansione cronologica, eppure  molto interessante e significativo.( Le lettere sono state pubblicate da E. Ghidetti, ed. Cappelli) Fu a Varese  che Ugo Tarchetti conobbe Carlotta Ponti ed iniziò con lei una relazione sentimentale, molto tempestosa.

Tranquillo Cremona
Un articolo di D. Isella, comparso su La Rotonda del 1982, dal titolo Luino, 1864: un suicidio mancato, ce ne dà notizia con la precisione e l’umorismo di cui  il critico è maestro.
Carlotta diventerà suo malgrado una protagonista letteraria, infatti Tarchetti prenderà spunto dalla sua figura e dalla vicenda amorosa autobiografica per scrivere il romanzo che è considerato il suo capolavoro: Fosca.
Nel romanzo in realtà sono presenti due protagoniste: Clara e Fosca, due donne che riprendono i tratti fisici e di carattere di due amori dell’Autore vissuti nello stesso periodo. Nella figura di Clara infatti sono presenti gli elementi descrittivi che compaiono nell’epistolario.
“E’ una bella bruna [è Tarchetti che parla] che non oltrepassa i ventitré anni. La volevano, anni addietro, costringere a sposare un maggiore austriaco; ma venne il 1859, e il matrimonio andò in aria con grande soddisfazione di Carlotta, che non voleva per marito un soldato tedesco, e molto meno uno che in confronto a lei diciottenne era già vecchio… Egli fu quindi mandato a quel paese ed oggi Carlotta, malgrado i sospetti e le ire furibonde di suo padre, non vuol bene che a me, a me solo, ed io sono felice…
 Ti ho già detto che il padre di Carlotta non può tollerarmi… avuto sentore de’ miei affetti per sua figlia, questa perseguita con ogni maniera di vessazioni, fino a toglierle qualunque libertà, fino a sorvegliarla minuto per minuto… Eh! Ci vuol altro! Tutte le sere alle nove, io e Carlotta ci troviamo al di fuori del raggio della luna…”
Fosca avrà invece i tratti di un successivo amore milanese, ambiguo, malato, inquietante, in opposizione al personaggio di Clara, quello di Fosca, che  proverà per lui un’attrazione fatale.
L’opposizione paterna esaspera Carlotta  che progetta in piena stagione tardo romantica di confuso amore e morte di incontrarsi un’ultima volta con l’amato a Luino e silenziosamente e nascostamente entrare in Svizzera e maturare quindi il doppio suicidio. Carlotta  però il giorno convenuto decise di anticipare i tempi e tenta di darsi la morte col veleno: verrà salvata in extremis.. e parve, “benché disperata, di non volersi più uccidere…”
Rimarrà a ricordo della vicenda l’epistolario. Un esempio tipicamente sentimentale e fatalistico di cui l’Autore si compiace : “…perdona non a me, ma a una dolorosa fatalità, l’attuale impossibilità divederci ”…Io incomincio a circondarmi di fiori perché so che morirò presto, e dopo morto nessuno verrà a coltivarne sulla mia tomba. Sono molto sentimentale stassera, è questo tempo che mi istupidisce e mi rende malinconico. Se tu fossi qui! Ah che dolorosa separazione! Come sarebbe bello questo medesimo tempo che ora ci sembra così triste!”
Tarchetti esprime nell’immagine di morte un desiderio, forse inconscio, di sfuggire ad una situazione che può generare sensi di colpa. È, in un certo senso, il “dualismo” di C. Boito, il caposcuola, che enuncia programmaticamente la contraddizione degli aspetti sentiti, sofferti o goduti, tipico della realtà scapigliata.
(E noi viviam, famelci/ di fede o d'altri inganni,/ rigirando il rosario/ monotono degli anni,
dove ogni gemma brilla/ di pianto, acerba stilla/ fatta d'acerbo duol.
.. tal è l'uman, librato /fra un sogno di peccato/e un sogno di virtù.)
Lo scapigliato Tarchetti può nondimeno realisticamente concludere: “Da cinquemila anni l’umanità piange sulla caducità dell’amore”: una conclusione opaca, grigia, tra ricordi vagamente romantici e primi timidi annunci decadenti, caratteristiche che attraversano tutta l’opera di Tarchetti.

Maria Grazia Ferraris


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