C’era un tempo, alcuni secoli fa, in cui il mar delle
Antille era solcato da galeoni e navi corsare, che partivano dalle loro basi per scorrazzare in lungo ed in
largo in quel triangolo delimitato a
nord da Cuba, ad est da Trinidad e Tobago e dal Nicaragua ad
ovest, noto come il triangolo maledetto.
Le imbarcazioni che trasportavano spezie ed altri prodotti
pregiati della zona centroamericana erano costantemente sotto la minaccia di un assalto ordinato dai
capi di questi pirati, rispondenti ai variopinti nomi di Gambadilegno, il Corsaro rosso, suo
cugino il Corsaro verde, Ciclope (aveva perso un occhio in battaglia), Barbanera e così via (si
tramanda che vi fosse, tra i più influenti, addirittura la nonna del Corsaro rosso).
Durante le lunghe pause tra un viaggio di lavoro
(chiamiamolo così) e l’altro, i nostri pirati si annoiavano moltissimo, non
avendo a disposizione apparecchi radio o TV e non avendo neppure nessuno
sottomano da sgozzare o perlomeno torturare.
Sulle incantevoli spiagge di sabbia finissima, incastonate
nel mare più blu del blu, dell’isola della
tartaruga o dell’isola del coccodrillo prese piede,
quantunque incredibile a credersi, un passatempo
certamente non confacentesi a quegli uomini rozzi e rudi: il
gioco degli scacchi.
Interminabili partite si svolgevano all’ombra delle palme,
sotto il caldissimo sole tropicale mitigato
soltanto da solenni bevute di rum, fanta e coca-cola.
Su scacchiere improvvisate sulla sabbia con linee tracciate
a mano, usando pezzi intagliati nelle
canne da zucchero (i corsari, uomini decisi, mangiavano
effettivamente i pezzi catturati, che
risultavano di sapore dolciastro proprio per la loro
provenienza) si dipanavano trame oscure e
palesi , minacce più o meno velate, tese al raggiungimento
di un unico, ossessionante fine: la morte
del re nemico.
Alcuni di questi scontri si protraevano per intere settimane
, venivano, a volte, sospesi e riprendevano alla fine di “ una piacevole
crociera infarcita di arrembaggi”, come la chiamavano loro.
Con il passare degli anni questa moda dilagò a tal punto che
praticamente tutti i pirati erano diventati abili in questa antica arte.
Due tra i comandanti dei pirati si distinguevano
particolarmente per le loro capacità logiche e di
memoria, di improvvisazione e di calcolo di
configurazioni.
Insomma, il Corsaro nero ed il feroce Morgan erano
fortissimi, imbattibili per gli altri.
Potremmo dire che fossero, per riconoscimento unanime, i due campioni
centroamericani.
Un brutto giorno, anzi bruttissimo (era in corso una
spaventosa bufera) , una nave spagnola diretta
in Messico fu attaccata dal galeone del crudele
Barbanera.
La nave trasportava merci di scambio, armi ed anche una
scolaresca di Valladolid in gita scolastica.
Vi erano, tra i passeggeri, 18 ragazzini di 15 – 16 anni
della terza B dell’istituto tecnico “Copernico” della
città appena menzionata.
Il capitano, gli altri 32 membri d’equipaggio, i 18 alunni
ed il professore di geografia che li accompagnava furono catturati, legati e
trasportati sull’isola delle palme,
rinomata località balneare nonché nota base d’approdo per vascelli di
importanti capitani corsari.
I 52 prigionieri vennero rinchiusi nelle prigioni situate
nell’interno dell’isola, senza alcuna speranza di poter essere presto liberati,
con la prospettiva quindi di trascorrere il resto della vita a raccogliere noci
di cocco per i cocktails dei capi corsari od a manovrare foglie di palme a mò
di ventaglio per rinfrescarli.
Fuggire era assolutamente fuori discussione, praticamente
impossibile!
Il 25 marzo 1685, verso le sei della sera, a Pablo Santana,
quindicenne appassionato di football,
venne un’idea.
Se la studiò, la riguardò, la rigirò sotto e sopra, davanti
e dietro, in lungo ed in largo e gli parve potesse funzionare. (ve lo posso
anticipare, era veramente geniale: bella come il sole). Pablo riuscì, dopo vari
tentativi, ad essere ricevuto dal luogotenente del Corsaro nero, un certo Occhiopesto.
Al cospetto di questo brutto ceffo, Pablo dovette fare
appello a tutto il suo coraggio per aprir bocca e dire, con un filo di voce: “So che noi siamo condannati a restare controvoglia su
quest’ isola tutta la vita. Bene, ho una
proposta da farvi: intendo sfidare a scacchi contemporaneamente, in simultanea
cioè, i due più bravi giocatori dei Caraibi, il Corsaro nero e Morgan; se io
riuscirò a conquistare, attribuendo 2 punti per la vittoria, uno per la patta e
nulla per la sconfitta, almeno la metà dei punti a disposizione, cioè 2 su 4,
sarò liberato con tutti gli altri prigionieri e ci verrà fornito un vascello
che ci conduca lontano da questi luoghi”.
Occhiopesto non credeva al suo occhio sano e soprattutto
alle sue orecchie.
Scoppiò in una fragorosa risata e rispose: “ Tu? Piccolo
marmocchio! Tu vorresti giocare a scacchi,
ed in simultanea per di più, contro quei due? Ti ha dato di
volta il cervello? Come pensi di poterti
difendere dalla loro abilità? E inoltre, perché dovrebbero accettare? Quale
è la contropartita?”
“ Nulla, non ho niente da offrire in caso di sconfitta, però
accetteranno, non possono fare altrimenti:
se non accettassero la sfida di un ragazzino diventerebbero
lo zimbello di tutte le Americhe,
dall’Alaska alla Terra del fuoco. Ribadisco la sfida!”.
“C’è del vero in quanto dici” gli concesse Occhiopesto “ma
continuo a non capire in quale miracolo
tu possa sperare. Parlerò comunque al mio capitano della tua
proposta”.
La sfida venne, ovviamente, accettata, come aveva
giustamente previsto Pablo.
L’evento venne organizzato in grande stile: il più bel
galeone della flotta pirata, la “Filibusta”
fu ormeggiato nella baia del Teschio, all’isola della
Tartaruga.
Due tavoli appositamente allestiti furono collocati a prua,
dove Pablo avrebbe dovuto affrontare Morgan, ed a poppa, dove l’avversario
sarebbe stato invece il Corsaro nero.
Il giorno della sfida la nave era gremita di farabutti,
alcuni abbarbicati persino sugli alberi del veliero, ansiosi di godersi la
scena.
Quel ragazzino, con la sua sfida così incomprensibile, li
intrigava molto.
La battaglia iniziò il primo aprile 1685, alle 3 del
pomeriggio.
Pablo avrebbe affrontato Morgan con il nero e manovrato i
pezzi bianchi, viceversa, contro il Corsaro nero.
Pablo, a prua, osservò Morgan che aprì le ostilità portando
il pedone in e4, si fece indi largo tra la folla recandosi a poppa dove iniziò
l’altra gara, attese la risposta del Corsaro nero, ritornò a prua per
effettuare la propria mossa e così via.
Le partite si svolsero senza particolari colpi di scena e,
man mano che il tempo passava, negli
spettatori assiepati nei pressi dei due tavoli di gara
aumentava sempre più lo stupore e l’ammirazione per il ragazzino che si difendeva benissimo e
riusciva, apparentemente, a rimanere su entrambe le scacchiere in una situazione di sostanziale
parità.
Dopo tre ore e quaranta minuti le due sfide terminarono,
quasi contemporaneamente, entrambe patte.
Pablo, tra l’incredulità generale, aveva conquistato 2 punti
e compiuto la strabiliante impresa: tutti i 52 prigionieri sarebbero stati
liberati ed imbarcati, proprio sulla “Filibusta”, per proseguire il loro
viaggio.
I corsari non credettero ai propri occhi quando Pablo,
portato in trionfo dagli amici, s’imbarcò sullo splendido vascello insieme ai
compagni di sventura per salpare per lidi sconosciuti.
Non lo rividero più, mai più.
Circa sette mesi dopo, sulla spiaggia dell’isola delle
palme, il Corsaro nero e Morgan si stavano
riposando, beatamente sdraiati ad abbronzarsi sulla
spiaggia, reduci da una conferenza sul tema “ i
protozoi, nel mar dei Caraibi, allignano?”.
Il discorso cadde casualmente sulla famosa sfida, che ambedue avrebbero ricordato vita natural durante.
Entrambi avevano riportato le mosse svolte sul blocco di
appunti dove annotavano tutte le gare
giocate.
Commentando lo svolgersi della gara, si accorsero di un
fatto molto curioso ed altamente improbabile: le due partite si erano svolte
esattamente, proprio esattamente, con la stessa
successione di mosse.
“Non è possibile!” disse Morgan.
“Accidenti! (parolaccia )” rispose il Corsaro nero “per
tutti i gamberi della Martinica! Quel
maledetto (ancora parolaccia) soldo di cacio ci ha
giocati!”.
“Ma che diavolo (terza parolaccia: non erano persone
educatissime, ad essere sinceri) blateri?”.
“Blatero che quel piccoletto ci ha turlupinato come fossimo
due granchi, neppure dei più furbi,
peste lo colga”.
“ Ma perché?”
“ Ma non hai ancora capito?
Lui aveva i neri con te ed i bianchi con me. Ha visto la tua prima
mossa, l’ha ripetuta con i bianchi contro di me, ha visto la
mia risposta, l’ha ripetuta a te con i neri e
così via. Ha fatto
solo da fattorino, da messaggero.”
“E’ vero, accipicchia! Ci ha fatto giocare uno contro
l’altro.”
“Esatto. Abbiamo
giocato solo noi due. Comunque fosse andata la partita i 2 punti per lui
sarebbero
stati assicurati, corpo di una balena!”.
I due grandi campioni, lo sguardo triste perso
nell’immensità della distesa blu che si spalancava
innanzi a loro e che rispecchiava le immani vastità dello
spazio e degli eoni temporali, non
trovarono di meglio che trangugiare due intere bottiglie di
pregiato rum giamaicano, ubriacandosi
ignominiosamente.
Nello stesso giorno, più o meno alla stessa ora,
all’Istituto Tecnico “Copernico” di Valladolid, il
docente di geografia stava dicendo, rivolto a Pablo Santana,
“Domani abbiamo una sfida a scacchi a
squadre contro il Liceo “Don Chisciotte”, e ovviamente
abbiamo pensato di schierare te sulla prima
scacchiera”.
“Scordatevelo” rispose Pablo “io domani vado a vedere
Barcellona – Real Madrid e poi” aggiunse
gelando il professore che rimase letteralmente con la bocca
spalancata dallo stupore “io so a
malapena come si muovono i pezzi: non ho mai giocato una
sola partita in vita mia!”.
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