Cinzia Baldazzi ha conseguito numeri riconoscimenti alla carriera
per la sua creatività esegetica. Riportiamo il link dell’album
fotografico della cerimonia conclusiva del concorso “La voce dei poeti”
(l’altro ieri, 31 maggio), durante la quale ha ricevuto un nuovo Premio alla
Carriera per l’attività di critica letteraria e teatrale.
https://www.facebook.com/cinzia.baldazzi.5/media_set?set=a.2435158763210812&type=3
Segnaliamo un
post su Facebook, pubblicato dall'editrice Isabella Gambini, di Intermedia
Edizioni (Orvieto), con la quale Cinzia Baldazzi collabora da tempo.
Colpita dalla
recensione a I DINTORNI DELLA SOLITUDINE ha pubblicato una sorta di invito alla
lettura con il link a Lèucade.
Cinzia Baldazzi legge “I
dintorni della solitudine” di Nazario Pardini
Chissà quante volte, forse anche a voi, sarà
accaduto di chiedersi cosa sia la poesia, come appaia e trapeli. Magari avrete
ascoltato il suggerimento di Yuan Mei, poeta, artista, umanista e gastronomo
cinese della dinastia Qing del XVIII secolo, quando sosteneva: «La poesia nasce
dove la si cerca, una scintilla d’ispirazione è la vera maestra del poeta. Un
tramonto, l’erba verde e cose del genere, per chi sa usarle, diventano poesia».
Suppongo, però, abbia ragione Nazario Pardini, scoprendo in un’opera il
significato organico di numerosi temi:
Non
solo davanti al rifiorire
di
gemme a primavera. Non solo
davanti
a un orizzonte che ti annulla,
o
a un sentimento d’amore o di morte,
si
scrive la poesia. Ma si scrive
davanti
ad una chiesa solitaria,
davanti
a un tempio arduo e maestoso,
davanti
al grido di una donna persa [...]
[da
La poesia si scrive, pag. 43]
La ποιητική τέχνη (poietiké tèkne) del nostro autore associa segni-segnali al vasto
bagaglio culturale, in un sommo climax di figure o riflessioni persuasive, coinvolgenti.
Il libro I
dintorni della solitudine (pubblicato per i tipi di Guido Miano Editore
nella prestigiosa collana Alcyone 2000)
si presenta in tre sezioni. La prima, omonima al titolo del volume, contiene
una serie di brani in versi dotati dell’affascinante densità delle materie
proprie dell’immaginario formale, condotte oltre le semplici metafore o
metonimie sparse ovunque, essendo alla ricerca di un elegante cliché lirico-compositivo, nello stesso
tempo meditativo e fantastico che - ha dichiarato Vittorio Vettori - interessano
il “pensiero poetante”, «un pensiero cioè originale perché originario,
collegabile a determinati contesti culturali e ambientali» (dalla prefazione a Si aggirava nei boschi una fanciulla,
2000).
In seconda istanza, ecco un capitolo a
carattere storico, nella veste di dialogo tra la Storia e il re spartano Leonida,
dove avanza il confronto binario, non dialettico (dunque ternario), tra la
dimensione immensa della civiltà e la finitezza parziale dell’eroe impavido per
eccellenza: le immagini trascendenti si misurano con categorie, concetti o eventi
di cronaca, di leggenda. Nell’area semiotica del testo affiora evidente la
tensione diadica della Weltanschauung
di Pardini: non messo in difficoltà, anzi promotore di feconde contraddizioni,
come avviene nelle tre Critiche kantiane, rifugge da una sintesi tout-court, forse poiché la valuta effimera,
solo strumentale.
La parte conclusiva è costituita dal poemetto (di
dantesca memoria) Verso la luce,
chiave psicoanalitica della poesia complessiva dello scrittore dove, alla
domanda
Ma
ero vivo?
o
dentro me costruivo una coscienza
che
non aveva a che fare col reale?
[pag.
80]
la
sua Virgilio, la dea Silva, risponde:
Quello che vedi è fumo,
è
solamente parte di un tuo sogno…
[ibidem]
Al riguardo, condivido l’opinione di Sandro
Angelucci: «Vi sembra un viaggio destinato a perdersi? Niente di tutto questo:
non è un addentrarsi negli inferi (come per Orfeo), è un ritorno ad Itaca (come
per Ulisse); non un viaggio verso le tenebre ma verso la luce». Allora, considerando
quanto afferma Michele Miano nella prefazione, ossia come al repertorio di Nazario
Pardini siano state applicate «varie chiavi interpretative, dalla motivazione
esistenzialistica a quella psicanalitica alla religiosa a quella naturalistica»,
sceglierò di accennare al campo d’indagine psicoanalitico e filosofico evocando
la trama ideativa della cosalità, la Sachheit
(realitas) heideggeriana, nel
relativo Dasein (Esserci) all’interno del sistema semantico globale della poetica
pardiniana: con i suoi molteplici oggetti consueti che attribuiscono un continuum all’esistere, apparendo, scomparendo,
divenendo noi stessi o ricordando com’eravamo.
Tutta una lotta contro il nichilismo, quella
pardiniana, adeguata a rammentare il celebre confronto tra Martin Heidegger ed
Ernst Jünger raccolto sotto il titolo Über
die Linie – Oltre la linea (lo
tradusse Franco Volpi nel 1989): l’intervento dello scrittore intellettuale di
Heidelberg per il sessantesimo compleanno dell’amico (1949) e la replica heideggeriana
in occasione dei sessant’anni di Jünger (1955). In esso, in libera assonanza a Pardini,
l’obiettivo è guadagnare l’energia utile a varcare la soglia di precarietà
della vita e la sentenza della morte, leitmotiv
particolare di Manifesto funebre:
Ho
visto stamattina un manifesto
funebre,
che, logorato dal cielo,
non
mi faceva leggere il finale.
Il
tempo non si accontenta solamente
di
annullarti, sperdendoti per terra,
ma
intende anche distruggere ogni resto
della
venuta tua; della breve vicenda
che
ti è toccata in sorte per la morte.
[pag.
55]
Dove trovare la forza, il vigore necessari? Ernst
Jünger tenta, di per sé, l’indicazione di un fulcro di resistenza individuato
con grande chiarezza: «Il proprio petto: qui sta, come un tempo nella Tebaide,
il centro di ogni deserto e rovina. Qui sta la caverna verso cui spingono i
demoni. Qui ognuno, di qualunque condizione e rango, conduce da solo e in prima
persona la sua lotta». Heidegger, forse più moderno, vigile e guardingo, non approva
la fiducia riposta in nuclei per così dire archimedici, perché «ormai solo un
dio ci può salvare»: non si tratta di una deità del tutto mistica, piuttosto di
un’ipotetica fonte d’appoggio da cercare non in via esclusiva in pectore, al contrario da allargare
alla sfera del pensiero, concreto-operativo, non vago, né consolatorio.
Ne I miei
occhi scrive il nostro Nazario:
I
miei occhi,
lucidi
e generosi […].
Si
appigliano
ad
orizzonti in cuore
a
bici sfrigolanti sui viali;
riposano
su
navate incrostate di memorie
o
su mura graffiate da giornate impazzite.
Non
mi chiedono che cosa poi avverrà
e
nemmeno mi esprimono dolori
per
distacchi forzati.
Posso
solo invocare perdono […]
Ma
anche se stanchi, però,
si
sperdono in viaggi senza limiti
inconsci
della loro ultimazione.
[pag.
56]
Il progetto lirico de I dintorni della solitudine progredisce fra enjambements e pause ravvicinate, mirando a ottenere, dei singoli
enti, non il dato come già appurato (positum),
semmai nella sua capacità di un’aura che sospende (ἐποχή-epoké) la validità di eventi scontati,
ponendosi in una prospettiva critica – di nuovo, in un punto di vista ispirativo
assai kantiano – all’altezza di interrompere certezze illusorie, ingannevoli, ma
non idonea a mistificare la dimensione inconscia. Del resto, la ψυχή (psiukè), traslata in poesia, in prodotto
artistico, come si differenzia – a parere di Pardini – in αἴσθησις
(aisthèsis) e λόγος (lògos), in sfumature intellettive e
della natura, raziocinio e sensibilità, pensiero ed estensione corporea? E qual
è la matrice unitaria alla base di simile articolazione?
Con riferimento all’aisthèsis, il tragitto umano appare in questa poetica un input pertinente al divenire naturale
delle cose, trovando invece nel lògos
un quid in grado di trascendere nei
fatti un ordine del genere. Nazario Pardini, in una personale sintonia con il genio
di Meßkirch, insieme a molti altri pensatori sembra aver superato la
strutturazione compiuta dagli atomisti greci, i quali non riuscivano, sempre seguendo
l’autore di Sein und Zeit, «a
distinguere il modo di essere della vita o dell’anima da quello della natura o
del mondo».
Ma, con la sofistica e Socrate, interviene
nella filosofia ellenica un cambiamento tematico fondamentale, descritto in
forma di passaggio dalla cosmologia all’antropologia: la grecità tanto vicina a Pardini appartiene a tale seconda fase.
Martin Heidegger la definisce – attraverso le parole di Franco Volpi, il suo
maggiore interprete italiano – «la transizione dalla considerazione del modo
d’essere dell’ente in generale, concepito come φύσις, all’analisi del modo
d’essere di quel particolare ente che è l’uomo». E se l’impronta esistenziale, per
Heidegger, è il Dasein (Esserci), ne I dintorni della solitudine si rivela lungo l’asse referenziale
della speranza, dell’amore, come rileva Miano nella prefazione: «Egli vive in ogni uomo e dell’uomo
scruta la trasparente caducità e per questo il poeta esalta le cose più
semplici. Per lui è essenziale fermare il tempo ma anche penetrare nella
mobilità mentale dell’uomo per scoprirne i disagi e la parte più creativa della
sua odissea, per potere poi cogliere quegli aspetti che spesso sfuggono anche
all’osservazione più attenta».
Trasferendo
il discorso nella psicoanalisi scientifica, per un ulteriore sguardo sulla
poetica di Pardini rinvio ora a Gaston Bachelard. In L’Eau et les Rêves (1942), spiega così l’orientamento delle sue
ricerche: «Per conoscere l’uomo abbiamo soltanto la lettura, la meravigliosa
lettura che giudica l’uomo in base a ciò ch’gli scrive. Amiamo soprattutto,
dell’uomo, ciò che di lui si può scrivere. Ciò che non può essere scritto,
merita forse di non essere vissuto? Abbiamo perciò dovuto contentarci di
studiare l’immaginazione materiale già innestata
e ci siamo quasi sempre limitati a studiare i diversi rami dell’immaginazione
che materializza sopra l’innesto
quando una cultura ha segnato una natura».
Nondimeno, Bachelard
tranquillizza da qualunque imbarazzo: «Questa non è una semplice metafora.
Riteniamo invece l’innesto un
concetto essenziale alla comprensione della psicologia umana. Secondo noi esso
è il segno umano, il segno necessario per l’immaginazione umana. L’innesto […] costringe il germoglio a
fiorire e dà la materia al fiore. Fuor d’ogni metafora, per produrre un’opera
poetica, occorre l’unione di un’attività fantastica con un’attività ideativa.
L’arte è natura innestata»
La dimensione
«fantastica» e la traccia «ideativa» sono i due poli dell’antologia di Nazario
Pardini. Ne I dintorni della solitudine,
l’energia psichica è attivata, promossa tra i simboli in un’unità inscindibile
di messaggio-contenuto: ne scaturiscono complessi semantici innestati su aggregati profondi della ψυχή
privata, in cui la sublimazione culturale risulta un prolungamento del sublime
naturale. Il sogno solo a volte si distingue dalla fantasia, dal fare poetico,
dal mero sensibile tattile o muscolare: il contenuto onirico manifesto non è
più separato dal contenuto latente ignoto. Lì entra l’Io narrante del poeta,
ispirato da meccanismi peculiari nonché da istanze subconsce impegnate ad accedere
all’Es con le sue offerte visionarie, ma radicate, angosciose, conflittuali, comunque
in progress per essere, se possibile,
risolte.
In
conclusione, ascoltiamo il consiglio di Nazario Pardini:
Andiamo, guarda, ora, si fa rosso,
l’orizzonte ci chiama; camminiamo
sul sentiero renoso; riprendiamo.
[da Verso
la foce, pag. 65].
Ringrazio
Adriano Camerini per la collaborazione alla stesura del testo.
Quella di Cinzia Baldazzi, non è solo una critica...è un'opera d'arte letteraria che arricchisce ulteriormente il capolavoro di Nazario Pardini (che la bravissima Baldazzi definisce simpaticamente "poetica pardiniana").
RispondiEliminaTi ringrazio, Sergio, della stima riservata che apprezzo molto e, soprattutto, sono grata per aver ricordato la mia, la nostra "poetica pardiniana".
RispondiEliminaCinzia
La disamina di Cinzia Baldazzi è condotta con estrema attenzione e dedizione (quell'attenzione e quella dedizione che il Critico deve possedere perché il suo lavoro assolva alla funzione cui viene chiamato: presentare il testo al lettore coinvolgendolo non soltanto per fini introduttivi ma per una partecipazione attiva dello stesso alla genesi ed alla vita dell'opera medesima.
RispondiEliminaIn altre parole, il fruitore arriva a sentire propria - in questo caso la poesia - al punto di viverla in modo autonomo, cogliendone aspetti altrimenti inaccessibili.
E bene fa Cinzia a citare Vittorio Vettori, il quale parla di un "pensiero poetante","un pensiero cioè originale perché originario, collegabile a determinati contesti culturali e ambientali".
Nel complimentarmi con lei, la ringrazio anche per la citazione della mia, molto più umile e modesta, considerazione.
Sandro Angelucci
Grazie, caro Sandro, per le tue parole che ho citato, e per la profonda considerazione sulla "poetica".
Eliminala penna di Cinzia Baldazzi è quanto mai interessante, ti costringe alla lettura per saperne di più. Trovo una parte,comincia con "seconda istanza" molto interessante che mi ha portato al confronto tra i conquistatori spagnoli e il popolo Guances. Congratulazioni Cinzia! Ad Maiora!
RispondiEliminaGrazie, Mapi, per il tuo raffinato approfondimento.
EliminaBrillante e straordinaria questa nota di Cinzia Baldazzi. Ricorrendo ad un apparato critico-filosofico di caratura molto elevata, qui si pone giustamente in evidenza la dimensione fantastica da cui è animata la poesia di Nazario Pardini, sottolineandone la componente contraddittoria e feconda che non rinuncia ai sogni, ai voli poetici, pur consapevole della loro possibile natura illusoria. Il "cuore", come lo definisce il Nostro, o il "petto", come lo definisce Junger, propina illusioni o verità? Direi che Nazario, rispetto a Leopardi che non ha dubbi sul carattere illusorio (sia pure indispensabile) della fantasia, conserva quell'incertezza feconda che gli fa dire: "Ma ero vivo? / o dentro me costruivo una coscienza / che non aveva a che fare col reale?". Sta qui la natura "binaria" di Pardini, ben evidenziata da questo acuto commento, che riporta la sua visione del mondo nell'abbraccio di quell'Armonia dei Contrari totalmente refrattaria ai processi dialettici e razionalistici iniziati dalla Sofistica (non direi da Socrate) e giunta al Nichilismo contemporaneo. Condivido totalmente il pensiero che la visione pardiniana del mondo sia "tutta una lotta contro il Nichilismo". In fondo il Dasein heideggeriano non è che il ritratto di un uomo dimezzato, costretto ad una vita inautentica, dove la dimensione dell'Essere appare come sfondo dimenticato. Un poeta come Nazario continua invece a farci sognare, consapevole che nel sogno c'è tutto: l'illusione senz'altro, ma anche la verità.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Profonda e articolata questa tua nota, Franco, al mio scritto sulla poetica di Pardini. E grazie per la precisazione circa la sofistica e Socrate, quest'ultimo forse impropriamente incluso nel discorso generale. Doloroso e appropriato, infine, l'uomo dimezzato di Heidegger.
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