Tutta la vita da vivere di Francesco Paolo Tanzj è un romanzo in 22 capitoli, narrato in 3^ persona da un autore esterno, che, però, focalizza sempre sul Protagonista, Sandèr - di cui riporta spesso il pensiero attraverso il discorso indiretto libero – il quale si convince di iniziare una nuova esistenza, dopo aver troncato col suo passato, segnato da un lavoro che non gli piaceva e da un matrimonio senza più via d’uscita.
È una narrazione circolare, con i capitoli I e XXI, ambientati nel presente, che funzionano
da cornice, racchiudendo la storia di Sandèr, attanagliato da una crisi della
quale non conosce l’origine, per cui novello Ulisse – richiamato alle pp.
140/141 – viaggia nello spazio e nel tempo, confrontandosi con gli amici di
sempre e con se stesso e trovando l’unica soluzione nella partenza per New
York, senza essere andato alla radice del suo male, che è quella dell’uomo del
Secondo Millennio, monade sperduta in una realtà difficile da comprendere, ma
che indirizza inesorabilmente la vita del singolo.
L’unica soluzione è la fuga, il
rimettersi in gioco, lasciando il certo per l’incerto, proprio come l’Ulisse
dantesco, che corre il rischio supremo non adattandosi al tran tran familiare.
Sandèr e i suoi amici sono dei reduci
del Sessantotto, che hanno perso i
loro punti fermi e che si adattano male alla realtà del mondo globalizzato,
anche praticandone tutte le manifestazioni peculiari esteriori. Il Protagonista
si presenta in una crisi totale e cerca una via d’uscita prima nell’amicizia,
percorrendo in lungo e in largo l’Italia, e poi nella fuga a New York, vista
come il luogo in cui è possibile una vita totalmente diversa. In coda, però,
c’è il veleno: come per l’Ulisse della Divina
Commedia, nell’ultimo tragico capitolo, la sua fine non è descritta.
La potente cronaca che Tanzj dà del disastro aereo, che inghiotte le speranze di
una nuova esistenza, non lascia spiragli e sembra suggerire che all’uomo
contemporaneo non sia consentita la fuga dalle responsabilità a favore di
un’autorealizzazione.
Con l’eccezione delle ultimissime
drammatiche pagine, lungo tutto il racconto Tanzj usa un tono lieve, con lunghe
descrizioni, che smorzano le tensioni, disegnano psicologicamente i vari
personaggi e fanno emergere inequivocabilmente ildisorientamento di Sandèr, il
quale cerca di esorcizzarlo tuffandosi nei ricordi e negli incontri con gli
amici di sempre, in un viaggio malinconico e ricco di rimpianti, che però non
lo distolgono dalla scelta di cambiare vita.
Per raccontare l’infruttuosa inchiesta di Sandèr, Tanzj usa un
linguaggio medio, farcito di luoghi comuni e derivante dai nuovi mezzi di
comunicazione, tipico di personaggi che hanno un livello di cultura medio e
che si sono fatti travolgere dalla società plasmata dalla globalizzazione, nella
quale l’imperativo principe è quello del soddisfacimento dei propri piaceri,
ignorando i bisogni e le difficoltà di gran parte dellepersone. Il romanzo di
Tanzj, illuminato dal finale, fotografa e, al tempo stesso, condanna gli
esponenti di una società leggeraed egoista.
Da leggere tutto d’un fiato.
Angelo Piemontese
Ringrazio Angelo Piemontese per questa seconda occasione di lettura di una recensione del romanzo di Francesco che attendo con ansia - lo avrò domani o dopodomani -. Mi ha molto colpito l'estratto: "L’unica soluzione è la fuga, il rimettersi in gioco, lasciando il certo per l’incerto, proprio come l’Ulisse dantesco, che corre il rischio supremo non adattandosi al tran tran familiare."
RispondiEliminaNello scorrere le righe dell'esegesi vedo il mio amico, impetuoso, in viaggio interiore ed esteriore, consapevole di essere solo tra la folla e mai rassegnato. So che il testo non è autobiografico, ma ognuno mette anche se stesso in ciò che scrive, inevitabilmente. Ringrazio l'Autore e non vedo l'ora di ricevere l'Opera! Complimenti a lui e a Francesco e un abbraccio.