Sentirsi minoranza nelle reti sociali, ovvero: quando le minoranze diventano maggioranza
Claudio Fiorentini,
collaboratore di Lèucade
Da sempre esistono
minoranze e maggioranze, in tutti i campi, e i diritti dell’una o dell’altra
vanno ascoltati, almeno fino a quando si deve prendere una decisione, e allora
si vota. La minoranza può anche avere ragione, e se argomenta bene il proprio
punto di vista, può anche diventare maggioranza… ma se non lo argomenta, che
succede? Forse non passa la sua proposta perché qualcuno ce l’ha con la
minoranza? C’è chi la pensa in questo modo e chi, invece, pensa che deve
argomentare meglio fino a far passare la sua idea, ammesso che sia giusta e
accettabile per tutti. La discussione e il dibattito sono il sale della
democrazia e ad essi partecipano tutti, anche le minoranze. Questo non è
dittatura.
Ma ora vorrei parlare di
un fenomeno che ci affligge, e che ha trasformato il concetto di minoranza in
rifugio di un pensiero che non affronta il dibattito, cosa enfatizzata nei
nostri giorni perché siamo tutti un po’ cibernauti.
Iniziamo da un dato di
fatto: il concetto di minoranza viene arricchito dal concetto di appartenenza,
e da dietro lo schermo del computer, chi non ha una preparazione specifica, può
dire la sua seguendo una certa corrente di pensiero e non approfondendo il
tema. Il contraddittorio richiede ricerca e fatica e, si sa, il nostro essere
emozionale preferisce seguire le semplificazioni che rispondono a particolari
esigenze più che al contraddittorio, anche perché le argomentazioni complesse e
articolate, se non si riducono al “mi piace”, vengono considerate prodotto del
potere. Certo, è meglio dar retta a chi dice “mi piace” in un modo o nell’altro
che dibattere fino a trovare un accordo, perché dibattere implica non tanto
imporre la propria idea, ma accettare le argomentazioni del dibattito: che
siano favorevoli o in contrapposizione, se ben esposte e fondate su
ragionamenti costruttivi, hanno un valore. Ma il popolo della rete raramente
ragiona così, la rete è frettolosa e rispondere a chi espone un ragionamento,
in contrapposizione con il proprio, non è ammissibile, meglio dire “è un
dialogo tra sordi” oppure “non occorre essere molto intelligenti per capire
che…” dando del poco intelligente a chi non è dello stesso avviso e tenta di
esporre il proprio punto di vista. Ma di questo si tratta, di esporre punti di
vista. Solo che se un punto di vista risponde a un’analisi diversa da quella della
minoranza, viene bollato come pensiero “mainstream”. Si ragiona per categorie.
Appartenere a una
minoranza ci fa diversi, ci fa sentire di essere la parte rivoluzionaria della
società, ci fa sentire speciali e, forse, sovversivi perché gli altri, la
maggioranza, rappresentano il pensiero allineato e vengono spesso presi di
petto se non addirittura insultati. Essere minoranza vuol dire anche combattere
per i diritti umani. Intendiamoci, a volte è vero, ma nella maggior parte dei
casi si cerca solo appartenenza da sbandierare nei “mi piace”, e questo non va
bene per ché si anima un fenomeno che non favorisce alcuna forma di dialogo, semmai
lo impedisce, e alla fine ci si trova a difendere il pensiero senza contraddittorio,
perché le reti sociali non hanno contraddittorio e perché il contraddittorio fa
paura. Già, per un pensiero che non ha argomenti validi, l’unica risposta è il
rifugio, la protezione del pensiero, la chiusura a riccio su una posizione che,
invece di essere portata avanti e difesa con la dialettica, si basa su prese di
posizione prive di fondamento. Non sempre, ma spesso. E come si difendono
questo pensiero o questa posizione? Con la divisione tra “io lo so, loro non
capiscono” oppure “la verità scomoda viene censurata, loro fanno il gioco dei
poteri forti” se non addirittura all’insulto. La realtà è che un guscio fondamentalista,
eretto a protezione di argomentazioni non sempre ben fondate, è il miglior
rifugio per un pensiero debole. Lo è anche perché i seguitori di questo
pensiero di solito non hanno le competenze per argomentare, né la voglia di
discernere tra giusto o sbagliato, semplicemente difendono la posizione a
oltranza, come un militare in trincea e, pur se lo fanno in assoluta buona fede,
vedono il dialogo come un attacco personale. Alla fine, nel sentirsi parte di
una minoranza che ha capito, ci si sente combattenti, ci si sente rivoluzionari
incompresi, ci si sente uomini degni della battaglia e… chi non è d’accordo
rappresenta il pensiero unico oppure fa parte di un complotto. Già, il
complotto. Fosse vero. In realtà è una giustificazione assai grave perché
converte quello della minoranza in martire del libero pensiero. Martire,
chiaro? E non è così che funziona il fondamentalismo?
Ora, però, invito a una
riflessione: sentirsi minoranza è un pensiero che probabilmente oggi appartiene
alla maggioranza. Già: tutti, bene o male, siamo minoranza. Ho detto “tutti”,
quindi la maggioranza è la minoranza che, essendo maggioranza, smette di essere
minoranza!
E come può la minoranza
proteggersi dal diluirsi nella maggioranza se non chiudendosi al dialogo?
Quindi la risposta è
chiara: bisogna alimentare i microfondamentalismi, bisogna fare in modo che ci
si senta depositari della verità con la possibilità di diventare autentici
rivoluzionari.
Ma attenzione, questi
microfondamentalismi devono essere contro il potere, e il potere ordisce complotti,
altrimenti non vale. Ma, ecco, proprio perché sono “micro”, assistiamo a una
disgregazione delle forze intellettuali e a una depredazione delle potenzialità
del pensiero, il pensiero forte, nei microfondamentalismi, scompare (e questo
sì che potrebbe essere il risultato di un complotto del “potere”)!
Quindi ci troviamo davanti
a situazioni paradossali, come ad esempio l’associazione che si chiude su se
stessa vivendo l’associazionismo come una sorta di centro di potere; oppure
l’artista, lo scrittore, il poeta… che si ritiene un martire del sistema perché
il suo talento non viene riconosciuto se non da chi lo applaude; il fanatico
della rete che, informandosi su youtube, rifiuta qualsiasi contraddittorio
perché lui conosce la verità e il resto è un complotto e comunque, chi tenta di dibattere diventa un
avversario. Ecco la parola: avversario, non più persona che contribuisce al
dibattito, ma avversario, anzi, nemico da neutralizzare…
Insomma, le microminoranze
vivono di microfondamentalismi. Più semplice: se la cantano e se la suonano tra
di loro, vanno avanti a suon di “mi piace”, gradiscono solo approvazioni e
arricchimenti della tesi iniziali che concettualmente si esplicano in “anch’io
l’ho sempre pensato, ma mi hanno bannato/a” e “la verità è scomoda e noi diamo
fastidio, per questo ci censurano”. Baluardi
della verità scomoda e vittime del sistema che li censura. È assai comodo
argomentare così, la dialettica e l’eloquenza non servono, il dibattito muore,
nasce il rivoluzionario fai da te, che spesso è rivoluzionario solo perché si
accoda a chi strilla di più (stendo un velo pietoso su quello che negli ultimi
trent’anni ha caratterizzato la nostra politica).
E intanto il mondo va a
rotoli.
Se ci unissimo veramente
per combattere per un obiettivo, per capire e magari per risolvere qualcosa che
riguarda tutti, che so, per esempio: l’ambiente, le migrazioni di massa, la
distribuzione della ricchezza… Se lo facessimo, non potremmo ottenere qualche
risultato? Ma non è possibile, lo dimostra la metamorfosi che abbiamo subito
durante questa pandemia, essendo diventati tutti animali da rete sociale,
esperti immunologi, epidemiologi eccetera, nessuno ormai in grado di capire le
dinamiche mondiali, nessuno in grado di ascoltare voci autorevoli posto che l’autorevolezza
è ormai qualcosa di soggettivo, qualcosa che decide youtube, e non la comunità
scientifica mondiale. Risultato? qualsiasi azione si frammenterà in gruppetti
sulle varie reti sociali e chi dirà che bisogna piantare girasoli chiuderà il
dialogo a chi difende gli ippocastani. Ognuno dicendo di conoscere la verità.
Cari amici, parlo a voi, a voi che vi arroccate nel vostro tempio di verità indiscutibili: siete parte di questo meccanismo e la vostra verità non è detto che sia la migliore. Apritevi, accettate la discussione e il contraddittorio, altrimenti l’umanità non avrà futuro.
Claudio Fiorentini
Per come la vedo io, il male dell'umanità odierna sta proprio nella dialettica, o meglio in quegli eccessi della dialettica che spingono ad innalzare bandiere. No, caro Claudio, bisogna vedere che uomo c'è sotto la bandiera, e ciò implica di spostare lo sguardo, dall'esterno all'interno di noi stessi. Non possiamo costruire un sano rapporto con gli altri, se evitiamo di essere autentici e sani innanzitutto con noi stessi. Dunque, meno critica e più autocritica. Più esempi e meno parole.
RispondiEliminaFranco Campegiani