Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade
“CHE SIA LA LUCE A TOGLIERMI IL RESPIRO”
Un
mattino che si dipana
quando
il cielo si piega all’alba nuova
Di
colpo le voci si ascoltano timidamente
soffocano
e si frantumano
E
aspettare è l’unico presagio
al
tempo che avvizzisce fra le mani
Tutto
poi riluce in un campo di trifogli
traspare
una visione cristallina
e i
luoghi si fanno oscuri
come
memorie confuse
Mentre
benedico le ombre che si parlano
-al
di là della solitudine-
c’è
il mio grido che ritorna
Come
lunghi echi
In
fondo al bosco
Credo che la chiave di lettura di questa
poesia, ma non solo: dell’intera nuova raccolta di Giannicola Ceccarossi, vada
ricercata in quel piegarsi del cielo ad un’alba nuova.
Potrebbe interpretarsi come segno di
sottomissione - e forse lo è pure - nondimeno, tuttavia, è volontà di vita,
forza della vita stessa che, pur di perpetuarsi, fa incurvare il cielo, vince
(per dirla con il compianto Battiato) “la luce e le correnti gravitazionali”.
Si parla troppo spesso - e a volte anche
a sproposito - di miracoli. Ma chiediamocelo: siamo davvero certi che si tratti
di qualcosa di sovrannaturale, dovuto all’intervento straordinario di una
Divinità? Personalmente non credo che attribuire al fenomeno una tale
connotazione aiuti a percepirne la reale dimensione.
Nel caso della presente raccolta, ad
esempio, la prodigiosità è affidata ad un fatto così normale e consueto da
nemmeno più suscitare stupore o meraviglia in chi lo osserva.
In effetti, il volo degli uccelli è un
miracolo. E non lo è perché quelle ali sono in grado di sostenere corpi in
aria, ma per un motivo molto più importante: l’evento miracoloso consiste nella
magia sottesa al volare stesso, nella capacità e nella forza che ha di aprirsi
al cielo e di dissipare le tenebre.
“E’
notte / Senza barlumi / Notte in cerca di uno spiraglio / a questa insonnia che
si agita tra le cime /…. / Solo il mormorio dei platani / mi riconduce alla
realtà / Ed è un miracolo il volo degli uccelli”.
Qual è la realtà? È quella dell’insonnia
che toglie le ore alla vita, più ancora che al sonno, o è quella che le
aggiunge con la semplicità di uno stormire di foglie?
È quella che copre il Sole con le nuvole
delle preoccupazioni e delle angosce quotidiane o è quella che lo rende
visibile perché fa alzare lo sguardo verso le chiome dei platani e i voli?
La risposta viene dallo stesso poeta, che
così chiude la lirica di p.15: “Non
fatemi spegnere al buio! / Che sia la luce a togliermi il respiro”.
Qualcuno potrebbe obiettare che le cose,
nella vita di tutti i giorni, non stanno in questo modo, che se si guarda
sempre in alto si rischia d’inciampare. Bene, può anche darsi ma, sinceramente,
a me non sembra che, tenendo gli occhi costantemente puntati sugli ostacoli da
evitare, alla fine si siano raggiunti risultati migliori. È vero: l’uomo ha
saputo far fronte alle avversità ricorrendo alla scienza che, indubbiamente, lo
ha affrancato dai disagi, lo ha salvato, non da
tutte, ma da molte malattie mortali; ha saputo ridurre l’indigenza
generalizzata ma, tuttora, ci sono bambini in Africa che muoiono di stenti per
la povertà.
Mi viene allora da pensare: e se non
fosse questa la soluzione? Se ce ne
fosse un’altra, solo apparentemente aleatoria, che ci permetta di concentrare
gli sforzi nella direzione di quei voli di cui qui si parla?
Ceccarossi ce lo dice con i versi che ha
voluto raccogliere. Ce lo dice senza eludere la fatica del vivere:
Si
apre un alto chiarore
con
strade inzuppate e orme
E
ci avvolge l’allegria
l’odore
dei tagli d’erba
l’aurora
che accoglie stormi
il
murmure placido del tramonto
E
a ogni risveglio
è
un sussurro d’amore
Eppure
siamo nuovamente qui ad affannarci
ad
assaporare il profumo dei campi
il
tempo lieve che rimane
e
nessun rimpianto
E
così
continueremo
a sognare
Si - certo - si continua a sognare
nell’affanno dei giorni, perché ogni
giorno si apre a nuovo chiarore, ogni risveglio è “sussurro d’amore”.
“Noi siamo fatti della stessa sostanza
dei sogni […]” (W. Shakespeare, La tempesta, Atto IV, Scena I). E, più
recentemente: “Bisogna credere ai miracoli, soprattutto quelli fatti dall’uomo
e impegnarsi perché i sogni e le utopie si realizzino” (Ettore Scola, regista e
sceneggiatore).
Quest’ultima citazione mi offre il
destro - senza nulla togliere al grande drammaturgo inglese, s’intende - per
riallacciarmi al discorso. Il noto cineasta invita a confidare nei miracoli ma
- sostiene - prediligendo “quelli fatti dell’uomo”.
Bene: mi sento di aggiungere che
l’unico, vero prodigio, di cui gli uomini sono capaci, si possa riassumere in
questo: vivere il mistero della vita con la consapevolezza di chi sa che la
fantasia supera di gran lunga la realtà, quella tangibile però - attenzione -
non di certo quella che accoglie gli stormi, parafrasando il Nostro, che
oltrepassa ogni immaginazione.
Ma è proprio lì il nocciolo della
questione: divenire noi stessi mistero e non allontanarcene come, invece,
ripetutamente facciamo.
Sentirsi, shakespearianamente, carne
dei sogni. Mettersi in ascolto del cantastorie che “Racconta di un bambino / che adorava foreste e ghiande / Crebbe /
divenne grande / ma non dimenticò il sole e le comete”.
E, se “è pur vero che il (nostro) clamore / spaventa i passeri” è altrettanto e oltremodo assodato che saranno loro, miracolosamente, a rassicurarci, a prendersi cura di noi perché - e concludo - ci porteranno oltre lo spazio e il tempo delle “correnti gravitazionali”.
Sandro Angelucci
Giannicola
Ceccarossi. Ed è un miracolo il volo degli uccelli. Ibiskos Ed. 2021. Pp.40. €12,00
Credo sia impossibile arrivare a descrivere con le parole le sensazioni che donano due Poeti simili a confronto. L'uno, Sandro, parla dell'Opera dell'Altro e si fonde con il suo pensiero e con il suo essere. Il titolo della Silloge, che ben conosco e amo moltissimo, dà il titolo alla lirica fondante e Sandro lo legge con queste sublimi parole: "In effetti, il volo degli uccelli è un miracolo. E non lo è perché quelle ali sono in grado di sostenere corpi in aria, ma per un motivo molto più importante: l’evento miracoloso consiste nella magia sottesa al volare stesso, nella capacità e nella forza che ha di aprirsi al cielo e di dissipare le tenebre". Si può commentare un'esegeta simile? La lettura critica culmina, a mio umile avviso, nella chiusa, che torna sugli stormi, sul valore del loro volo e recita: "E, se “è pur vero che il (nostro) clamore / spaventa i passeri” è altrettanto e oltremodo assodato che saranno loro, miracolosamente, a rassicurarci, a prendersi cura di noi perché - e concludo - ci porteranno oltre lo spazio e il tempo delle “correnti gravitazionali”. Le 'correnti' citate, care al grande Battiato, rappresentano per noi uomini la sola 'cura', i'unico modo per vincere le pochezze terrene, per sfidare il tempo e permettere 'al cielo di incurvarsi'. Sono commossa, stordita. Solo un autentico, immenso Poeta può compiere questi 'miracoli'. Ringrazio Sandro e Giannicola e li abbraccio entrambi con stima e affetto infiniti!
RispondiEliminaHo letto con grande interesse sia i versi del poeta sia la recensione di Sandro. L'ho fatto tornando a rileggere con l'ascolto del recensore ogni parola. La realtà è esterna a noi stessi, il miracolo della vita conduce l'eternità di un volo uguale a un altro e noi, il miracolo del tutto. Complimenti a entrambi.
RispondiEliminaNon ho letto il testo poetico di Ceccarossi di cui parla Sandro con così grande acume. Concordo comunque con l'idea qui sostenuta che i miracoli sono quelli che si svolgono nell'umiltà intorno a noi. Senza clangori e senza bisogno di spettacolarità, né di rapite platee pronte ad applaudire. I miracoli li fanno gli uccelli con il loro volo, così come li fa il vento con la sua musica, il fiore con i suoi profumi, il bimbo con il suo sorriso ed il sole che irradia luce e calore. I miracoli fatti da una divinità non sono miracolosi. I veri miracoli li fanno gli uomini (parlo di quelli anonimi molto più che di quelli celebri), quando sfidano se stessi accettando di sacrificarsi per nobili ideali nel silenzio e nel piccolo raggio del proprio agire quotidiano.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ringrazio di cuore i tre cari amici per i loro, lusinghieri e affettuosi commenti...Quando, in poesia, un critico scrive bene è perché, prima di lui, ha scritto ancora meglio il poeta!
RispondiEliminaVi abbraccio tutti.
Sandro