Carmen Moscariello, collaboratrice di Lèucade |
Nazario Pardini “
Alla volta di Lèucade”
Magnolia d'autunno[1]
Poi l’estate svanisce e passa, arriva ottobre. Si fiuta l’umidità, si sente una chiarezza insospettabile, un brivido nervoso, una felice esaltazione, un senso di tristezza e di partenza.[2]
NUOVO MERIDIONALISMO, RIVISTA CULTURALE DI GIUSEPPE IULIANO |
Che cos’è l’autunno per un poeta? Che
cos’è l’Autunno per il Poeta Pardini ?
Fin dalla Poesia più giovane, Egli
ha creato versi, per certi aspetti,
evanescenti, avvolti dai ritmi
coraggiosi di oltrepassare la nebbia. Una ricerca mai soddisfatta di una
vita che abbia, fino in fondo, o meglio fino al gradino più alto, un senso.
Quando leggo i suoi versi penso a certi quadri
di Van Gogh, mi riferisco in particolar modo a un Autoritratto, quello a
tempera segnato e scavato dalla spatola del 1887, forse l’unico in cui non è
rappresentata nello sguardo la follia, qui gli occhi esprimono una poetica lontananza, una malinconia dell’impossibile.
Elemento importante nei versi di
Pardini, come nell’Autoritratto, sono i segni materici che non nascono dai pennelli, ma dall’uso
accorto di un punteruolo. Né è difficile cogliere una tridimensionalità della
scrittura, soprattutto nelle descrizione dei paesaggi, che sono una costante
dei suoi versi. Mi è sembrato che definirli descrittivi fosse un grande limite,
né possiamo chiamarli pascoliani, se solo pensiamo a “L’autunno “ di Pascoli.
Sembrerebbe ,all’inizio, che “l’attacco” sia proprio quello di Pascoli, ma
Pardini non si contenta di un lancio epigrammatico e basta, egli ama l’affondo
che è conoscenza, che è sapienza. Questa è una radice importante della sua
cultura classica e di grande conoscitore dei testi latini e greci. Quello che
ho detto non si intende come “attingere” dagli antichi. Nei suoi lunghi anni di
studio , grazie a quelle radici, ha saputo maturare una tecnica linguistica che
si è ampiamente inzuppata della sua malinconia. Ci riferiamo all’eleganza, alla
finezza nel costruire poesie. Come se esse fossero opere architettoniche con
colonne ioniche che dovranno durare per millenni.
Vogliamo soffermarci anche su una costruzione tridimensionale
della poesia di Pardini (come Dalì nel
quadro Mediterraneo), se pensiamo a
quest’opera del Pittore e la guardiamo frontalmente, si vede la sua donna dipinta
di spalle, nuda, che guarda il mare, se,
invece, quel quadro lo guardiamo di notte con gli occhi dal basso verso l’alto,
ci appare prepotentemente il fuoco di una croce e, poi, ancora, da altre
angolazioni e proiezioni di luce ,si può scorgere chiaramente il viso di Abramo
Lincoln. Così è per il Poeta Pardini: quella, che apparentemente può sembrarci una
poesia classica che ci apre a ventaglio “ Le stagioni”, in verità ha
compiuto grandi spirali, vere e proprie volute
palladiane, non dissimili da un capitello ionico. Dunque attua nella lingua,
come nei molteplici contenuti, una grande rivoluzione ed evoluzione. Infatti ,se in una poesia
sembrerebbe che ci parli del mare o del suo passato, si colgono, invece , anche percorsi meditativi da
scandaglio su più superfici, quali la natura, l’anima, il ricordo, la tensione
di un amore non vissuto , così come accade in “ Gala mirant el mar”(1974-76).
Il poeta è sempre rivolto al suo
passato bucolico, con forti passioni, anch’egli lo troviamo spesso a mirare il
mare, mentre la sua volontà tersa, come una spatola, incide nel paesaggio con l’unico scopo di
lasciare un filo d’Arianna alla sua anima. E’,
un percorso terso e , nel contempo, accidentato. L’eleganza della sua
parola nutritasi alle fonti di Apollo e di Calliope, non fa che esaltare quel
senso accidentato della vita, morso da una precarietà dannata. Un destino
accovacciato sulle nostre porte, pronto a toglierci tutto, anche la vita.
La straordinaria prefazione di
“Alla volta di Lèucade” porta la firma
di uno dei più importanti degli intellettuali- poeti pisani- fiorentini ,che certamente ha
conosciuto personalmente il Poeta, avendo soggiornato a Pisa per molti anni, mi
riferisco a Vittorio Vettori. Il grande critico-poeta scrive e titola la prefazione “Quel che resta di una
solitudine” (e di un impero),fondendo in modo originale e inappuntabile, la
grandezza signorile e solitaria di Pisa con quella del Poeta. Con ampi
riferimenti a Rudolf Borchardt [3].Pone le parole dello scrittore
tedesco all’ incipit dell’introduzione, credo
per l’accomunamento di studi tra Borchardt e il Pardini, in quanto Borchardt
aveva le sue radici negli gli studi di scienze antiche che aveva compiuto
all’università di Bonn e di Gottinga.
L’anima del Pardini è talmente permeata della cultura classica che la
sua scrittura anche quando diviene oggettiva, agreste, contadina, non ha cadute
, continua come un brano di Johannes Brahms senza iato in un concerto di
involucri di violini, così bene intonati che, a volte, durante la lettura dei
suoi testi, mi sono chiesta se non
stessi leggendo Omero o Sofocle, o ascoltando l’arpa del Tiaso sull’isola di
Lesbo. Insomma, la sua scrittura è eleganza, ma mai freddo estetismo, è musica,
ma di quella alla quale era educato l’orecchio di Holderlin, prima di
impazzire. Non cito a caso Holderlin e il suo impazzire, sappiamo che il grande
Poeta tedesco, quando si accorgerà che di
quella somma arte dell’armonia, nella Grecia moderna se ne era persa ogni traccia, egli impazzirà. Voglio
dire che il Poeta è in solitudine, ma ha occhi bene aperti sul mondo, anzi la sua
conoscenza è sapienziale; se ne sta da parte, ma ha creato la sua isola di Lèucade, dove fa
approdare solo le navi o le navicelle che ritiene degne. Credo che lo stesso
miracolo culturale e poetico di “Lèucade” che il Poeta cura come un innamorato,
sia un ennesimo trinceramento, in spazi dove poter vivere vite molteplici e
attese sublimi, lontananze o vicinanze di un’antica malinconia che scandisce i
suoi versi.
In nessun poeta , come in Nazario Pardini, il
dualismo vita-morte, questi due estremi, vengono, simmetricamente, direi
matematicamente, divisi e, sempre, nel contempo, presenti, anzi fin da giovane,
riscontriamo quella sottile essenza della morte, nemmeno tanto invisibile. Ritornando alla prefazione di Vittorio
Vettori, passando tra gli Epilegomini su Dante (1923) di Borchardt, con tutta
l’infinita stima e ammirazione che nutro per le opere di Vettori, credo che lo
spirito pisano del grande Poeta sia solo un aspetto, una configurazione
immediata: nel profondo del puzzle c’è un’anima antigonea, un ribelle della
sorte, uno che conosce il male e lo disdegna come la peste di questi nostri
giorni drammatici. L a prigione alla quale mi riferisco è quella di molti intellettuali, che non si sentono di
appartenere ad un mondo estraneo alla loro anima. Pur incantati di fronte ai versi così unici e
straordinari di Pardini, che racchiudono senza ombra di dubbio tutta l’eleganza
e l’armonia, certamente anche la bellezza che cercava Holderlin nella Grecia
antica, insisto su una verve, che in altri tempi mi ha fatto pensare a un a
poesia decadente, crepuscolare,
autunnale, aspetti anche questi presenti , ma bisogna guardare a “quest’angelo
che guarda il passato”[4] anche con altri presupposti .
Infatti, non possiamo dimenticare la sua
saggezza che gli viene dalla terra di suo padre che lo rende uomo attento, che
sa creare netti spartiacque tra l’isola di Lèucade e quella che è davvero la
vita. Vita amata e temuta da quell’angelo della malinconia, che sembra sussurrargli all’orecchio tutta la
nostra precarietà.
Carmen Moscariello
Nazario Pardini “ Alla
volta di Lèucade” Prefazione di Vittorio Vettori. Postfazione di Floriano
Romboli. Editrice Mediterranea.
I miei più vivi complimenti a Carmen Moscariello che spicca il volo sull'autunno del nostro Nazario e ne tratteggia ogni sfumatura. Come uccello in amore viaggia sull'Opera "Alla volta di Leucade", testo dal quale si resta stregati, perchè rappresenta l'origine della storia che ci è concesso vivere sul blog creato dal Poeta, e costruisce con devozione un nuovo nido, grande sogno d'armonia. L'esegeta precisa che "la sua scrittura è eleganza, ma mai freddo estetismo, è musica, ma di quella alla quale era educato l’orecchio di Holderlin, prima di impazzire" ed è nel focus artistico del nostro Nume Tutelare. Non esiste un confronto più centrato. La presenza della musica nella vita e nella poesia di Hölderlin occupa un posto primario, è continua e specifica come forse in nessun altro poeta. Leopardi, di cui spesso vengono notate alcune affinità con Hölderlin, fu poeta musicalissimo e amantissimo
RispondiEliminadella musica, pur non conoscendola. Nazario è degno di essere evocato tra artisti simili. Sta compiendo passi da gigante nella Storia con umiltà e tendendosi ad arco verso gli altri. L'Autrice spicca il volo e legge la sua anima con eccellente sapienza. Ringrazio entrambi e li abbraccio con stima e affetto.
Grazie Maria Rizzi.
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