Il caso
Sì, un caso difficile, ma per
noi molto stimolante.
Tutto il nostro lavoro è stimolante, ci piace, lo riteniamo
utile, e ha in sé una peculiarità che lo rende del tutto diverso da ogni tipo
di routine lavorativa.
Il caso in questione ha messo in subbuglio le nostre cellule cerebrali, ma nonostante
l'intenso lavorio, la personale bravura e il sapere dei trattati, non
riusciamo a levarci le gambe.
Il nostro è uno studio molto ben accreditato, siamo un
tandem che va forte: due studiose con diverso temperamento, sempre attente a scambiarci i casi che di volta in
volta riteniamo più adatti all'una o all'altra. Abbiamo un nostro
segreto, ed è quello il punto di forza del successo di psicoterapeute.
Ovviamente resta un segreto, anche qui, per ora.
Il caso ha nome Fausto, persona non comune, a partire
proprio dal nome. Gli antichi Romani
dicevano "nomen omen", ma il Nostro smentisce in toto questo
detto. L'uomo non è ancora vecchio, è in buona salute, ma a detta dei Dottori
ha una malattia che non è malattia e pertanto non si può curare. Depressione?
No.
Precoce demenza senile? No. Qualsiasi tipo di analisi o
esame clinico ha messo in evidenza corpo e mente sani. Eppure Fausto ha un
comportamento innaturale, che nessuno sa capire da dove abbia origine.
Ogni mattina, dopo una silenziosa colazione, l’uomo prende
un libro a caso dagli scaffali, e va a sedersi in luogo appartato. Lì si ferma
fino all'ora di pranzo.
Ha il mento sul petto, gli occhi semichiusi sul nulla; su
quel nulla che solo lui sa o vede.
In quel nulla non è facile entrare, e sicuramente sta proprio lì il ‘baco’ della malattia, dico
io alla mia collega.
-Dobbiamo arrenderci? -, ribatte lei con aria di sfida.
- No, certo!
Come ogni sera ci riuniamo
per il nostro consulto con gli "aiuti" scelti per l'occasione.
Ciascuno ha una risposta, ciascuno una domanda o una riflessione e tutte le
nostre sinapsi lavorano, fanno un mixage
che elaboriamo singolarmente il giorno
dopo.
Il Cliente (il paziente?) ovviamente non è in presenza, ma
i nostri sistemi tendono a raggiungerlo ugualmente nel suo mondo. Abbiamo dei complici, questo è l'ultimo
ritrovato, che ha già dato qualche
successo.
Abbiamo appurato che Fausto non ha amici, ma ne ha avuti
molti, in passato. Oggi rifiuta gli incontri e raramente apre bocca per
conversare.
Tutto lascia a indovinare una situazione di rifiuto, ma è
persona tranquilla e nessuno ci fa caso.
- E' un asociale! - , è stata la conclusione unanime del consiglio
serale.
A noi due ora spetta il prossimo passo: convincere Fausto ad un incontro con noi. Ovviamente fuori
dagli schemi convenzionali. Domani ci prova la collega.
L'ultima chance sarà cercare di conoscere i contenuti del
suo cellulare, anche quelli del passato.
* * *
Il ‘caso’ è passato a me. Sono in molti a contestare il mio
approccio terapeutico, perché rompo gli schemi ed evito di adeguarmi alle
situazioni convenzionali. La collega ne
è consapevole ed è contenta di avermi come compagna di viaggio, in quanto
fondamentalmente nutre verso la nostra professione gli stessi dubbi che paleso
io. Siamo entrambe volte verso una psicologia umanistica, e rifiutiamo il
termine paziente il quanto lo consideriamo viziato dal concetto di malattia. Il
termine ‘caso’ o cliente ci consente di comprendere empaticamente come l’altro
costruisce il proprio rapporto con se stesso, gli altri, il mondo. L’attuale
comportamento di Fausto, per
esempio, potrebbe essere solo la
conseguenza di un determinato fluire di stadi, e non è detto che la sua libertà
vada ostacolata. Gli ‘aiuti’ nicchieranno prendendo atto che anche in questa
circostanza tendo a evitare ogni pregiudizio sul cliente e a optare per una
relazione paritetica per incitarlo a utilizzare le sue risorse personali… sono
convinti che ne sia privo, ma io voglio vestire i suoi panni e provare a vedere
il mondo con i suoi occhi. Ritengo
opportuno incontrarlo al di fuori delle situazioni convenzionali, ma escludo di
poter passare al setaccio la sua intimità. E sono certa che la collega approverà
le mie idee.
Ieri ho chiesto a Fausto se gradiva fare colazione con me e
lui con riluttanza e con la sinteticità che lo caratterizza, mi ha risposto che,
se proprio dovevamo, preferiva che avvenisse a casa sua. Non chiedevo di meglio. Condividere il suo
ambiente, le sue abitudini, la sua realtà.
La casa dell’uomo - voglio evitare di definirlo caso o
cliente -, è piccola, ordinata, molto pulita. L’arredamento è minimalista, ma
non si scorgono forme di ossessione. Se proprio dovessi trovarne una sarebbero
i libri e mi sentirei folle a definirli
una forma di patologia. Fausto è circondato da testi di ogni genere:
negli scaffali delle due librerie, sulla scrivania, sul tavolo di cucina, sui comodini. Libri di narrativa,
di filosofia, saggi storici, sillogi di poesie, antologie di grandi della
Letteratura.
Mentre scorro i titoli avverto il suo sguardo preoccupato
che mi osserva e gli sorrido.
- Gran bella collezione -, esordisco rassicurante, mentre
mi siedo al tavolo per condividere la colazione.
Fausto ha un senso dell’ospitalità che va al di là delle
parole. Ha apparecchiato con cura e mi sta servendo il cappuccino in tazze di
Limoges. Sulla tovaglietta di lino ha predisposto un vassoio di croissant e di
dolcetti e due brocche con succhi di frutta.
Non è un asociale. Sa stare con gli altri e se ha scelto la solitudine
avrà avuto i suoi buoni motivi. Non capisco perché dovremmo analizzarlo. Vive
solo e non conosco il motivo per cui il medico curante si sia preso la briga di segnalarlo. Di solito sono
i familiari a preoccuparsi per il comportamento di un parente o, in casi
diversi da questo, la persona stessa, a scegliere di rivolgersi a noi per un
aiuto. I Dottori da cui è stato mandato, lo definiscono sano, ma da un lungo
periodo noi ci arrovelliamo dietro un individuo pacifico, che ha cambiato stile
di vita. Io sono sempre più ferma nel
credere che ognuno debba auto realizzarsi come preferisce e che nel corso
dell’esistenza possano mutare le modalità di comportamento.
Se Fausto preferisce la solitudine e la lettura avrà i suoi
motivi.
Dov’è il ‘baco’? Mentre me lo chiedo, mi guarda con i suoi
bellissimi occhi screziati di pagliuzze d’oro e dice:
- Mi spiega da cosa devo guarire? -
La domanda secca, senza venature d’ironia, mi provoca uno
stato di malessere. Sento il disagio di essere lì, di doverlo osservare come
una cavia da laboratorio. Vorrei sapere che sto gustando la colazione e
parlando un po’ con lui, se ne ha voglia. E di colpo decido di essere solo me
stessa. Invitata da un amico, non da un
cliente. Mi presento per nome, gli
rispondo con sincerità:
- Lei non è malato. Ha cambiato stile di vita. Dal mio punto
di vista può succedere. -
Noto che il viso di Fausto si distende. Le rughe
d’espressione scompaiono, accenna un sorriso e sussurra:
- Ho scelto i libri perché non tradiscono, perché sono aria
fresca, inalata per continuare a far battere il cuore, a far immaginare il
cervello, a tenere vivi i ricordi e i sogni.
Non lo dica a nessuno… -
Lillà e Margherita
Care Lillà e Margherita, mi piacerebbe che mi svelaste il segreto che vi porta a scrivere un racconto così coeso, senza sbavature lavorando in due. I testi a quattro mani non sono una novità: un esempio quelli della Delly pseudonimo che celava due fratelli- uomo e donna - che scrivevano insieme. Però erano romanzi - quei romanzi rosa che hanno allietato la giovinezza delle nostre madri - e presumevo che ciascuno scrivesse la parte inerente il proprio sesso. Infatti si trattava quasi sempre di due giovani che si odiavano ferocemente ma poi tramutavano l'ostilità l'uno per l'altra in un folle amore.
RispondiEliminaBeh, dico la verità, vi scopiazzerei volentieri se trovassi un partner all'altezza. Intanto complimenti!
Carla Baroni
Carla mia, sto portando avanti quest'esperienza dall'inizio della pandemia, l'ho sempre considerata un'esperienza arricchente (tant'è che ho concepito a quattro mani con un amico di Teramo un testo sulle donne storiche), ma in quest'anno e quattro mesi è stato una sorta di cordone ombelicale per tenermi stretta agli amici. Con Edda siamo arrivate a undici e a entrambe sembra incredibile. L'idea di usare gli pseudonimi floreali l'ha avuta la mia splendida compagna di viaggio e trovo sia un espediente che permette anche a coloro che ci conoscono bene di non distinguerci. Ti ringrazio tantissimo per questo commento e per l'affetto e l'ammirazione che dimostri. Ti garantisco che sono ricambiati. E ti abbraccio forte forte unendo nella stretta la mia 'socia' e il Nume Tutelare.
EliminaRingrazio infinitamente Nazario per aver ospitato subito anche l'undicesimo racconto a due cuori, concepito con la
RispondiEliminacarissima Edda! Li abbraccio entrambi con tutto il mio affetto.
Il "duo" perfetto, congiunto nello spirito di una fattiva collaborazione , ringrazia l'amato Capitano di Leucade e i lettori dei" Racconti a quattro mani" augurando agli amici tutti Buone Vacanze.
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