giovedì 19 luglio 2012

Poesie di Pasquale Balestriere


AVVENTURA

Non più frontiere ha questa sera
che sgronda a brani
memorie e si trascina
alle spalle un giorno morto
con indicibile dolcezza.
Perciò saprei ridire ad una ad una
le favole impiccate al campanile.
Ma guardo avanti, ché grave mi spinge
l’arido tempo con passo tiranno.
Al vento ve n’andate, amori miei,
al vento, che mi strappa a giorno a giorno
scaglie di cuore. Un manipolo ardente
di strade uguali si sfrangia
in questa sorda avventura. Per una
d’esse me n’andrò rinnegando
le scelte dagli occhi di vento.
Ho cuore puro e mano ferma: viatico
bastevole per chi
è risoluto alla vita.




EBBREZZA


Riposa questo labbro
di cielo al crinale (varco di sogni,
fuga di sole occiduo) in allegria
di squille crepuscolari.
Pensieri volteggiano - ciechi
pipistrelli-  che insonni batteranno
la notte. Restiamo, dunque, noi due
almeno a stringere questo docile
corpo della sera, ebbri d’estenuata
dolcezza, scampati a ogni tempo e spazio.
Si potrebbe morire senza traumi
nel trionfo profumato delle zagare.
Ah, sorbite leggende della puerizia,
risorte a danno del masso tombale
del tempo, metafore arrochite,
discrimine perenne
tra ciò che fummo e siamo!
Ah, mare pugnace dei ricordi,
sale bruciante di attimi remoti,
lame sottili e dolenti!
Ma ecco, il vate glorioso
accorre su respiri
di nubi con passo felice
e libera facondie di messaggi,
nitido verbo che disàncora dall’ovvio,
dà voce all’ineffabile.
Alle labbra del sole balzerà
un mattino seducente tra cuspidi
di colli e valli e gialli ginestroni.
             
E sarà infine luminoso giorno.

                                                                                  


L A B U N TU R  A N N I

                                       
Il nichelino che ancora ci resta
da spendere è moneta da niente che
tu t’ostini a valutare sonante.
Presto, roche lucerne, abdicheremo
al soffio d’aria ch’ora ci appartiene;
che svanirà d’incanto per comporsi
in nuove incarnazioni e sentimenti.
Perciò non ti accanire più a sentirti
radica ruderale, antico ceppo
ubriaco di polloni,
cuore pulsante d’agreste vigore;
e lascia stare ogni sopravvivenza
ché, come sai,  troppo spesso la storia
nel suo svagato e vano
andare divinizza immeritevoli
parvenze, semplici giochi di luce.

Ecco, il giorno muore appeso a fantasmi
di colline, oltre crinali avvampati
rotola il sole. E nell’acre sospiro
del tramonto c’inseguono
effigi primordiali di memorie,
ardenti archetipi, muta feroce.

Ora poi che l’ostiario s’è assopito
infilano la porta e al largo sbandano
senza rispetto d’icone sbrigliati
pensieri: seminato
pianto, infruttifero grido di giorni
che
                      il pio occidente
                                        accoglie.


             
                                                                                                   

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