martedì 19 febbraio 2013

N. PARDINI: LETTURA DI "TEMPO FUGGITIVO" DI L. GASPARRONI



Luigi Gasparroni: TEMPO FUGGITIVO. 
Artemisia Edizioni. Sant'Angelo (Te). 2013


Veloce il tramonto.

Lungo è l’inverno,

lungo e tedioso l’inverno.

Ho sparso briciole di pane

sul balcone:

i passeri guardinghi vengono

e vanno come i miei pensieri.

Leggere i versi di Luigi Gasparroni significa farsi poeti, tanto è immediato l’impatto emotivo-esistenziale che trasmettono. Le occasioni sono plurime e contaminanti. I giochi metrici, vari e articolati, coinvolgono per semplicità e forza creativa. Una semplicità che è il sale della poesia. Non ricorre, o ricorre raramente, a figure stilistiche di cui spesso si abusa nella letteratura contemporanea e che spesso sono d’impatto alla comunicazione e alla sintonizzazione sentimentale. Una poesia che scorre limpida e cristallina come l’acqua di una sorgente fra gli argini di una quotidianità sconcertante nella sua dimensione temporale e ambientale. Sì!, è proprio la quotidianità il suo raggio d’azione, è là che attinge il poeta, dalle questioni di ogni giorno, dalla vita, dalla sua realtà, ma anche dalla memoria di affetti e sprazzi di esistenza che ritornano a galla alimentati da un sentire fortemente presente:

Ora dall’alto continui a rimirare

la tua terra dai prati luminosi

e i tuoi animali

che docili ti seguono ancora. (A mio fratello).


Quando l’esistenza fluiva lenta

tra le colline verdi

e l’allegro frondeggiare dei pioppi,

(…)

era l’innocenza che ci rendeva

felici. (Infanzia).

E il tutto, con le sue sfaccettature tuffate in un animo tanto disposto al poiein, si eleva dal soggettivo all’oggettivo, dall’umano all’ultra, al cielo, con un sapore di smarrimento, di grande emozione:
Fermi alle finestre guardammo il sole

arso da sinistri bagliori.

Sulle nostre labbra un lieve sorriso

e piccole parole senza senso. ( Bufera).


Un giorno saremo al di là

di questo magnifico cielo

e guarderemo con nostalgia

la terra ormai lontana. (Terra lontana).

Ed è la natura, con tutto il suo potere, tutta la sua energia, che si offre al poeta, disposta e disponibile a concretizzare tutto il suo pathos, tutta la sua carica esistenziale: la vecchia quercia, le briciole di pane, il barlume dell’alba, lo scirocco, la prima neve, le siepi di spine, le stanze dell’infanzia, i boschi e le vigne sono tanti frammenti di un’anima tutta volta a ritrovarsi in colori e sapori per farsi viva. Ed è così che la natura con tutte le simbologie cromatiche e visive, con tutti i suoi autunni, inverni, primavere  e fulgori estivi, aiuta il poeta a trasmettere il senso di precarietà dell’essere e dell’esistere; la visione della caducità del tempo. Tutto si rende allusivo e simbolico. Tutto si fa fortemente terreno ed umano:
 Immersi nelle dolci acque

dell’infanzia

guardiamo un cielo colmo

di striduli voli.

E’ fragile tregua di tempo

che più non ritorna. (Vecchio cuore).


Nei chiari occhi appare

il tormento dei giorni dell’attesa

e un’amara dolcezza è la memoria

del tempo fuggitivo. (Tempo fuggitivo).

Dum loquimur fugerit invida aetas. Questo senso del presente che fugge s’insinua nel fluire della versificazione come filo conduttore, come leit motiv a rendere omogenea e compatta l’opera.   
Ma il Nostro sa anche fuggire da una realtà che incombe, per trasferirsi, anima e corpo, nell’amore per la vita. E c’è il senso della sua sacralità. C’è il modo di vincere questo sentimento di precarietà; questo senso d’inconsistenza della felicità “che già muore dopo averla/ appena goduta”; la possiamo vincere questa nostra dicotomica avventura  di esseri terreni col pensiero all’oltre, sì!, “se col cuore in mano/ guarderemo il nostro vicino” ed è allora che “vedremo i prati più verdi/ e lo scorrere felice di un ruscello”.
         Ed è così che il poeta sa tuffarsi, anche, in silenzi di raccoglimento per ritrovare concordia con la sua anima; è in questi silenzi che riposa lontano dalle monotonie dei giorni, perché è allora che
affiora questa fame

di parole non dette,

di racconti dimenticati,

di nidi rubati fra le siepi

a margine di fossi abbandonati,

di favole stregate.

Sì!, è nella ricerca di queste favole stregate che l’autore sa ritrovare l’alcova del suo esistere.
Nazario Pardini                                           15/02/2013

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