giovedì 28 marzo 2013

G. LINGUAGLOSSA SU: "TRA CIELO E VOLTO" DI L. NOTA




Luciano Nota Tra cielo e volto Edizione del Leone, Mestre, 2012
 

Luciano Nota in ogni suo libro tenta sempre di nuovo il colloquio con il lettore. Colloquio in forma di soliloquio. Soliloquio dell’anima con il «cielo». Qui non c’è alcuna opposizione tra il letterale e il figurato, c’è equivalenza e somiglianza; c’è ancora corrispondenza tra le cose e le parole, e l’io è il vaso che congiunge il cosmo con il qui e ora. Mi viene in mente quanto scrisse Nietzsche a proposito del domandare, cito a memoria: «il colloquio che io rivolgo a un interlocutore è per sapere se abbiamo la stessa anima»; Nota fa poesia appunto per capire se lui e il lettore hanno la stessa anima: è il principio di identità A=A che regge il suo universo poetico e, di conseguenza, il tropo fondamentale è il soliloquio (ovvero, il colloquio con l’altro da sé), il colloquio tra il particolare (il soggetto) e l’universale (Dio), la parafrasi, per l’impossibilità di raggiungere la particolarizzazione, il dettaglio, la singolarità; nella sua poesia non può esserci la metafora, che è ponte gettato sugli abissi tra le cose; non c’è il traslato, che è il sentiero che costeggia due continenti diversi; non c’è lo straniamento di immagini, che sottenderebbe implicitamente che le immagini siano diverse le une dalle altre, il polemos e la dis-sonanza.
 
Paradiso
è il viso
rivolto allo spazio.
Il contrario
di un pigro profilo
separato dal tempo.
 
*
 
Dalle perle che cadono dal cielo
pongo d'istinto le atmosfere.
 
Poesia della reminiscenza, della trasparenza e della compresenza universale dove il tutto confluisce nel tutto ma si oppone alla peccaminosità, alla dittatura dello sguardo: tra cielo e volto c’è soltanto una differenza di altezza ma non di sostanza, scrive Luciano Nota, la temporalità non fa parte di questa poesia perché essa abita il luogo della Storia, della dif/ferenza, della dis-sonanza, del conflitto. Poesia di atmosfera, dunque, rarefatta, quintessenziale per l’impossibilità di attingere quell’universale cui anela con tutte le proprie forze, o forse perché il vero universale non sono le «cose» ma le «essenze» delle cose e tra le cose, separate dal tempo e dallo spazio. In «principio», per Nota, non c’è né ci può essere il peccato ma un semplice esser-così, la «naturalezza», finanche l’ingenuità della identità e della corrispondenza di tutte le cose e di tutte le parole in un luogo privo di peccato e di Storia:
 
Sono Adamo.
Non ho ombra che mi veli.
Non t'intralci la mia naturalezza.
Accomodati.
 
Un neo-adamismo, forse si può definire così la poesia del nostro autore, un adamismo che fa il paio con il panismo dell’io e del creato. Una posizione paradisiaca, di prima del peccato originale, di prima della Storia e del tramandamento, dove reminiscenza e conoscenza si equivalgono. Perché se c’è reminiscenza tutto è già in noi, già sappiamo in fondo all’anima ciò che siamo.
 
Giorgio Linguaglossa
 

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