domenica 3 marzo 2013

N. PARDINI: LETTURA DI "SULLA BOCCA DEL VENTO" DI G: RESCIGNO

Gianni Rescigno: Sulla bocca del vento. Il Convivio. Castiglione di Sicilia. 2013. Pp. 136


Alleggerire il peso della vita per trasferirlo in cielo




Un lavoro di diacronica complessità poetica, di rielaborazione intimistica, e di grande impegno strutturale, questo di Gianni Rescigno. Diversi rivoli confluiscono in un unico fiume che, scorrevole, armonico e cristallino, ben protetto da argini solidi, sfocia in un mare d’amore e di speranza. Un’Antologia poetica che rivela, in una successione di momenti espressivi, continuità d’intenti, di esperienze umane, e di tecniche prosodiche. Un’Antologia che riunisce piecès tratte da cinque sillogi che sanno trovare la loro unicità, la loro voce unisona, monocorde sia per tecnica che per ricerca poetica. É proprio la forza lirica di Rescigno, il suo stilema a mantenere il poiein su livelli di alto spessore etimo-fonico, linguistico-figurativo. E non di rado sia il verbo che la sintassi subiscono dilatazioni, e originali violenze creative per accompagnare quantità emotive che sgomitano per uscire: “Ci consegniamo muti/ al cammino dei sogni”, “La luce odorava d’umidore”, “Gonfio di spine/ ingrosso mare nello sguardo”, “e una mano amica che ti poggia/ sull’omero parole d’amore non dette”, “Sono filo d’erba/ sula bocca del vento”.


Ad arricchire l’opera, a renderla più preziosa, a livello filologico e linguistico, la traduzione in francese, testo a fronte, per mano di due autorevoli scrittori, quali Paul Courget e Jean Sarroméa. Traduzione che denota uno sforzo non indifferente. E rendere in altra lingua l’originalità dello stile di Rescigno non è certamente cosa semplice. Comunque, considerando che la lingua d’oltralpe contiene già innate, nel suo substrato, grazia e armonia, e che tali peculiarità non sono secondarie nella cifra espressiva del Nostro, credo che questa lingua aiuti, non poco, il compito del traduttore. Ma si devono pur mettere in evidenza, obiettivamente parlando, le difficoltà verso cui si va incontro, dovendo rendere a livello etimo-fonico, tecnico-metrico, e più ancora emotivo-creativo, il messaggio originale. Visto che, non di rado, l’autore ricorre a forzature sintattiche volte ad assecondare le richieste del sentire. E che non sempre è facile reperire parole e sintagmi che accostino tanto patrimonio umano.

E tanti sarebbero gli esempi cui ricorrere, e su cui riflettere per evidenziare l’importanza della disputa critico-lettreraria sulla resa delle traduzioni. Cosa che si accentua, naturalmente, trattandosi di poesia. Dovendo questa dire dell’autore con un linguaggio più conciso, più immediato e più folto di pointes allusivo-creative. In questo caso, non si vuole sminuire affatto il lavoro del traduttore, che riconosciamo il più possibilmente vicino agli intenti contenutistico-formali del Nostro. Ma non mi voglio dilungare oltre, scendendo nei particolari.

Ma, per tornare al nocciolo della questione Rescigno, sono molteplici le occasioni poetiche di questa Antologia; e la scelta è oculata, quasi tematica, direi, e basata sui principi estetici e vicissitudinali di un modo di pensare, e di sentire, che spesso è turbato dalla coscienza di una fine. Tutto ritorna al poeta, al suo pensiero. Niente è solo descrittivo. Tutto contribuisce ad esaltare la sua intimità. Ed il linguaggio si fa di un allegorismo pronto ad ampliare il messaggio. Si spazia dal realismo quotidiano, alla malia del sogno; dalla caducità dell’esistere, a un memoriale di grande intensità emotiva; da questioni prettamente terrene, ad altre di valore escatologico; dal patema di essere mortali, alla fuga da tale ristrettezza. E non di rado il poeta fa sentire il bisogno di una spiritualità che vada oltre il contingente:




Dacci oggi la speranza


come ce l’hai data ieri


(…)


fino all’ultima sera


quando te la rimetteremo


per sempre nelle mani. (Pp. 15).




A dominare su tutto, alfine, è questo motivo che fa da cucitura all’intera opera. E spicca un credo consapevole e determinato a produrre speranze pronte a vincere dolorose sottrazioni. Un credo che porta l’autore a staccarsi dalle cose, o meglio, a trasferirsi, zeppo di questioni esistenziali, oltre le questioni stesse. Pur carico di voci di mare, di estensioni di terra, di vini e di pozzi, di autunni morenti, di strade di sole, o di colline dormienti, il Nostro riesce a far leggero questo peso, volando verso cieli che sanno tanto di fede e di azzurro:




Dell’angelo ognuno sentiva


l’orma della mano sulla spalla.


L’aria di scirocco si calmava.


Diventava respiro di silenzio. (Pp. 13).




Sei punto d’arrivo o Luce.


Felicità e infinito.


Silenzio e Dio. (Pp. 131).




Ma è nella terra che Rescigno zuppa la sua essenza vitale. É nel miracolo dei suoi colori, delle sue forme, dei suoi profumi che si sperde e si annulla con un processo di metamorfosi spirituale di grande impatto panico-lirico. Persino l’idea di morte, che tanto l’assilla, si azzera al primo palpito del giorno:




La prima parola del giorno il vento.


E se ne vanno i morti dal pensiero. (Pp. 129).




Non hanno casa i poeti.


Vegliano il sonno del sole,


seduti sotto il cielo. (Pp. 119).




É in questi giochi naturalistici che riesce a trovare l’alimento indispensabile per dare vigoria visiva alla sua anima. Perché:




Siamo mare aria terra


viaggi di pensiero


cuori delusi affacciati


alla finestra della notte.


Per prendere forza dalla vita


le rubiamo gli occhi. (Pp. 45).




E il memoriale ha doppia faccia; assume un significato di dicotomico aspetto: da un lato di sofferenza per assenze e sottrazioni, dall’altro di conforto, di riavvicinamento a persone care, a momenti gioiosi, a episodi basilari del vivere e dell’esserci. D’altronde il Nostro sa che la vita è fuggevole, che l’attimo è fugace, e che siamo fili d’erba in preda alla intemperie, in uno spazio di luci ed ombre di effimera durata:




… ed è mio l’esilio d’un grillo


confinato dall’estate


su un ramo sfrondato


a cantare l’ultimo dolore d’autunno.




Entro senza accorgermene straniero


nel silenzio di un’altra stagione. (Pp. 11).




mi manca il tepore delle tue ginocchia


la terra sterminata della speranza


su cui lasciavi andare a larga


mano il magico seme della vita. (Pp. 75).




Mi pare d’annusare il tuo profumo


nel ricordo. Dove si nascondeva


la cicala lo raccoglievano


passando i tuoi panni. (Pp. 93).




Escono con fluidità ed energia sonora quei grovigli interiori decantati nel tempo. Vogliosi di rivivere. Di riprendere i loro corpi negli orizzonti marini, nelle distese dei campi, o nel solatìo delle vigne; coscienti, anche, che nei cieli, solo nell’immensità dei cieli ci sono:




supermercati di fiori


e tutti i giorni le anime


se ne inghirlandano il capo.


Si festeggia il compleanno


di ogni profumo. (Pp. 81).




Sì!, questo è Rescigno, questo è il suo mondo e questa è la sua poesia. Una versificazione che abbraccia ogni ambito dell’animo umano. E anche se il suo discorso appare spesso terreno, troppo terreno e anche se si aggrappa con slanci spirituali all’oltre, pur tuttavia, è il profondo senso della sacralità della vita a fare della sua arte un poema edificante. Tanto è vero che sente questo bisogno continuo di ripescare il passato, di riattualizzarlo, quasi per annullarsi, e riprendere fiato dopo una corsa senza respiro; sì!, per annullarsi in stormi di primavere:




Quando sei arrivato al traguardo


e t’accorgi che la vita


è stata una corsa senza respiro


vorresti che ti ripassassero sul capo


tutti gli stormi delle primavere


per poterne ascoltare le voci


e vederne i lanci in picchiata.




Nazario Pardini 21/02/2013

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