giovedì 21 marzo 2013

N. PARDINI: LETTURA DI "PERCORSI ALTERNATIVI" DI G. VETROMILE



 
Giuseppe Vetromile: PERCORSI ALTERNATIVI. Marcus Edizioni. Napoli. 2013

 

Più non sapremo né dove né quando il viaggio abbia pace e fine

 

 Nazario Pardini

Ci possono essere “Percorsi alternativi”? “Percorsi alternativi”  a una legge inderogabile che ci vuole terra, polvere, azzeramento; una fine che non salva nemmeno la memoria. Troppo, d’altronde, l’ossigeno necessario per sottrarla all’annegamento. Ma la ricerca di tali percorsi è propizia per lo spirito, per la mente, in questo esercizio  di estraniante fattura? Sì!, lo spirito beneficia certamente di questo azzardo, di questo a tu per tu con l’irremovibilità delle leggi naturali. Sfidiamola la natura! cerchiamo “Percorsi alternativi”! La mente, in tale esercizio tonico-costruttivo, si acuisce, si potenzia, si amplifica, si svincola, anche,  dalle sue funzioni di retaggio umano. Proprio!, perché è dell’uomo pensare, ricercare, inventare, trovare strade per sopperire, in parte, alla sua insufficienza. Beati quelli che hanno fede! E’ il dono più grande ex Cielo per risolvere quei dubbi che determinano nell’uomo il dilemma dell’essere e dell’esistere. E che cosa possiamo fare  di fronte al potere della morte, di fronte a questo irrevocabile e perentorio potere, assoluto potere? che cosa? che cosa per ingannarlo, tradirlo, o azzerarne il patema che ci trasmette durante il percorso della nostra avventura terrena?  E grande, senz’altro grande, è questo dramma interiore, questo pensiero della nostra inesistenza. Il non esistere non fa parte di noi. Noi in quanto nati, pedine del tutto con la nostra unicità; noi esseri viventi, pensanti, creati per ampliare la mente oltre i limiti del possibile. Ed è, appunto, nel tentativo di costruire un mondo poetico-immaginifico, finalizzato a mettere in soffitta tale senso di annullamento, che Vetromile ricorre a tutta la sua energia verbale; a tutta la sua sapientia  vitae; e dato che niente può contro “il disastro finale”, e ne è cosciente, s’impegna a non pensare alla sua natura da mortale, ad estraniarsi con lune nascenti, con scrivanie di ricordi, con appigli a sogni, con erbe primaverili,  col fiorire di mandorli, per traslare il cuore oltre la barriera della morte. Per traslare il cuore oltre la barriera; quello di un uomo; di un uomo con i suoi crucci, le sue meditazioni, i suoi tormenti, o le sue possibili distensioni. Perché il suo grande dono è, senz’altro, la vita, che sembra dirgli: “Amami! Perché sono io che ti ho dato l’amore, che ti ho dato il sogno,  che ti ho dato il mare. Sono io che ti ho iniettato il sangue della poesia”. Ma perché un bene così ineguagliabile ci deve essere sottratto; forse perché veniamo dal nulla e nulla dobbiamo essere? forse perché dobbiamo sentirci consci di questa nostra miseria? E la fugacità del tempo, la inconsistenza del presente, il “fugerit invida aetas”, insomma la precarietà del tutto è il leit motiv di questa opera. Ed è umano che lo sia:

 

(…) Mia cara
lo stare quaggiù è un semplice giro di materia
la nostra polvere alimenterà il cielo
e le stelle
daranno luce ad altri viandanti


Noi
saremo trascorsi senza una minima certezza
e tutto il resto ormai non avrà più
alcuna importanza (pp. 52).

 
Come è umana la voglia di riattualizzare la memoria; di farne storia; farne vita; un prolungamento vivo per contrastare la fine, artefice del suo spegnimento. Anche se, poi,  è proprio il memoriale a darci l’idea del correre implacabile dell’esistere e del suo finire:

 
(…) Chiudi l’abbecedario mia cara
e l’orologio e questo spazio duro
e tutta la casa

 
: è trascorsa ogni vita su un’onda
mai più tornerà se non nel ricordo

 
se mai la morte ce lo propagherà fino al domani (pp. 51).

  

         Rifugiamoci, allora, in quello che si è salvato del suo impagabile patrimonio! ritorniamo anima e corpo a noi che eravamo! manteniamo in vita quel noi a scapito del niente! In qualche modo ci distrarremo, forse, dal potere sottrattivo dell’oblio; dell’oblio di un viaggio il cui rumore  si sente sempre più forte col passare delle fermate; sempre più forte sulle rotaie dell’ultima stazione. Oppure che fare?  Vetromile ricorre alla poesia. Il Nostro, coniatore di parole, maestro nel trattarle,  si crea primordi rigeneranti; azzarda sguardi oltre la vita ed i suoi limiti. E poiché la nostra magagna è quella di essere miseri umani, aspiranti all’eterno, cerca di ovviare a questo tormento pascaliano, lanciandosi oltre gli spazi. In un volo retrogrado verso la  bocca del mondo. Inventandosi viali stellari, che nascono dalle sue sottrazioni e volano alti.


(…) Spero di ritrovarvi l’alfa
prima che l’omega mi abbranchi definitivamente
nella certezza del non ritorno… (pp. 37).     

 
Alti come la poesia che ama. E la poesia è il suo essere. Essere nuovo, fatto di slanci e di ritorni a cose umili e contingenti, alimentatrici del suo canto. Un flusso emotivo e intellettivo che lo impegna, estraniandolo dalla sua immanenza, dalle sue debolezze. Sì!, Vetromile ama la poesia, come ama la vita. Ci crede fino in fondo. E questo gioco ubriacante dà slanci fecondi, vertiginosi; slanci, che sorretti da prolungate e forti impalcature stilistiche -  tanta è l’urgenza di dire –, sono capaci di coinvolgerti in imprese ardue e liberatorie. E anche se il nulla ricorre spesso in questi versi, mai il percorso creativo piomba nel nichilismo, perché è proprio questo amore a portare il  poeta a ringhiare contro il nulla. Un nulla che ci assedia e lo assedia.   

 
Nazario Pardini                                                           19/03/2013

3 commenti:

  1. Tema alquanto sfruttato: l'onda che porta i ricordi, oppure l'Alfa e l'Omega. ecc.ecc. Pardini, aggiunge invece maggior vigore, per indicare una corrispondenza ulteriore, tra il nulla e i percorsi di questa poesia.


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  2. Ringrazio l'amico Nazario per aver individuato, con questa sua approfondita recensione, i temi essenziali del mio dire poetico in questo libro.
    Giuseppe Vetromile

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  3. "Percorsi Alternativi" di Pino Vetromile è un'opera che si snoda e oscilla tra due fedi, una poetica, l'altra religiosa. Alla poesia Vetromile chiede il riscatto dalla morte fisica, cioè vita memoriale, ma anche varchi di possibile (e magari momentanea) fuga; alla religione, un aldilà dello spirito, ma innanzitutto un aiuto e un conforto nella difficile e dolorosa avventura della vita. La quale, dunque, cerca spiragli di una qualsiasi salvifica luce dal "de profundis" di una quotidianità grigia e straniera, ovvia e ruvida, clamorosa e vuota, beffarda e impotente.
    Sono questi, in estrema sintesi e a mio modesto parere, gli ambiti in cui si muove ogni fermento creativo del poeta vesuviano. Aggiungerei un altro dato che costantemente connota la sua produzione in versi, e cioè la consapevolezza della precarietà e della problematicità della condizione umana. Su tutto, una piena maturità espressiva che doviziosamente incarna il mondo interiore del poeta.
    E complimenti all'amico Nazario per la sua bella recensione.
    Pasquale Balestriere

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