domenica 5 maggio 2013

M. GRAZIA FERRARIS SU: "ADRIADE" DI N. PARDINI


M. Grazia Ferraris

A proposito di Adriade…
 
(Vieni a parlarmi, Adriade dei querci,
esci da quegli incavi che nascondono
la tua vergine e superba nudità)
 
Driade è  la Ninfa dei boschi, la ninfa della terra, una figure della mitologia greca, espressione della forza rigogliosa della Natura. Eterna e sfuggente. Parlarne  poeticamente potrebbe essere inteso come operazione culturale nostalgica o invito a una intrigante visione filosofica- ecologica. Ma il poemetto Adriade di N. Pardini è altra cosa.
Pur nella felicità e facilità della lettura è un testo veramente complesso; si muove con raffinate eleganti immagini di sapore mitologico sul piano estetico culturale e si innesta nella storia di cui la sua cultura è permeata ; penetra così nella misteriosa vicenda umana per individuarne il senso, il significato eterno. Suggerisce, evocandolo con l’andamento musicale della favola, l’incanto della natura primigenia, fuori dalla storia, che vive per sé, di vita propria, in un tempo fuori dal tempo, nell’immagine della ninfa perfetta e senza mutevolezza, “il volto tinto appena di rosa”, illuminata  dal  sole bianco, mentre i fiori d’aprile riflettono la luce impalpabile di perla e d’argento. Immobili eppur perfetti: è il mondo dell’Arcadia, l’Eden sognato come potevano farlo i nostri grandi Umanisti. È la perfezione senza il tempo, senza l’uomo, la Natura non contaminata dalla Cultura. Nel paesaggio immoto fa irruzione l’Eros, la storia.  È   bello il giovinetto, vivo, forte, ricco e splendente, mai veduto prima, vitale e in comunicazione con gli esseri naturali che al suo sguardo ed al suo dire, affascinati ed ebbri , vivevano nuova vita. Latte e miele a nutrimento: il paese della felicità così contaminante e travolgente che la bella Adriade tutta rosa nella sua perfezione ne viene rapita e la vita vigorosa si diffonde dal suo corpo immortale alla natura, la quale obbedisce partecipe al suo giovane sospiro,  che si perde in quello del giovinetto felice. È  Poesia. E “il suo pallore si fece di rubino”. Fremito e ricerca traboccante di sentimento da condividere. La favola si dilata, si rinnova, si colora, vive e diventa storia. I colori dell’amore travolgente cambiarono quelli rosati della perfezione e divennero gioia e passione dirompente, distruttiva. Eros scopre la potenza del suo istinto, la passione immemore di calma, l’ansia del possesso, il sangue senza risparmio. I fiori portatori di poesia frementi inorridiscono: la natura viene  vinta  dalla forza, dall’umana storia : l’ eterna  storia di ingordigia sfrenata, legata al tempo e allo spazio. E col tempo il divenire si fa sempre più  imperfetto.  La vecchiaia triste allontanò l’eden primigenio. L’autunno sconosciuto devastò l’armonia e lasciò i rami nudi e piangenti. Questa non è più la storia della bella giovane innocente Adriade. È storia umana gravida di pianto. “Poesia” suggestiva, elegante e colta e riflessione filosofica alimentano il bel poemetto. Canto lirico davvero felice.

M. Grazia Ferraris
 

2 commenti:

  1. Ha ragione la Ferraris, tra natura e cultura, il bosco contamina ambiti e approcci, fornendo occasione per considerazioni di impronta giuridica e antropologica. Un tempo la natura stessa aveva un significato che ognuno, nel suo intimo, percepiva. L'antica storia degli alberi e l'esperienza di singolari virtù che fondono all'unisono il regno vegetale a quello umano (consiglio di leggere il libro di Brosse "Mitologia degli alberi") Originale anche l'immagine sapientemente abbinata. Matteo

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    1. Complimenti per questo lavoro di analisi "cesellata" e minuziosa di gran fattura letteraria. Cordiali saluti.

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