lunedì 3 febbraio 2014

FRANCO CAMPEGIANI: RELAZIONE SU "SCOLPIRE QUESTA PACE", DI A. MARIOTTI






"Scolpire questa pace"

(Presentazione - Libreria Odradek - 31/1/2014)



L'esperienza poetica di Andrea Mariotti nasce nella cultura postmoderna in modi antagonistici, direi, a quella visione liquida della società (per dirla con Bauman), che è tipica del postmodernismo e che fagocita ogni identità, ogni colore ed entusiasmo, ogni passione civile, ogni felicità privata o collettiva. La poesia di Mariotti nasce dall'interno di questa cultura, ma in termini antitetici ad essa, pur condividendone il tema centrale del disincanto, vissuto però non come crollo definitivo di ogni valore ideale.
Il titolo del libro è emblematico: scolpire questa pace. E' un invito a lavorare, perché la pace non è raggiungibile semplicemente mescolando, omogeneizzando gli individui, le culture e i popoli tra di loro, come sta avvenendo, tra l'altro senza alcun esito pacificatore. Bisogna scolpire nell'informe masso sociale per tirar fuori l'essenza, l'anima, ovvero la sostanza etica del sano vivere civile. C'è un'impellente ricerca da fare e non possiamo permetterci di vivacchiare, di galleggiare nella melma, come purtroppo oggi accade. Poesia dunque di forte impegno civile, quella di Mariotti, non nel senso retorico ed oratorio del termine (carducciano-dannunziano per intenderci), bensì in quello sobrio, crepuscolare (leopardiano e pascoliano nello stesso tempo). Né ciò gli impedisce in rari casi, come nella poesia intitolata Open space, i toni dell'irosa invettiva.
Erede del modernismo più accreditato, di quella cultura del disincanto, appunto, che rifugge da ogni pregiudizio e da ogni esagitazione, direi che in Mariotti questa visione del mondo è divenuta più matura e guardinga, prudente, dando prova di sapersi guardare anche dagli agguati di quella esasperazione del disincanto che giunge alla disillusione radicale, non meno eccessiva e pericolosa degli ingenui e tronfi incanti, minando e annichilendo ogni sano slancio umano. Ed è un ampliamento degli stessi orizzonti problematici, perché, se è vero che il problematico non può nutrire certezze assolute, non può neppure bearsi di un'incertezza altrettanto assoluta e letale. C'è il rischio che il disincanto diventi esso stesso un incanto, un miraggio ossessivo.
Ripudiando le situazioni di stallo, Mariotti risulta impegnato in una macerazione interiore costante, epicamente sospeso tra luci e tenebre, agli antipodi di qualsiasi univocità di pensiero. L’atteggiamento è di chi sembra voler dire: Piantiamola con le astruserie, con le illusioni, con gli inutili orpelli! Stiamo con i piedi per terra, vediamo in faccia la realtà! Ne vien fuori un invito alla misura, al buon senso, a metà strada tra pessimismo ed ottimismo. Un realismo problematico, direi, che risulta refrattario verso ogni moto eccessivo dell'animo e che, se incline, per indole, alla malinconia, sa tuttavia essere vigile e combattivo nei confronti della prostrazione e dello sconforto totale.
E' sempre vivo, in questa poesia, il sussulto del cuore: un fuoco che cova sotto la cenere e non l’incendio che divampa lasciando il nulla intorno a sé. Ci sono momenti di desolazione tragica, è vero, ma il poeta sa concedersi all'occorrenza delle pause balsamiche, refrigeranti, delle oasi di pace, degli spiragli di luce. Amante della musica, egli pone queste altalenanti metamorfosi, questa mutatio animi, come lui la definisce, sotto i numi tutelari di Beethoven e di Mozart: esuberante il primo, disincantato il secondo. Così, dopo avere esposto le ragioni del suo malumore e della sua dissidenza, mettendo alla berlina atteggiamenti e vizi piccolo borghesi della nostra gallinacea società incollata allo schermo, può concedersi momenti di autentica e non sdolcinata tenerezza, di sorprendenti moti aurorali. 
Come quando due suoi amici si sposano, e suonano a festa le campane del cuore per questo amore semplice, che rammenta al poeta la capacità di incontrarsi degli umani. O come quando il ricordo di Tiziana, la nipotina di tre anni che vive in Ecuador, gli intenerisce il cuore: “il mio piccolo giardino per l’inverno, sei”. O come quando è preso da amicizia, da condivisione ideale, per l’amico Silvio Parrello, er Pecetto nei Ragazzi di vita di Pasolini. O ancora quando, in nome dell'amore universale, fa aperta autocritica: “… Chi sono stato io fino / a ieri l’altro, diciamo da una vita? / Un Robespierre, amici, con una / lunga lista di teste da tagliare”. Ed ora, invece: “Sapete? Sorridervi vorrei, scintillar / vedere il ghiaccio nei volti / che indossiamo, vorrei dare / senza sperperare, il cuore / aperto come ragion di vita”.
Ma l’apice di questa mutazione è raggiunto in Melodia, laddove il cuore si scioglie per una dolce figura di donna: “Canto quest’oggi una fanciulla / ebbra d’amore per la vita”. Certo, è un rapporto anche qui problematico quello che Mariotti instaura con la figura femminile. In altre poesie, come in Madrigale, il poeta torna al tema (trobadorico) dell’amore presente ed assente, della donna vicina e lontana, che attrae l’uomo presso di sé e lo respinge nello stesso tempo. Fin quando, in Deja vu, un sonetto in cui rivisita il mito di Dafne e Apollo, egli torna a tratteggiare una figura femminile inquietante e impenetrabile, di fronte alla quale è destinata a chiudersi per sempre la saracinesca del cuore, con un boato terribile, simile a quello del sisma abruzzese.
Tuttavia, come già detto, in Melodia, un arioso e luminoso incontro con l’altra metà del cielo, la problematicità del rapporto con la figura femminile raggiunge la sua acme, lasciando affiorare il contrario dell'inconciliabilità fra i sessi e dell'impossibilità di amare. Non c'è mai univocità di pensiero in questo canto problematico, ossimorico, profondamente radicato nel reale. Quelli che il poeta ci dona non sono che fotogrammi - ora dolorosi, ora gioiosi - di quella straordinaria varietà di sentimenti che suggerisce la vita. Ho parlato prima dell'amore di Mariotti per Beethoven. Eppure sentite quale amara ironia lo afferra, a proposito di quel genio musicale, in Ascoltando la grande fuga: “Quale arditissima bellezza! / ardua, di sublime conforto, / sentendomi di nuovo come morto… / fuggir dove, Maestro? / … / Oh, Beethoven, insegnami a provarla / l’intima Gioia che non è una ciarla!”.
Il registro sardonico serpeggia sornione e strisciante, difficilmente riconoscibile, in molte poesie. A volte si maschera, ma non appena individuato diviene irresistibile, contribuendo a rendere assai frizzante questa poesia. Prendiamo Quella notte d’aprile, ad esempio: una subdola e sottile ironia finisce per sopraffare le nebbie arcadiche generate da una prima, superficiale lettura: “O fontanile di Campitello, / zampilla ancora l’acqua tua? / e tu, agrifoglio dei Lucrètili / monti, sempreverde barbaglio, / come parli al mio cuore! / ma ecco, all’orizzonte, bianche / del  Gran Sasso le cime: zanne / d’un elefante acceso d’ira / per l’umana miopia”. La problematicità sempre e comunque. Basti pensare al rapporto altalenante fra natura e tecnologia, che mi limito ad accennare, visto che in una breve disamina non si possono seguire tutti i tracciati di questa complessa scrittura. 
La poesia di Mariotti possiede un timbro fortemente realistico, che rifugge da ogni univocità di pensiero, pur essendo incline, come già detto alla malinconia. Al di là della visionarietà fantastica e del sogno onirico, della rêverie e delle aspirazioni utopiche, è tuttavia una poesia piena d'anima. Capisco che può sembrare un controsenso, abituati come siamo a considerare i poeti dei sognatori con la testa tra le nuvole, ma non è così. La poesia vive di simboli, anche laddove punta i fari sulla vita reale. E i simboli non sono fantasiosi, ma sono profondamente veri, perché illuminano le zone profonde dell'animo umano. La poesia non guarda l'uomo con lo sguardo deviato e di comodo dell'idealista-ideologo. Lo guarda così com'è, l'uomo, e non come dovrebbe essere, o come si vorrebbe che fosse.
Ovviamente nell'uomo com'è va inserito anche il suo archetipo, la sua anima, appunto, perché un conto è l'idea astratta, di comodo, che dell'uomo ci possiamo fare, un altro conto è la sua anima reale, impastata con il sangue, con la carne, con la vita materiale. Il mondo delle idee non è il mondo dell'anima. Intendo dire che l'idealismo dogmatico è bandito da questa poesia, ma non certo lo sono le aspirazioni ideali verso un mondo più giusto, vivibile e umano. Il poeta ci indica un sogno per il quale vale la pena vivere e lottare. Un sogno da coltivare ad occhi aperti, fuori da ogni illusione e da ogni onirico incanto. Scolpire la pace, ovvero la convivenza, la fratellanza, l'amore, l'armonia.
Asciutta e decisamente contemporanea, questa poesia si presenta con un richiamo costante alle cose, con un desiderio di distanziarsi da tutto ciò che è aulico, incline alla tronfiezza, alla celebrazione, alla solennità. Una poesia corrosiva, pertanto, radicata nelle regioni del malumore e del disincanto, e tuttavia capace di slanci, di slarghi e tenerezze sentimentali. Antilirica nei contenuti, anticlassica ed antiromantica, si presenta in forme metriche spesso allineate con la tradizione melica, ma rovesciandone ogni prospettiva. Un cavallo di Troia. C'è un ritorno al sonetto, addirittura: un vezzo citazionistico, si potrebbe pensare, in linea con le poetiche postmoderne (Tansavanguardia in prima fila).
L'aria tuttavia è nuova: non manieristica, non retorica, a volte rabbiosa e mordace; a volte, si, idilliaca, ma altre volte ironica, con sfottò micidiali. Poesia realistica, priva di accensioni metafisiche, con un eloquio attento ai dettagli analitici e con versi nervosi che ne accentuano le valenze oggettuali. Irrequieta e dimessa nello stesso tempo, sempre colloquiale, questa poesia è ricca di trouvailles, di pastiches coltissimi, di satire pungenti, ed è sorvegliatissima, priva di banalità. Lo stile è ricercato e scabro; raffinato, ma non affettato; studiato, ma niente affatto arido o tecnicistico.

                                               Franco Campegiani





2 commenti:

  1. Ringrazio sentitamente Nazario Pardini per la pubblicazione, nel suo prestigioso blog, della relazione di Franco Campegiani letta al pubblico presente alla presentazione della mia silloge poetica.

    Andrea Mariotti

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  2. Ringrazio anch'io il Prof. Nazario Pardini, amico vero dei poeti e maestro insostituibile, per lo spazio e l'attenzione riservati a questa mia relazione . "Scolpire questa pace" è un testo importante, cui non a caso ha voluto prestare attenzione, con una lusinghiera postfazione, anche Ninnj Di Stefano Busà,prestigiosa firma dell'attuale pagina letteraria, ben nota ai lettori del presente blog.

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