lunedì 2 febbraio 2015

LORENA TURRI SU "ELPIDIO IENCO"

Lorena Turri collaboratrice di lèucade


DA "MARIA GRAZIA FERRARIS SU "ELPIDIO JENCO"": 


Sicuramente un poeta da riscoprire, come ci invita a fare Maria Grazia Ferraris.
Scrive Fabio Flego, curatore dell’Antologia poetica” Betelgeuse” - Pezzini Editore, 2009 - su Elpidio Jenco:
«All’ombra di un platano sul lato nord della piazza di Forte dei Marmi – il Quarto Platano, appunto, del caffè Roma –, una foto degli anni quaranta ritrae il cenacolo di scrittori e di pittori che fin dal dopoguerra, d’estate, all’imbrunire, là si riunivano attorno alla figura patriarcale di Enrico Pea, avvolto nella sua candida barba. In quell’”officina versiliese” del dibattito artistico-letterario, che oggi solo un’elegante epigrafe dettata da Piero Bigongiari ricorda, tra i Rapaci, i Carrà, De Grada, Montale e Pea, accanto ad Angioletti, siede anche, in maniche di camicia, Elpidio Jenco. […]

E’ uno di quei poeti archiviati perché probabilmente superficialmente confuso con tutta quella sfera di poeti generazionali, precursori in epoca non sospetta dell’ermetismo.
Ma Jenco, nonostante la sua produzione lirica non sia stata troppo copiosa, poteva ben distinguersi dalla massa dei poeti stagionali, proprio per quel suo elemento significativo che era l’amore per la lirica orientale. 
La fondazione della rivista Sakura, pur nella sua breve vita di circa un anno (1920-1021), fu una pietra miliare nel panorama culturale dell’epoca che iniziò a guardare l’Oriente non più in modo folcloristico o approssimativo.
La sua dedizione per l’haiku e il tanka giapponese, lo porteranno a sfrondare e a liberare la sua scrittura che, altrimenti avrebbe potuto impantanarsi nel tardo carduccianesimo o rimanere sopraffatta dall’urto del trionfante dannunzianesimo. Jenco riuscì a librarsi nella spiritualità della prospettiva liberandosi dalla meteria del tratto e del segno, con elevati tocchi lirici.

UOMO


“Io lo so che sorte ti mena, 
uomo effimero grumo di pena.
Giungi, soffri, t’affini ed ami: 
sbocci in gemme, ributti in rami. 
Poi, dentro le fragili spoglie, 
qualcosa d’oscuro si spezza. 
E il grumo di pena si scioglie 
in un mare di eterna dolcezza…”

Lorena Turri 







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