martedì 1 agosto 2017

AMELIA MANGANELLI: "POESIE DI MIA MADRE, FAUSTA CHIARUTTINI"

Tre donne intorno al cuor mi son venute
(ed erano poetesse)

 
Fausta Chiaruttini
Il primo incontro di mio padre, Giorgio Manganelli, avvenne in giovanissima età. La madre, Amelia Censi, diplomata maestra elementare nel 1905, quando le figlie femmine non andavano quasi mai a scuola, era donna di grande cultura e, ovviamente, scriveva poesie. Amelia ebbe una grande influenza sulla vita culturale, artistica, professionale e, ahimè, anche privata e sociale, del secondogenito.
Ma del tormentato rapporto di mio padre con sua madre e del reciproco scambio artistico parleremo nella prossima puntata.
Oggi fermiamo la nostra attenzione sulla relazione fra mio padre e quella che fu poi sua moglie nonché mia madre.
Giorgio conobbe nel 1944, all'età di 22 anni, Fausta Chiaruttini, di un paio d'anni più vecchia e già laureata. Mia madre era bellissima e Giorgio ne rimase folgorato. Ma ecco che, a tradimento, la poesia rifece capolino: mia madre era parente alla lontana di Franceta Prešeren (o Preschern), il maggior poeta sloveno (documentatamente sloveno). All'inizio tutti pensavano ad una leggenda metropolitana, finché Fausta Preschern e il padre Antonio (nato a Buje detto anche Lussimpiccolo) lasciarono Trieste, allora territorio libero, per trasferirsi a Parma. Antonio, teoricamente impiegato statale, ricevette l'ordine di sostituire il cognome straniero con un cognome italiano. Pensò, come molti, di italianizzare il nome - mia zia da Buic divenne Bucci e il gioco era fatto. Dalla Slovenia arrivò il veto: il nome Prešeren o Preschern non può essere toccato, è quello del poeta nazionale, paragonato al nostro Giacomo Leopardi. Mio nonno assunse allora il cognome assolutamente friulano della madre, Lucia Chiaruttini.
Fausta, divenuta Chiaruttini, sfollata momentaneamente a Zogno, nella bergamasca, incontra Giorgio, arruolato nei Lupi di Toscana, soldato senza moschetto, ma armato solo di libri.
Mia madre, al momento, lo snobba. Lo prenderà in considerazione solo quando Giorgio entrerà nella Resistenza e andrà in giro con due moschetti e tre pistole.
Fausta, finita la guerra, riprende l'insegnamento (è insegnante di italiano e storia), Giorgio fa fatica a inserirsi, la guerra l'ha segnato, ci metterà una vita e non ne uscirà mai del tutto. Scrive recensioni, crea un salotto letterario molto ben frequentato, in casa propria.
Fausta invece inizia a scrivere, brevi racconti, con cui più avanti vincerà alcuni premi letterari minori, e scrive poesie. Poesie che provocheranno la prima vera crisi coniugale della copia (vivevano da separati in casa, ma non litigavano mai) il giorno in cui Salvatore Quasimodo, frequentatore abituale di casa nostra, letta una poesia di mia madre affermò: «Giorgio, ma tua moglie scrive meglio di te!».
La poesia non abbandonerà mai la vita di mio padre: come già sappiamo, ne abbiamo già parlato, incontrerà Alda Merini, con cui avrà una tormentatissima relazione, ma questa sarà poi tutta un'altra storia.

 Amelia Manganelli




Poesia intensa, vitale, di plurale connotazione umana, dove il verso, con tutta la sua euritmica armonia, abbraccia gli input emotivi di Fausta Manganelli, madre di Lietta e moglie di Giorgio Manganelli, famoso poeta e scrittore già presente su Lèucade. Una silloge che copre ogni vicissitudine: l’amore, l’inquietudine di fronte al mistero del vivere, il memoriale, la realtà contingente, thanatos, il pensiero, l’assenza, la solitudine, il silenzio… Insomma la vita in tutto il suo dispiegamento di ontologica portata. E quello che maggiormente convince di queste poesie è la penna di un’autrice adusa alla scrittura; la maestria nel fare del verbo il meccanismo di indagine, di psicologica intrusione nei meandri dell’anima: la precarietà dell’esserci, il fuggire del tempo, il volo dal basso verso la grandezza del divino; sì, un rifugio che Fausta trova, dopo travagli esistenziali, fra le braccia della luce per sopperire  alle micragne della vita. Si parte dai minimi accidents, dalle comuni vicende, dalle apparenti occasioni per costruire una scala i cui gradini la innalzino alle soglie dell’azzurro. E’ in questo azzurro che la Nostra trova la pace e la quietudine di una vita non sempre liscia e scorrevole come d’altronde accade per ogni essere vivente. “Cos'è un uomo nella Natura?/  Un nulla davanti all'infinito,/ un tutto davanti al nulla,/  qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto”  scrive Pascal.
E Ovidio: "Est Deus in nobis. I poeti abitano in un loro mondo, in una repubblica delle lettere in cui come diceva il romantico Berchet tutti sono concittadini indistintamente”. Credo che queste citazioni siano ad hoc per delineare in poche parole la spiritualità complessa e inquieta di una voce poetica di notevole valenza, volta ora alla conquista degli spazi, ora al vagare di un pensiero, ora ai  vertici dell’ombra, ora alle infinite miserie degli umani, ora al manto della Madonna, ora alla ricchezza dello spirito, ora ad un angelo triste solo tra alberi, ora alle mille strade della città, ora ad una strada piena di nebbia, ed ora ad “un'antica città
dalle mura quadrate, /con molte chiese/ dove (tu) adori i tuoi idoli/di antico bronzo./ Io sono una città/nuova/ di grigi mattoni/ e non ho chiese/ né altari di marmo.”. Un polisemico ventaglio di intrusioni epigrammatiche in cui simbolismi e  iperboliche sinestesie traducono una coscienza tesa all’interiorità.

Nazario Pardini


Poesie Mamma Fausta
A Trieste Italiana

L'amore

Un lungo sogno
azzurro,
in una vita amara.
Il manto della Madonna
sopra un manichino
di cera.



La Notte

Dolce nella notte
la presenza
delle cose
che subiscono il futuro.
Dolce la quiete
dei mortali.
Solo Dio veglia,
non c'è notte
per chi non ha futuro.



Solitudine

In una calda
notte d'agosto
nel silenzio
di un riposo non concesso
piango per la tua debolezza
padre
che non mi hai difeso,
per la tua nevrosi
madre
che non mi hai aiutato
e mi rammarico
di non avervi compreso
veramente
vagheggiando
la vostra immagine
con amara dolcezza.



Il sogno

Si ruppe stanotte il mio sogno
nell'arida fossa del vero;
aveva dolcezza di prati
distesi nel sole,
colore di fonte che sgorga
da un muschio di monte.
Ardeva nell'anima cupa
tenue fiammella di vita.
Murata la tomba del sogno,
rimane l'occhio che scruta
nell'immobile eternità.



Candele

Una domenica d'estate
in una chiesa di campagna
accesi tre candele
per onorare i miei morti
ed essi mi seguirono
in silenzio
e stettero con me
sino a sera.
A notte si allontanarono
per non disturbare il mio riposo
ed io rimasi consolata
perché ormai sapevo
che essi rimangono con noi
e basta una candela
accesa con amore
per richiamarli alla luce.



Le due città

Tu sei un'antica città
dalle mura quadrate
con molte chiese
dove adori i tuoi idoli
di antico bronzo.
Io sono una città
nuova
di grigi mattoni
e non ho chiese
né altari di marmo.
Tu non puoi dimorare
nella mia città di grigi mattoni,
non puoi vivere senza chiese.
Io non posso rimanere
nella tua città
dalle mura quadrate;
non posso murarvi
il cuore del mondo.



Amaramente

Amaramente scruto la ricchezza
dello spirito arguto che mi inebria
di tutte le dolcezze della vita.
Le spirituali soavissime esistenze
che si effondono dall'anima divina
si confondono in un tragico groviglio
di coscienze esauste e demolite
e mi rifugio nell'amaro fuoco
dei frammentari nulla misteriosi
su cui fioriscono le erbe inaridite
delle passioni sterili e fugaci.
Un buio immane invade il mio pensiero
che si fa larva di fantasie malate
e denuncia la miseria degli umani.



Un angelo triste

Un bosco di alberi
fitti
chiusi in spesse
cortecce:
questa l'umanità.
Da una corteccia all'altra
comunichiamo
per porte segrete.
Tu sei un albero
senza corteccia,
con tutti noi comunichi
noi, alberi fitti
chiusi in spesse cortecce.
Ma per porte segrete
non possiamo comunicare con te
albero senza corteccia.
E questo è dolce e triste
sapere che ti cerchi
senza trovarti mai,
un angelo triste
solo
tra alberi fitti
chiusi in spesse cortecce.



La grande città

La grande città mi accoglie
nel suo grembo
sinuoso.
Mi riscalda con l'abbraccio
delle mille strade.
Mi nasconde
ignota
nelle cento piazze
dove si ammassano
senza volto
gli abitanti della grande città.
Non conosco che l'inquilino
del mio stesso piano,
non vedo che i volti
sorridenti e anonimi
degli uomini che si adagiano
nel dolce seno
della metropoli.
Per chi vive ignoto
è dolce morire,
un lungo sonno tranquillo
tra mille tombe sconosciute.



La vita

Avvertire nel proprio tormento
le infinite miserie degli umani,
sentire nelle proprie lacrime
la faticosa pena dell'esistere,
unirsi nell'amara quiete
all'urlo della folla;
bramosa di vita
corre alla morte che l'incalza
e non sa che questa non è vita.
Vita è fiorire tranquillo di pensieri
fiducia nell'altezza della mente,
fermarsi docile del tempo
dinanzi all'anima immortale.
Sola, nell'immutabile silenzio,
essa incontra la vita
e sorride della propria cecità.



La conquista dello spazio

Stanchi di vagare fra le rovine
di millenarie storie sanguinose
procederemo lievi nell'eterno
dove s'infrangeranno le richieste
dei sensi innamorati della terra

Negli abissali spazi della luce
ritroveremo il senso della vita
libera, finalmente, ed inesausta,
docilmente persuasa di morire.



Il pensiero

Chiuso fra le barriere dell'esistere
vaga il pensiero solitario
compagno dell'assenza,
deviando dai facili percorsi
tra muraglie di case sconosciute.
Nel silenzio dei sensi addormentati
trova un sentiero luminoso
vuoto ed immenso.
Casta divinità, che infrangi
le leggi esatte dell'esistere
e poggiando su criteri d'infinito
sveli alte dimore di silenzio,
quando abbandoni la tua strada d'ombra
trascorri nell'eterno
oppur tu anneghi
in un vano labirinto
di silenzio,
casta divinità?



L'ombra

Io cerco nelle strade del silenzio
la ferma mano che vi pose Iddio
e mi collego ai vertici dell'ombra.
Ombra deserta follia
desiderio segreto della mente,
noi ti invochiamo:
distruggi le squallide larve
gli innumeri intrichi della luce,
ombra deserta follia...



Il mio principe

La strada è piena di nebbia
gli alberi sembrano fantasmi,
i fari abbagliano la vista.

Una brusca frenata interrompe il mio pensiero.
Come si può mio principe spegnere la giovinezza
senza uccidere la vita?

Le strade sono affollate di uomini, di donne
senza anima, senza cuore, senza sangue.

Le strade sono piene di morti
agli angoli vagano le ombre

Ma per chi vive non c'è speranza
prigionieri delle leggi del passato.

La giovinezza non concede pace
e non si può morire.

Le insidie hanno occhi spenti
grossi brillanti nelle bianche dita.

Ma tu, principe, anima, cuore, sangue
tu attraversi la nebbia della strada:
tu sei la luminosa giovinezza
il dolce sogno della vita vera.
Scomparsa è la nebbia dalla strada
tu indichi le stelle:
sono lacrime di donne innamorate
e mi metti una mano sulla spalla.



1 commento:

  1. Questa magnifica, arricchente e, al tempo stesso, terribile storia, mi ha riportato per un attimo alla mente Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti. Non erano sposati, il paragone si riferisce soltanto all'allontanamento che Gozzano mostrò nei confronti di Amalia quando prese atto che era una grande poetessa. E mi chiedo come si possano coniugare i sentimenti positivi, che inducono a scrivere versi struggenti con l'invidia nei confronti di una donna. Chiedo perdono ad Amelia Manganelli, che narra la sua storia di vita palpitante e intensa, a Nazario, che introduce le liriche della madre di Amelia con l'acume, la capacità critica e la capacità di scavo che lo caratterizzano, per non essere entrata in argomento in modo dignitoso. La vicenda mi ha spinto sul tasto dell'invidia, l'anti - sentimento per eccellenza e sul maschilismo, che ha precluso a troppe donne la giusta valorizzazione letteraria. Poi ho letto i versi... Amo le poesie brevi, che sanno racchiudere interi universi in poche righe, senza ricorrere all'iperverbalità, all'opulenza. "Il mio principe", pur lunga, non tradisce i criteri dell'impatto emotivo immediato, dell'assenza di enfasi, di 'pulizia'. L'Autrice non ha bisogno di ricorrere a similitudini, a metafore, per concepire liriche tecnicamente purissime e contenutisticamente atte a trafiggere, a permettere al lettore di entrare in immediata empatia con il Poeta. Sarà molto interessante apprendere il seguito di questa storia e ringrazio di cuore Amelia, la madre Fausta e Nazario, per averci concesso una pagina di così alta letteratura.
    Maria Rizzi

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