venerdì 1 settembre 2017

N. PARDINI: LETTURA DI "PERCORSI DELLA POESIA" DI GUIDO ZAVANONE

Guido Zavanone: Percorsi della poesia. Edizioni dei Giustiniani. Genova. 2017. Pgg. 96. € 15,00





Nel libro della vita non è lecito
saltare le parentesi:
i ripostigli ombrosi ove si celano
le quiete giornate senza storia, i sapidi
avanzi dei conviti, anche sovente
le sagge provviste del futuro.

Poesia polivalente, generosa, pensosa, riflessiva. Direi una svolta verso nuove vie che, con Viaggi, terrestre e celeste, Guido Zavanone imbocca per dare sfogo ad un complesso e articolato pensiero. Due gli odeporici azzardi strutturali: con la loro ampiezza offrono all’autore la possibilità di estendere la sua filosofia e i suoi stadi emozionali in una versificazione di poematica valenza.
E non è di sicuro di secondo piano il fatto che il poeta si ricolleghi ai  grandi della nostrana vicenda letteraria: da Dante al Petrarca, dal Leopardi a Luzi sul tema del viaggio: un tema che coinvolge ogni letteratura dagli esordi fino ai nostri giorni, considerando che “la spinta alla fuga; ad andar lontano”, “a sognare mondi più giusti” ha fatto parte della storia dell’uomo, forse perché questi ha sempre avuto in cuore l’intento di scavalcare le micragne del contingente, o di approdare ad alcove rigeneranti per compensare le carenze delle miopie umane. E qui sembra che lo scrittore viaggi più attorno a casa che verso paradisi esotici. D’altronde ogni poeta sente il bisogno prima o poi di intraprendere una navigazione verso un porto che illumini col suo faro un approdo; è il miraggio di una vita scoprire la rotta, il percorso da intraprendere per giungere a delle conclusioni, alla soluzione di certi interrogativi, che hanno mostrato tutta la loro ostilità nell’aprirsi al sapere; o alla giustezza della convivenza sociale. Mettere a fuoco tali carenze con sottile virulenza vuol dire scalare una montagna attraverso sentieri tortuosi e impervi. È qui il nocciolo della questione, il leitmotiv che dà compattezza ai contenuti: sta nell’affidarsi alla metaforicità di un cammino che tanto simboleggia  la vita e i suoi dilemmi. Cosciente il Nostro dell’improbabilità di risolvere le questioni esistenziali con i mezzi umani, si affida ad un genere speculativo vicino sia ad un impegno razionale che emotivo, ricorrendo a tutti i marchingegni che il fatto di esistere ci offre: fantasia, immaginazione, cultura letteraria, creatività, padronanza stilistica, dilemmi escatologico-teologici, amore, thanatos, pentimenti e memoriale, significanza epica e narrativo-dialogica ex abundantia mentis et cordis di uno scrittore che ha dato tutto se stesso al mistero e alla attrazione della poesia. Si viaggia per terra e per cielo alla scopetta del sapere; alla scoperta ardua e difficile del vivere. Ma soprattutto  alla scoperta dell’uomo, e della sua collocazione in questo mondo tanto variegato; non di rado disumano.
È necessario, fortemente necessario, inventarsi un nostos, farsi nostoi di un’avventura che sappia tanto di ultra partendo da una realtà spicciola; che ci porti tra ombre di viventi, ad assalti amorosi, a rive di onirici pentimenti, a sentieri di perdoni,  a regni che governano il Potere divino e il Nulla eterno, a voli di piccole ombre rilucenti di bambini che muoiono a milioni sulla terra per fame e sete;  ad incontri con gli avi “ Ora vengono a te persone care”; ad incontri con anime di  migranti “se torni – gridò piangendo - / in quel mondo ove l’uomo / si affida all’amore di Dio/  chiedi al signore vestito di bianco/ perché morì innocente il bimbo mio.”. Sì, è proprio necessario per un poeta coronare la sua storia a livello etico, imboccando strade che si aprono alla realtà e al sogno.
Un’opera densa, zeppa di vita e di miserie; di peripezie dell’umana degradazione, ma anche di miracoli rievocativi che giocano su richiami lirici, su personali impegni sentimentali che si fanno oggettivi.
E il tutto con una narrazione che spesso sembra tradire l’architettura portante del linguaggio di Orfeo, per la sua stesura, “sempre a rischio dell’eccesso di prosa”, come afferma il prefatoreD’altronde Zavanone ha capito che la vocazione sintetica del canto,  quella di una silloge in generale con la segmentazione lirica delle pièces che la compongono, non sono sufficienti a contenere cammini di francigena estensione; e per questo cavalca  misure che  diano la possibilità di estendersi raccontando,  affidandosi al poema, ad un contenitore  di narratologica portata per soddisfare ampiezze speculative: quelle accumulatesi durante gli studi e i pensamenti di un’intera vita. <<Tra noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo.>>, afferma Blaise Pascal, nei Pensées. Quella vita tanto fragile che fa di tutto per concretizzarsi in stesure sostanziose, in percorsi di valenza storica, meditativa, contemplativa e, anche, suggestiva. E’ quello che attua Zavanone con questa nuova opera che, oltre a rompere gli schemi della sua poetica, lascia un rendiconto di fattiva intrusione umana, e di ricerca speculativo-ontologica, che completa, non poco, la sua storia nel diorama  culturale attuale.


 Nazario Pardini

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