domenica 3 settembre 2017

SERENELLA MENICHETTI: "LA REGINA E' NUDA"

 Con questo testo Serenella Menichetti è arrivata terza al concorso “Voci” di Abano.
 
Serenella Menichetti,
collaboratrice di Lèucade
Un quadro di morte e desolazione in cui la Menichetti si trova spersa. Le immagini più belle del mare e della vita sono state sostituite da quelle di un cielo plumbeo, di un mare di pece, e di uno spelacchiato stormo di corvi neri. Si alzano dal ventre della terra dei flebili lamenti. Persino la flora è ammorbata attorno: tronchi d’ulivo anchilosati come vecchi artritici. Le palme rantolano. La campana del silenzio batte i suoi colpi. Alla descrizione lugubre di un interlocutore: “La morte si è infiltrata ovunque…”, la poetessa risponde: -Vecchio, tu stai delirando-… fuggo… Mi fermo, quando la tua sagoma rimane/ ai miei occhi: solo un minuscolo bruscolo nero”. E s’incammina alla ricerca del bello: farfalle, gabbiani. Ma tutto è nelle mani di una piovra che, avviluppando la vita, spegne il canto. Finché sfinita, delusa la poetessa si addormenta:
(…)
Un risveglio senza gabbiani,
un foglio accartocciato.
Una poesia scabra:
né trucchi, né orpelli.

La regina è nuda.

Tutto è in mano alla morte che allunga i suoi tentacoli nelle viscere del creato: desolazione, grigiore, orizzonti senza colori, senza trucchi, né orpelli, una poesia scabra…

Sicuramente un invito originale e innovativo al rispetto della natura, della nostra madre più antica, e di tutto ciò di cui si alimenta spiritualmente,  e materialmente. Una visionaria parènesi ad essere coscienti del nostro ruolo; ad essere amanti dell’amore, della poesia, del Bello, e della spiritualità, per non trovarci di fronte a “La regina è nuda”.
Versificazione oggettivante, di fattiva energia iconografica. Ogni elemento fonico è misurato in base all’equilibrio del tutto. E il risultato è quello di una poesia che rivela autenticità, maestria nell’uso del verbo e delle sue iuncturae. Come Keats affermava, «Se la poesia non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure.».

 Nazario Pardini


LA REGINA E' NUDA
Niente gabbiani né tramonti adamantini
nel plumbeo cielo.
Sospesi sopra un mare di pece
spelacchiati corvi neri.
Dal ventre sterile della terra
s’alzano flebili lamenti.
Tutto ammorbato e infetto intorno.
Tronchi d’ulivo cupi e anchilosati, piegati
su se stessi come artritici vecchi.
Con il gelo nel cuore:
delle stremate palme, ascolti i rantoli.

Mentre coaguli d’angoscia ti ostruiscono le vene
il rintocco lugubre, della campana del silenzio
batte i suoi colpi.
-La morte si è infiltrata ovunque- mi racconti.
-La senti, è lei che ulula.
Adesso la fa da padrona –

-Vecchio, tu stai delirando-rispondo
-Non voglio ascoltare le tue fandonie-
Mi copro le orecchie con le mani e fuggo.
Mi fermo, quando la tua sagoma rimane
ai miei occhi: solo un minuscolo bruscolo nero

Alla ricerca di farfalle,e gabbiani, m’incammino.
Niente, non riesco a trovare più niente!
Né piume, né ali intorno.
I lunghi tentacoli di piovra che la vita                                                                                avviluppano spengono il mio canto.
La campana del silenzio continua a muovere
il suo batacchio con sordi rintocchi di morte.
Sfinita, delusa mi addormento.

Un risveglio senza gabbiani,
un foglio accartocciato.
Una poesia scabra:
né trucchi, né orpelli.

La regina è nuda.


3 commenti:

  1. Ringrazio sentitamente la competenza e l'umana sensibilità dell'amato poeta Nazario Pardini per la capacità di riuscire ad entrare così profondamente nella mia poetica, nonostante le mie continue metamorfosi.
    Grazie di cuore.
    Serenella Menichetti.

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  2. Ringrazio innanzitutto ancora e sempre Nazario e poi, sarà perchè amo Antonia Pozzi e amo te, Serenella, ma mi viene spontaneo accostare i tuoi versi superbi a quelli della Poetessa, che nel 1933 scrisse:
    "Naufraghi sugli scogli,
    ognuno narra
    a se solo – la storia
    di una dolce casa
    perduta,
    se solo ascolta
    parlare forte
    sul deserto pianto
    del mare
    Triste orto abbandonato l’anima
    si cinge di selvagge siepi
    di amori:
    morire è questo
    ricoprirsi di rovi
    nati in noi".
    Non è simile lo stile, ma il contenuto, a mio modesto avviso, fa venire i brividi. Il concetto di inverno, inteso come stagione interiore, è dominante nei versi di Serenella. Ella instaura un dialogo, che nulla leva al canto, con una persona anziana, che l'inverno fisico lo patisce in modo grave:
    "La morte si è infiltrata ovunque- mi racconti.
    -La senti, è lei che ulula.
    Adesso la fa da padrona –". E nella struttura della lirica il dolore, il nichilismo, il senso della morte sono dominanti. Nazario mette in risalto quanto questi versi siano un invito originale al 'rispetto della natura'... e non v'è dubbio che le desolanti immagini descritte dall'Autrice abbiano carattere di avvertimenti. Forse siamo in tempo. Forse possiamo salvarci e salvare la 'regina nuda', che è l'èscamotages più incredibile dell'Opera.
    Grazie Nazario e grazie Serenella.
    Vi abbraccio entrambi.
    Maria Rizzi

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  3. Grazie Maria contraccambio l'abbraccio!
    Serenella Menichetti.

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