venerdì 2 febbraio 2018

N. PARDINI LEGGE: "LA NASCITA DI UN'IDEA" DI R. CERNIGLIA E "NESSUNO VA VIA" DI GIOVANNI DINO


Rossella Cerniglia. La nascita di un'idea.
di Giovanni Dino. 2016

Nel saggio di Rossella Cerniglia si mette in evidenza la brillantezza creativa di Giovanni Dino nell’opera La nascita di un’idea. Il critico non si limita ad un lavoro di stretta natura filologica ma fa a fondo dell’analisi toccando l’aspetto umano, quello della fatica di un essere votato al “raggiungimento di una meta alta”… E si impiegano parallelismi di alta levatura culturale per rafforzare l’aspetto etico-letterario di Giovanni Dino:

“anche Herman Hesse… attinse al mondo dell’arte attraverso una autonoma, ma anche faticosa, e per molti versi dolorosa, formazione di se stesso. Lo stesso dicasi per Jack London, ma anche per il nostro Eugenio Montale…, o per Moravia i cui studi si fermarono alla licenza ginnasiale,e ancora per Italo Svevo la cui formazione e i cui studi  non furono letterari, ma commerciali e professionali…” Così si esprime il critico   per reificare l’identità di un uomo fattosi da sé, come si dice, in ambito artistico, pur ricorrendo a contaminazioni  di sinergetica e personale ispirazione.

Nazario Pardini

Giovanni Dino. Nessuno va via. Pagine lepine.
Ferrara. 2017

“Questa silloge di poesie doveva essere pubblicata tanto tempo fa, ma ogni volta che mi accingevo a completarla una forte malinconia mi impediva di continuare…”, così Giovanni Dino inizia la sua nota introduttiva; ed è proprio collegandoci a questa affermazione che riusciamo ad andare a fondo dell’animo del poeta, che confessa la sua inquietudine esistenziale con onestà senza cadere nella palude dello sfogo intimistico. Si sa che l’uomo vive soggetto a sottrazioni di forte sconquasso umano, da cui l’idea di precarietà della vita, di un breve tempo prestato dalla morte. Ma si sa anche che tali turbamenti possono essere alleviati sia dal patrimonio dei ricordi come se tutto fosse attuale (mi diceva il mio vecchio professore che la memoria è l’unico mezzo tramite cui l’uomo può  contrastare la morte); sia dall’acquisizione di un altro tesoro che Giovanni Dino fa suo: la fede; la piena immersione  nel Creato e nella grandezza di Dio, per cui ogni avvenimento, triste o gioioso che sia, porta il segno di una imperscrutabile azione divina tesa reificare  i momenti più sacri del nostro esistere. L’inquietudine di Giovanni è tutta lì, fra le branche di un  destino che lo vorrebbe solo, sofferente, vinto ma che lui riesce a  controllare traslando la visione dell’amata nei cieli puri dell’eternità. Il dolore terreno rimane, si alimenta, gonfia a mano a mano che lottiamo con la nostra solitudine; non riusciamo a districarci da situazioni di reale quotidianità fatta di piccole cose che ci parlano di una fine; di un redde rationem implacabile e ultimativo; la terrenità ha le sue leggi che l’uomo cerca di ovviare col ricorso a strategie di effetto emotivo:

e se tu potessi portare con te
con le altre ancora da scrivere
potresti tracciarmi la strada
che a te mi farà arrivare (nel giorno della perdita della moglie)

a dolori che diventano preghiera

(…)
Fin dal primo giorno della tua  malattia
ci hai insegnato che il dolore non serve a nulla
se è solo cenere di sofferenza
ma se diventa preghiera
             scava
       acqua che lava.

Una vera ascensione verso l’azzurrità dei cieli, verso  altezze che vanno a sfiorare il profumo dell’eternità in alcove rigeneranti di luce; un azzardo a superare “muri d’ombra”:

(…)
Eppure da qui
da questo sole che fa ombre fino a sera
e dove i nostri cari dormono
ci separano recinti d’aria
e “muri d’ombra”.

Ed è facile perdersi per il poeta nella casa senza Anna, e anche se dalle pareti avverte la sua voce la notte è un giaciglio di dolore:

(…)
La notte è un giaciglio di dolore
culla di tormento
un susseguirsi di onde
flash  back con ricordi
che s’infrangono sulla battigia della nostalgia.

Un ossimorico gioco fra la grandezza di Dio e l’amore  per la donna della vita; un antitetico contrasto fra le galattiche braccia dei mondi invisibili e l’arido vuoto dei giorni.
Il poeta  traduce la sua fede in disperazione per il distacco: prova paura per la nostalgia:

(…)
Ho paura della nostalgia
      della tua assenza
             che di te
                 Anna
Mi fa il cuore pieno di rabbia…

Tutto si fa terreno, umanamente disumano in questo assolo di dolore e saudade. Tutto scorre su un tessuto verbale di grande potenza visiva fino ad una supplica finale in cui si raggiungono punte di alta liricità epica, di forte intensità emotiva, di toccante colorito serale:

(…)
Se ti va scrivimi una lettera
con l’inchiostro del silenzio
o sussurrami una canzone nel sonno
o mandami un sorriso
con le nuvole disegnate dal vento
sai che li acciufferò
come gli odori
delle  tue improvvise visite.

Poesia snella, densa, di armonica euritmia, dove il poeta, per la limpidezza formale, per l’impiego saggio e spontaneo di metafore e accorgimenti sinestetici, si colloca sicuramente in un quadro di classica positura piuttosto che in quello di una avventurosa quanto mai opinabile riforma prosastica fine 900.

Nazario Pardini

1 commento:

  1. Nella poesia di Giovanni Dino spicca la figura, forte e sensibile ad un tempo, di una donna, sua moglie Anna. Ogni suo gesto, ricordo ed espressione acquisisce un significato emblematico di una condizione dello spirito impegnato nel difficile cammino della vita. L'idea che nasce e la dipartita solo apparente, rappresentata dalla morte, sono dunque l'alfa e l'omega di un percorso in salita verso l'Altissimo che nel suo mistero chiama, esige la completa dedizione fino al dono più inquietante, quello della sofferenza. Il poeta intraprende una lotta interiore, non si adagia sui luoghi comuni di una fede poco sentita,né persegue un fine teologico, dottrinario e didascalico. Maestra, émula di Cristo, è la donna amata e perduta in questa vita peritura, ma ostinatamente presente con il suo equilibrio e la luce spirituale che la circonda.L'idea che sorge, come un'alba potente di grazia, è ben compresa nell'intervento critico di Pardini e nel lavoro ermeneutico proposto da Rossella Cerniglia. La finitudine vi appare come una provocazione dell'Assoluto rivolta all'uomo che lo destabilizza affinché ritrovi l'avventura di credere e la sua strada celeste.

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