domenica 1 settembre 2019

MARIA GRAZIA FERRARIS LEGGE: "I DINTORNI DELL'AMORE...." DI NAZARIO PARDINI


Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade
               I DINTORNI DELL’AMORE,                            RICORDANDO CATULLO

           
L’ultima fatica poetica e  letteraria di N. Pardini.
Molti lettori di grande gusto e competenza ne hanno ormai scritto e analizzato con  partecipazione il valore poetico, quello letterario, storico  ed umano, a cominciare da R. Cerniglia, cui fa seguito S. Angelucci, F. Casuscelli, A. Spagnuolo,  L. Guerrieri…(sul blog pardiniano).  Lo stesso volume raccoglie  inoltre nella parte finale un’antologia essenziale della critica che riguarda la vasta produzione poetica.  Rossella Cerniglia  ha firmato la prefazione e  ne sottolinea con grande competenza anche tecnica i richiami storico-artistici culturali, le ascendenze poetiche, il forte idealismo dell’Autore.
Il tema d’amore che  caratterizza  la raccolta è infatti declinato in ogni sua sfumatura  e variazione, Bellezza, Sentimento, Emozione, Idealità  e Poesia, passando  attraverso le situazioni umane più vaste, dall'amicizia, l'amore per la sua donna, a quello familiare  alla partecipazione vitale al ciclo  naturale, sottolineando potentemente l'amore verso la natura, che si rinnova, varia, consolante  e magnifica, malinconica ed appassionata, fonte di pensiero ed emozione, sempre presente nella poesia del Nostro.
La “Lettera ad un’amica mai conosciuta” apre l’opera, introducendo così la dimensione comunicativa, quella epistolare, intima cordiale e generosa che caratterizza la struttura  del libro insieme con l’invito a un’isola ideale, come quella di “Léucade,  l’isola del bello, della poesia, dell’amore e della pace”. Lèucade rappresenta la purezza laica, la bellezza, l’isola dell’equilibrio classico, della realizzazione del supremo su questa nostra problematica terra; il tentativo di elevarci laicamente al sapore del durevole… “ Un’isola mitica e magica, irrealmente reale; un’isola a cui tutti i poeti sentono il bisogno di arrivare; carichi della voglia di approdare all’isola immaginaria …” perché la  “Poesia è vita; … E che cosa è la vita se non che la memoria e il sogno…”
Una Lèucade che declina anche l’ambito poetico del Nostro, la sua poetica, quello della ricerca costante della classicità, la bellezza incontaminata, archetipica, ma che è pure  ben consapevole di  trovarsi  “…alla spiaggia dell’ombrata Versilia”,  da dove può intravedere ..”il brulicare d’isole affollate/ di miti, ninfe, dèi e antichi re… / Eterni i sorsi/ di storie e di leggende…”, una favolosa Léucade che sfida, accetta ed include il nuovo. Una Léucade grande aspirazione poetica, l’isola sognata che forse non c’è, ma bello immaginare, punto di partenza ed approdo, poetico e vitale, di un giovane ed entusiasta poeta, oggetto di sogni, rimpianto di corse e di favolosi ardori, di storie leggendarie… Una Léucade che ormai,  giunto il Poeta al termine della corsa poetica,  gli fa dire, sempre ben presente al proprio itinerario di ricerca, a conferma ultima: “… Naufragare/ fu poi superbo in onde di un icàrio/ pelago. Nei reconditi del mare/ i sarcofaghi di un volo millenario.”
 Alla tematica d’amore che apre la prima parte della raccolta, fa seguito “Di vita, di mare, di amore”, e “Canzoniere pagano” che nel contempo sottolineano le linee evolutive della poetica di Pardini. La silloge si apre infatti con la grande metafora a  lui cara, che ritorna spesso nelle sue liriche, quella  del fiume-vita: che trascina, impetuoso insieme alle sue acque chiare, tutto ciò che incontra e cattura sul cammino, fino al mare.
È facile ritrovare nella prima parte-  che dà il titolo alla raccolta- lo schema amoroso catulliano delle Nugae, ma anche la voce poetica del Petrarca e della più autentica letteratura italiana: “  Per mari ho navigato/ salito colli,/ strade ho percorso,/guadato fiumi,/…con me ti porto sempre/ e non ho pace,/ tutto si tace intorno/ e dentro rugge”…- versi che filtrano  le emozioni più autentiche e le ascendenze culturali del Nostro: “ fa infatti rivivere  le vicende della passione amorosa del poeta latino per Lesbia – e  ci ricorda il  mito e il fascino della poetessa di Lesbo, Saffo, ma anche le contraddizioni di un sentimento che si modifica nel tempo, mai uguale a se stesso, e che la memoria tenta di afferrare.” 
A un buon lettore è facile trovare anche la contiguità con la grande poesia europea, russa, in particolare con i Versi della bellissima donna, di A. Blok, dedicati alla <donna gentile > che suscitarono l'entusiasmo dei circoli decadenti e simbolisti della sua città e che rappresentano  l’epifania dell’Eterno Femminino: una storia d’amore, una specie di Vita Nova dantesca, un mistico innamoramento, dalla potente melodia verbale, vicino al dettato di Verlaine, raffinato, colto, come il nostro poeta che pure “cammina fra lo sporco agli angiporti..”
“Credo che la mia Delia triste e sola/ aspetti me, i miei baci, ma s’invola/  con un uomo sopraggiunto dalla via./Tu piangi e ti disperi, anima mia, mentr’ella va sparendo in allegria”.
Due mondi che, attraverso l’opera poetica, dedicata a ciò che è vicino, fanno trasparire ciò che è lontano. Eros declina la sua potenza.
La freccia di Eros  trafigge la prima volta: gli sguardi, le timidezze, l’innocenza, le fughe….l’adolescenza lontana. Nazario P. ricorda e conosce bene la forza indelebile della  esperienza amorosa. L’innamoramento ricco e favoloso, la notte magica sempre viva, eppure lontana , come ne Corri Delia! : “Ti ricordi con quanta timidezza/ci guardavamo negli occhi./
Era il tempo delle mele. Il tempo delle fughe..”.
L’immagine è incancellabile: Delia che corre sulla spiaggia splendente, illuminata sotto la luna , Eros, il protagonista, la forza cosmica, l’Amore è protagonista.
Si scrive d'amore per cercare amore,  per ritrovarne il fascino abbagliante, lontano, e riviverne il sogno, l' elegia…per ritrovare emozioni, fremiti, e ritrovarsi: alla ricerca di altre metamorfosi affettive, per offrirgli un futuro. È la vita e il suo senso.
“Ma tu ricordi?”  La domanda inquietante, il dubbio della corrispondenza davvero vissuta, dell’eternità della parola comunicante, dell’esperienza vissuta-sognata che emerge dai particolari- l’onda lenta, la canzonetta, il canto gioioso, il ricamo nella sabbia….- il dubbio è quello che la vita abbia appannato, spento il ricordo, che l’oblio sia diventato il vero protagonista.., ma senza dolore, senza sofferenza: l’attimo felice può  rivivere, rinascere  trasfigurato. Eros è eterno e non muore.
Il poeta canta le varie stagioni della vita, il tempo che diventa un suo strumento, da lui accordato nella dimensione della memoria,come in Ottobre, malinconica e intensa poesia: Ottobre con la vigna saccheggiata, i colori spenti, <muti>( splendida sinestesia!) che ci danno l’addio: anche se non perpetuo, giacché l’autunno che avanza trabocca di ricordi che purtroppo facilmente si dileguano, ma che pure sono indizio, segno di ricchezza.
Le immagini della morte si potenziano a vicenda creando paesaggi pregnanti, più chiari di quelli luminosi della primavera: distese vane, palpiti languore, marcio riflesso, sonnolenza, oscurità….Una notte che si avvicina… Una notte ricca nondimeno, un frutto maturo: le valenze positive sanno contrastare quelle oscure che le accompagnano. Forse una “nuova giovinezza”, nella convivenza di rinnegamento e leggerezza, e la minuziosa autoascultazione che mostra una maturità che va, in un certo senso, al di là della maturità.
E che in  Ignoto verso il mare, riprende paesaggio, natura silente, ricordi, polifonia.
È il silenzio del paesaggio tardo invernale, l’immobilità della natura di febbraio in attesa: il mese che porta con sé la nostalgia, i ricordi che segnano la distanza, la semplicità chiara e terribile, epifanica del loro apparire. È un silenzio esteriore ed interiore che circonda il poeta, ( “tutto è fermo”) in esso è immerso l’ultima parola poetica polifonica e le movenze lente di vita, baluginanti e profonde che in  N. Pardini sono flessuose e naturali. Silenzi pensosi, suoni opachi, fessi, colori smorti, in attesa dei gialli luminosi di mimose future: un contrasto che non è agonico, un duello che diventa nel ricordo vita, danza, osmosi, accettazione, nel trapasso delle immagini del perire in una musica più vasta, un perpetuarsi di quel rapporto eterno con la natura, soggetto a costante metamorfosi.
La poesia non conclude, e questa è forse la nuova dimensione poetica pardiniana- la consapevolezza melanconica di aver perso le sicurezze e le speranze giovanili.
Non può: sta al lettore cercarne il messaggio con rispetto e sospensione d’animo (“ora è la voglia d’altro/ che mi riporta a un fiume/ e mi trascina ignoto verso il mare”). È la ricerca del senso ultimo, senza sovrapposizioni né enfasi, che ritorna più volte in questa raccolta poetica.
C’è in quella  barca, che chiude la seconda  parte, “barca che s’inarca al mare” tutta la forza solitaria e metaforica della malinconia. C’è in nuce un saggio della sapienza poetica di Pardini.
Gli aggettivi traducono “in crescendo” lo stato d’animo: remi stenti, mari indifferenti, carni deboli e insicure, rocce scure, onde pellegrine… Musica, sinfonia.
 Si diceva un tempo  che la malinconia era l’accidia: un torpore, un'assenza, una disperazione senza scampo, acuita dalla solitudine, che produce mutismo, anzi «afonia spirituale»; quella che Marsilio Ficino indicava come perdita eccessiva dello spirito sottile. La voce dell'anima che non parla più. Ma per fortuna i poeti ci insegnano che non è così devastante né catastrofica.
N. Pardini ce lo comunica con il susseguirsi metaforico inquietante e contemporaneamente affascinante: la barca –disfatta- che s’inarca è in balìa del vento, azzarda fughe,vola, cerca un porto certo, introvabile,  un faro, un volo…e si pente. Ritorna.  Un Giano bifronte.
Per cogliere quei malinconici doni poetici sono necessari due ingredienti, il talento, se non il genio, e la sincerità senza alcun orpello narcisistico, l'amor del profondo, dello scavo, l’autenticità. E la padronanza della forma poetica.
Toccano  dolorosamente le radici del nostro essere, fino a farci  avvertire un vuoto “ metafisico”. Il baratro ci attrae mentre ci fa paura. Come se la storia avesse perso la voce.
Clio, colei che un tempo suonava la lira e cantava le gesta dei grandi, alla quale la Musa pardiniana si affidava,  è diventata debole, come la più sciocca delle vecchie…
 La tristezza sa aprire squarci che permettono di guardarsi dentro da una prospettiva nuova. Rende consapevoli. Dunque umani. Anche questo è un regalo delle Muse: ci fa  capaci di avventurarci nell’ignoto: con un più di poesia, di essere, di quiete.
Del resto il Poeta ne è ben consapevole: Chissà per quali mete…..

Spentisi i girasoli, ammorbiditisi
i colori della mia campagna
resta un canto che accompagna
i rintocchi di una campana funebre.
Questo rimane di un’intera stagione:
un suono lento e peso
che rinnova un trasporto;
seccumi senza scricchi
per assenza si sole;
viti disabitate;
uccelli che svolazzano nel vuoto,
immemori di nidi.

E lo riconferma nella terza parte, il suo Canzoniere pagano, che sembra aprire a  una poesia nuova, ancora fremente, ma senza più illusioni, facili slanci lirici ed entusiasmi, pur consapevole del suo lungo armonioso canto, dei regali della sua generosa Musa:  poesia sobria, limata, scura, essenziale, tutta cose, potentemente commuovente, come quella  “ casa del colle biondo dove si guardava/ dalla finestra sulla sua cimasa/ cesellarsi la luna…” o quella “zappa appesa al filo del vitigno/ incolto e abbandonato…”  che alimenta ormai la gramigna o il rigagnolo, quasi secco, che brama di scoprire una foce nella sua vana corsa e che dolcemente si tace… 
E quel fiume impetuoso, metafora della vita, che rifletteva i canneti e che correva gioioso al mare tra il rampollare bisbigliante dei gorghi, diventerà  forse –rigagnolo- “acqua sonnolenta e muta e s’infosserà vana e scura, come spera/ di un cielo che è apparente e lascia il vuoto”.
Una grande consapevole poesia.

Maria Grazia Ferraris, agosto 2019












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