domenica 19 gennaio 2020

GUIDO MIANO EDITORE: "TUTTO PASSA" DI MAURIZIO ZANON


NAZARIO PARDINI LEGGE
“TUTTO PASSA”  DI MAURIZIO ZANON
Guido Miano Editore, 2019
mianoposta@gmail.com



πάντα ε: tutto scorre, tutto passa. Già il titolo di questa plaquette ci dà il via, facendoci da prodromico ingresso alla narrazione poetica di Maurizio Zanon; al suo mondo ontologicamente vissuto e dato al verso con euritmica andatura: vita di poesia e poesia di vita; è cosciente, il poeta, del suo essere in campo e di vivere ogni abbrivo emotivo, sapendo che il nostro è un tempo circoscritto, un tempo breve e precario, un momento che appare come un lampo di fronte all’eterno, quasi un tratto donatoci dalla morte, ma sa anche che tale tempo è una cosa sacra, fatta di affetti, di passioni, di memorie, di impegni familiari e sociali e di bellezze che con le loro potenzialità cromatiche ci elevano sino a toccare l’inverosimile. E Maurizio Zanon sa gustare tali unicità, le sa amare, a tal punto da farne oggettivazioni del proprio pensiero, della sua umanità. La natura, ad esempio, compie quasi un miracolo agli occhi del poeta: lo prende per mano e coi suoi impatti visivi lo trascina nei meandri della sua pulcritudine, della sua potenza trascinatrice: il risveglio della primavera equivale a quello luminoso dell’amor vitae: “S’alza silenzioso il magico biancore dell’alba / inconfondibile lucore che l’animo risveglia / e il nuovo giorno somiglia al lieto gemito / d’un bimbo appena nato. In questa luce unica e profonda / tutto ricomincia in gocciolii di rugiada. / Pian piano poi il cielo vedi schiudersi / a un impareggiabile azzurro” (Risveglio di primavera). Tutto si fa luce, tutto tende all’azzurro, e gli amori si impossessano degli esseri che tornano a  vivere con grande  vigore. Il poeta fa suoi i colori e i barlumi della stagione, se ne impossessa per tradurli in versi, in concretizzazioni di emozioni.  Sa che è “Un sorso la vita / un sorso che fatichiamo a degustare” (La vita), ma che noi dobbiamo affrontare in tutto il suo splendore. Una filosofia positiva, essenziale, umanamente aderente, questa del Nostro, che riconosce tutte le difficoltà che incontriamo durante il tempo concessoci, la stessa filosofia che il fatto di esistere comporta, generando quella inquietudine che ci accompagna in ogni luogo e in ogni tempo: hic et nunc. Sì, possiamo spegnere il patema che ci perseguita trasferendo il nostro essere nei prodigi di Pan, facendo delle sue bellezze una specie di panacea medicatrix, dacché, confondendoci nelle latebre delle stagioni, dimentichiamo per un attimo il destino della nostra permanenza terrena, D’altronde è proprio dell’uomo trovarsi in difficoltà di fronte all’idea dell’eterno o della morte. Ma è forse nel confronto tra il prima e il presente che il poeta trova un motivo valido per fare del passato un aggancio al bello e il buono, considerando che certi valori si sono spenti come la rugiada al sole: “Invecchiato, sono un uomo d’altra epoca. / La mia generazione s’accontentava di poco / anche perché v’era poco. Aveva i suoi difetti / ma veniva sempre in soccorso / di chi chiedeva aiuto.  / Non ha conosciuto bullismo la mia generazione! / E se qualcosa socialmente non andava / montava la protesta” (La mia generazione). Una corposa silloge che con 47 poesie tocca tutti gli àmbiti del vivere; ogni situazione vitale, i problemi di una vicissitudine con versi vari e articolati: ora ampi e distesi ora più brevi e di apodittica verbalità, per tenere dietro ai molteplici stati d’animo; c’è la coscienza del tempus fugit, della caduta dei valori che un tempo ritenevamo incrollabili: “Procediamo in caduta libera / nella crisi di valori / che credevamo consolidati per sempre. / Il sole conta le ore. / La vita scorre e si scioglie.” (Tutto passa), c’è la reificazione dell’essere nello splendore della natura: “Al primo schiudersi dell’aurora / quando a poco a poco s’illuminano / i profili delle montagne / odi il canto irregolare delle coturnici…” (Al primo schiudersi dell’aurora), c’è l’antitesi vita-morte che ci accompagna,  riducendo la voglia di vivere: “Odoro di morte / e non so che sto vivendo / come non mi rendessi conto / della vita, pronta e generosa / nel porgermi quotidianamente / le sue tentazioni…” (Odoro di morte), ma c’è anche la sindrome di Sthendal, l’estasi della creatività di fronte alla mano di Dio: “Vi sono al mondo / capolavori letterari, musicali / o delle arti figurative / lasciati da uomini creativi / accarezzati, per un attimo della loro vita / dalla prodigiosa, mirabile mano di Dio” (Capolavori), e le riflessioni sulle malefatte dell’uomo su la Madre terra: “Ci distendiamo sul nostro vivere / e Madre Terra / ci guarda e ci ascolta. / Ma non ci riconosce più come suoi figli. / L’abbiamo prima osannata e amata / poi tradita e ferita” (Madre terra). Come ci sono le città violente, con gli anziani sempre più soli: “Città violente / anziani sempre più soli…” (Città violente), e il senso della fine che piano piano ci aggredisce: “E così muoio piano piano / tra le salse pietre di questa città / umida e sonnacchiosa, che mi trattiene / e m’impigrisce. Avrei voluto viaggiare / dedicandomi completamente allo scrivere! / E invece sono qui a marcire/ nella puzza dei canali…” (E così muoio piano piano).
Rimpianti, nostalgie, tristezza di una stasi, amare riflessioni sul tempo ed il luogo; ma c’è anche la luce e l’orizzonte di un tempo d’estate: “Arrivo al mare / e il vento soffia caldo e leggero. / Il sole picchia a mezzogiorno / sulla distesa d’acqua che per me / è da sempre di casa. / Ho amato questo mare fin da bambino / quando ancora non conoscevo il senso della vita...” (Un giorno d’estate), come c’è la poetica delle radici, la poesia dell’home, il desiderio del ritorno: “Torno a scrivere di te / mia città sulla laguna / venduta e ferita, ti sei ridotta a museo…” (Torno a scrivere di te), assieme ad un auspicante presagio di vita e di amore; di speranza e di luce in un futuro migliore: “Nel magico rituale / al canto dell’upupa / e dell’allodola / giungerà d’incanto / una nuova, bianca alba / e con essa / un diverso germogliare / di luce, di vita” (Pensiero per domani).
Insomma un’opera complessa e articolata che fa della vita un profondo pozzo a cui attingere per concretizzare gli stadi emotivi dell’esistere, spiattellandoci in un vassoio d’argento emozioni da vendere, riflessioni, rimpianti, e meditazioni su tutto ciò che questo viaggio ci propone; e Maurizio Zanon lo fa con padronanza linguistica, con intuizione prosodica, con accorgimenti metrici che trovano nelle sinestesie e nelle metafore la scalata per accedere al regno di Orfeo.   

Nazario Pardini



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