mercoledì 1 gennaio 2020

NAZARIO PARDINI LEGGE: "QUANDO IL TEMPO VERRA' FRAGILE COME LA LUNA" DI GIANNICOLA CECCAROSSI


Giannicola Ceccarossi. Quando il tempo verrà fragile come la luna. Ibiskos Ulivieri. Empoli. 2019


Ho avuto la fortuna e il piacere di leggere gran parte della copiosa produzione letteraria di Giannicola Ceccarossi, autore versatile, polivalente che fa della vita una fonte cristallina e costante della ispirazione. La sua anima è in continua trasfusione in poesie che reificano sentimenti, riflessioni, meditazioni sull’oggi e sul domani, sul quando e il dove, sull’hic ed il nunc di questo nostro esistere, dove la natura si fa personificazione obiettiva degli stati d’animo nel dipingere con cromatiche tinte gli abbrivi emotivi della partizione poematica e dove il riverbero del sole, oggettivazione del suo mondo plurale, si lega alla sensibilità e alla maestria nel forgiare versi di tanta significanza comunicativa; di tanta simbologia panica. Due le parti di questa silloge: Quando il tempo verrà fragile come la luna (titolo dell’opera), e Solo su questo lido Chissà se mai rivedrò il mare. La plaquette affronta quelle che sono le tematiche della nostra vicenda esistenziale: “Il cielo/ I colori/ Dove sono i suoi colori?...”. Interrogativi che l’uomo si pone sull’essere e l’esistere che non trovano risposte esaurienti; tutto fugge, tutto è in bilico, tutto sta a rappresentare la nostra  impotenza di esseri terreni di fronte  al tutto che ci circonda; di fronte alla profondità del nostro pathos. “Ma è così arida la mia solitudine!”. Questo ne deriva: una pesante solitudine dinanzi alla complessità del fatto di esser-ci. Interrogativi: “Li vedrò ancora quei colori?”. Porsi davanti all’oracolare tentativo di sfrascare il domani è un rischio che determina mistero e malessere; malum vitae; splenetiche emozioni che ci turbano e ci inquietano. Questa la chiave di lettura principale. Il rifugiarsi in foglie d’oro di stagioni ultimative è per il poeta il sistema di fuggire dai suoi psicologici giochi: “e mentre il sole/si nasconde alle nubi/ un soffio di garbino mi accarezza” “Ora guardo il riverbero del sole/ e il mio cuore è una foglia d’oro/ fra mille sterpi di rugiada”. Ma non è che il poeta voglia darci una semplice narrazione  bucolica,  dacché è proprio in quei giochi di luce e di ombra che concretizza gli input esistenziali. Natura medicatrix, dunque. Ma anche natura loquace, simbolica, oggettivante, fortemente antropizzata. “Aspetteremo che fasci di comete/ non offuschino più i nostri occhi”. L’offuscamento, la risoluzione, il redde rationem fanno parte della vita come la vita stessa è un  tragitto elargito da Thanatos: “Oggi mi trovo oltre le stagioni/ con dita rugose/ e un solo desiderio/ Che finisca in fretta!”.  Meditazioni, inquietudini, memoriale, esistenza, solitudine... sono i motivi ispiratori di questa polivalente plaquette: “E siamo sempre più soli!”. L’animo si turba di fronte all’irreparabile, ma sa trovare anche la serenità davanti alle pretese della sorte: “ Quando il tempo verrà/ fragile come la luna/ non ci sarà fortunale/ né gocce di grandine...”. Riferimenti di forte antropizzazione in questa poesia eponima che spalanca sguardi verso l’irreparabile, verso il traguardo ultimo della vicenda umana. Una poesia totale, quindi, questa di Giannicola che tocca ogni àmbito del vivere, e del morire; ogni pensamento sul fatto che esistiamo in uno stato di forte precarietà. Sprazzi d’anima in una  versificazione verticale e di sapore sabiano quanto alla forma: apodittica, conclusiva dove spesso la sola parola assume pieno valore significante: verbo giusto in verso giusto. Lo spettro si amplia ai valori dell’home, delle radici: della madre: “Il mio cuore è con te!/  Madre madre mia per sempre”. La solitudine ed il mare occupano un posto rilevante nella seconda parte della silloge: “Solo su questo lido Chissà se mai rivedrò il mare”. Quell’infinito orizzonte che sta a significare lo slancio di ogni mortale verso l’inarrivabile; oltre i limiti in cui è racchiusa la nostra vicenda.  E scrive il poeta: “E c’è tanta malinconia!”. “È un ruscello che scorre il cuore...”. “Perché ricordare/ se poi nulla porterò dietro?”. Sembra che un certo pessimismo faccia da leitmotiv nel corso della storia. Ma il poeta alfine trova nell’amore e nei valori della  vita un motivo valido da renderne prezioso il cammino; e agguantando emotivamente la sua vicenda ne fa una sacra narrazione: “La mia mano stringe ancora la tua”, “Poi all’improvviso/ un tuo sorriso/ Era già mattino/ e respiravo altri sogni”. Chi dice che il poeta non trovi proprio nel sogno una compensazione alle sottrazioni umane. 

Nazario Pardini



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