domenica 15 maggio 2022

CARMEN MOSCARIELLO: "UN VIAGGIO ABITATATO DA TANTI VIAGGI"

 



Un viaggio abitato da tanti viaggi

 

La prosa è ariosa, fluida ed espansa per effetto di cadenze e ritmi da poesia, che per altro, nella filosofia del racconto, appare investita di ruoli di primario rilievo. Così ciò che è, sulle pagine del romanzo di Carmen Moscariello, diviene anche altro; e cangianze e trasfigurazioni si levano a sciami. L’itinerario di un viaggio programmato, che incontra e trattiene nella mente e descrive quartieri di città d’altra latitudine, bazar e casbah, si muta in un percorso nell’interiorità dell’io, tra memoria e ricerca, tra bilanci e speranze, tra verifiche e ri-orientamenti del senso della vita; e le strade si incrociano, si intrecciano, si snodano nell’orizzontalità delle esperienze del qui ed ora ricche di dettagli, per inerpicarsi d’un subito nella verticalità che sonda dimensioni profonde del cuore e della mente. D’altra parte il deserto attraversato, tra Marocco ed Algeria, è luogo fisico di una geografia estrema, asperrima come sotto l’infuriare di una tempesta di sabbia che sferza e graffia i viaggiatori o destabilizzante più di una nausea che disanima come dopo un interminabile cavalcare un cammello; epperò quel deserto fa eco e discopre amplificato il deserto della nostra società defedata o il deserto, prima del viaggio, da cui si riconosce inaridita e impaniata la protagonista che dice io; e ancora è il deserto che accoglie la concentrazione totale di emozioni e pensieri e la meditazione assorta, che asseconda l’espansione panica dell’amore di Dio; ed è lo spazio di un auto-inveramento che è un inveramento della condizione creaturale – lo spazio vissuto da Cristo, lo spazio ideato per Zarathustra; lo spazio di fondazione mistico-religiosa di Charles de Foucauld – uno spazio abitato dalla spiritualità.

Alla spiritualità s’appaia, come spesso nei domini del misticismo, la sensualità, facendone siffattamente una realtà dell’essere ineluttabilmente umana, durevolmente umana, umanamente panica: i colori e i sapori, i cibi e le vesti, le tuniche e i veli su cui la penna si sofferma in taluni quadri di rappresentazione puntano i riflettori sul corpo, talché la storia di chi si racconta in prima persona è  anche quella di una restituzione di sé ad una giovinezza che a suo modo ritorna e si rinnova, ad un risveglio e ad una liberazione sensoriali che accompagnano e acuiscono la formazione religiosa che si consolida tappa dopo tappa lungo il cammino di ricerca.

Mentre in flash-back o in lampeggianti affacci la storia delusiva di un recente passato e l’universo orrendo dell’oggi manifestano alcune loro acuzie, che sconvolgono il vivere civile e fanno sparuti quanti s’oppongono e resistono; mentre l’umana compagnia di rapporti amicali si rammenta, presenza accanto a presenza, come contravveleno e conforto; mentre i personaggi incontrati nel viaggio oltre i confini d’Occidente, in un mondo che affascina e prende l’anima, oscillano tra la realtà e il rapimento surreale in suggestioni visionarie, a tracciare l’itinerario come iniziatico di colei che narra e si narra, guida e compagno ideale – da un tempo lontano di consapevolezze e di atti mai pervenuti a scadenza –  è Charles de Foucauld, di cui si offrono per memoria frammenti di storia (il romanzo mostra pure brevi inserti documentari, allo stesso modo che cita passi di riflessione spirituale e filosofica di maestri del pensiero).

Charles de Foucauld ha fatto prova con il suo corpo e con la sua anima del deserto, ha condiviso la vita e la cultura dei tuareg traducendone la lingua e apprezzandone come valore da tesaurizzare la felicità naturale, ha scelto di stare tra (e per) gli ultimi e tra (e per) gli invisibili, ha aperto l’eremo rendendolo punto di incontro interreligioso e interculturale. Raggiungere quel romitorio abbandonandosi ad un viaggio ricco di tanti viaggi significa compiere un cammino di rigenerazione e di rinascita e ritrovarsi, recuperare l’interezza dell’essere corpo e anima indissolubilmente insieme; e conduce a rileggere e riqualificare l’esistenza, a ricominciare con consapevolezza e responsabilità rinnovate, a portare altro nella vita che si vive e che è vita solo con gli altri e per gli altri; e fa persuasi che l’iniziazione di cui così si è stati attori nell’esperienza multifocale del deserto è da riconquistare ogni volta, giorno dopo giorno attraversando i tanti deserti che incontriamo o scontiamo vivendo.

Questa iniziazione chiede impegno per la fratellanza, per la pace; e in esse si rivela, in esse si trasfonde. E vuole gli apporti della poesia, che nell’opera di Carmen Moscariello – l’opera  di una prosa ariosa e liricamente espansa –  ha la parte di un personaggio-chiave, se frate Charles è poeta, se l’ultima scena è dedicata ad una festa la più grande dei Tuareg, una festa che è di poesia ovvero di espressione creativa e di libertà, di partecipazione collettiva, di appartenenza affratellata ad una comunità che è un solo corpo vivente.

                                                                                          Marcello Carlino                                          

       

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