sabato 28 maggio 2022

GIOVANNI TAVCAR: "TRA PERANZA E ANGOSCIA"

 


IL MARE SI FA PROFONDO E BUIO PER

UN VIAGGIO ALLA RICERCA DI SPERANZA

 


Recensione di Nazario Pardini al libro di poesie

“Tra speranza e angoscia” di Giovanni Tavčar

 

 

 

SPESSO

 

Spesso nella vita

giungono improvvisi

dei momenti

nei quali niente

è più chiaro,

nei quali tutto si confonde:

voce, pensieri, volere.

 

Momenti squassanti

che sembrano artiglianti

presagi

di un fuoco corrodente

dal quale

non esiste visibile

via di fuga.

 

 

Iniziare da questa poesia incipitaria significa andare da subito a fondo in questa riflessione di ricerca spirituale, su argomenti umani e trascendentali che prendono l’animo e non lo mollano. Esistiamo? Fino a che punto il nostro essere sarà padrone di sé? Dopo la morte che speranza c’è di rivedere la vita? Di tornare a gioire delle esaltanti visioni che ci contornano? O: «…Momenti squassanti / che sembrano artiglianti / presagi / di un fuoco corrodente / dal quale / non esiste visibile / via di fuga» Riflessioni che riguardano ciascuno di noi e che alimentano quel malum vitae che si fa compagno del nostro esistere. L’autore in questi versi si avventura in questioni che non hanno soluzione, a meno che non siamo fortificati da una grande fede che ci permetta di vedere il futuro in modo positivo. D’altronde l’uomo, essere dotato di ragione, si tormenta e si inquieta in questo ontologico affanno di ricerca del vero. Ma non c’è soluzione razionale alle domande. Resteranno insolute, e il viaggio si farà interrotto in questo assillo che ci tormenta.

Un viaggio pieno di trabucchi e di scogli contro cui ci si imbatte lasciando infranta la nostra imbarcazione. Ma nonostante ciò il poeta non si arrende, continua a porsi domande senza soluzione, lasciando l’animo turbato dalla impossibilità di raggiungere la meta. Con ciò non si arrende e durante l’epigrammatica vicenda del suo viaggio, riprende l’imbarcazione e continua ad andare in un mare turbolento che si increspa togliendoci la speranza di un porto sicuro. Questo è il destino degli uomini: vivere nella incertezza di un futuro che non dà scampo. Siamo tutti con il poeta in questa affannosa peregrinazione verso un arrivo per niente sicuro, col rischio di restare soli nel buio di una stanza:

 

SOLO

 

Sono solo stasera

nel buio

della mia stanza,

con tutte

le mie ragioni

e con tutti

i miei innumerevoli

torti.

 

Sono solo stasera

a parlare

nel buio

della mia vuota

stanza.

 

Con i vivi

o con i morti?

 

È estremamente umano il pensiero del Nostro, che si fa di tutti in questo viaggio in un mare lontano e smisurato dove non è difficile perdere le forze. Ma l’autore continua imperterrito il suo cammino con una metodo di analisi psicologica. Sarebbe ora afferma il poeta che uno spiraglio di luce mi trafiggesse e mi facesse vedere più in là del mio naso:

 

SAREBBE ORA

 

Non mettetevi anche voi

a rendermi difficili

le mie giornate.

 

Ne ho già fino sopra la testa

di pensieri,

di mestizie, di dolori,

di inappagati desideri,

di giochi sleali,

di palesi contraddizioni,

di inutili tremori,

di spasmi appuntiti e laceranti,

di purulenti ferite.

 

Sarebbe ora

che anche per me spuntasse

qualche raggio di sole,

qualche serena bonaccia,

qualche valida carta

da poter giocare

con appagante successo.

 

Ma io credo che le sue speranze debbano rassegnarsi di fronte a questo mare d’infinito e di buio, e che la sua valida analisi umana non abbia risultati sperati.

 

DOLORI

 

I dolori,

questi angoli d’ombra

che ci percuotono,

ci penetrano, ci trapanano,

ci confondono,

ci assediano, ci vuotano,

ci trasportano

in circuiti tortuosi

e ostili.

……

 

Cosa resta?

 

……

Anticipi

di aspre solitudini,

di cieli in declino,

di baratri insondabili.

 

Eventi implacabili,

che spalancano precipizi

di caos alienanti,

e sommergono

gli sporadici balenii

di luce.

 

 

Semplici balenii di luce è quello che resta di un viaggio che non lascia scampo, dove il buio del mare si fa sempre più fitto nonostante il nostro impegno di remare con grande forza emotiva e meditativa. Una silloge plurale, varia, articolata, introspettiva dove il coraggio di un uomo intento a intravedere un po’ di luce si infrange su scogli lasciando a galleggiare povere speranze su un mare che non tiene di conto di un uomo solo e sofferente, amaramente deluso di risposte senza sbocco. D’altronde questa è la vita, e il suo mistero: le latebre che la circondano sono immense come immenso è il cielo che ci sovrasta:

 

CIELO

 

Dove sta il cielo?

 

Fuori

o dentro di me?

 

Sopra il mio capo

o nel mio

vivere quotidiano?

 

È vuoto

o pieno di bagliori

di stelle?

 

È buio

o pieno di luce intensa

e fosforescente?

 

È triste e smorto

o colmo

di incalzanti sorrisi?

 

Importante

è abbandonarsi al mistero

che la vita

ogni giorno ci offre.

 

 

Versatile ed eclettico lo stile dell’autore si esprime in una versificazione ora ampia ora ristretta, ora ipertrofica ora ipotrofica per concretizzare un animo in cerca di se stesso, della sua sentita e profonda ricerca esistenziale, dove spesso i contenuti danno l’idea di una riflessione non lontana da un pessimismo cocente che non trova via d’uscita da una meditazione che richiede fede e speranza.

Nazario Pardini

 

 

 

Giovanni Tavčar, Tra speranza e angoscia, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 84, isbn 978-88-31497-85-5, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

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