lunedì 10 ottobre 2022

nazario pardini: "novembre"

 Novembre. Tutto è fermo. Anche il cielo

si scopre e  le nubi si assentano 

portate dal vento lontano oltre il mio cimitero.

Tre paesani nei campi 

con frullane che specchiano i raggi del sole

falciano l’erba ai piedi dei peri,

fra quelli mio padre che pensa alla sera,

al ristoro di un giorno freddo e cristallino.

Uccelli neri volano alti

lontano dai tiri. Nei campi

si prendono il sole i sagginali 

felici del calore che scioglie la brina.

Non c’è più nessuno dintorno.

C’è solo la solitudine a far compagnia

ai miei morti che giacciono a terra

in attesa dei sospiri di figli e di madri

a lisciare i marmi con panni

che impolpano il freddo.   

Non c’è più nessuno in questo novembre

che solo, si gode la pace

sulle guance di gelo.   

 

4 commenti:

  1. Un novembre che a poco a poco va animandosi, nella scarna, oggettiva, ma al contempo palpitante descrizione del paesaggio, improvvisamente antropomorfo, come un essere umano che si risvegli dal letargo nonostante la fredda stagione. Il lessico puntiglioso di piante e strumenti da lavoro campestri evoca la predilezione pascoliana per una precisione non certo naturalistica, quanto piuttosto depositaria di una valenza simbolica nascosta. “Tutto è fermo”: la grigia solitudine inziale è subito dopo lenita dai raggi del sole che rimbalzano sulle falci dei paesani intenti al lavoro e la figura del padre si staglia in un flash back nitido e sereno, pregustando il “ristoro di un giorno freddo e cristallino”. Gli “uccelli neri” (di memoria deliberatamente carducciana) sfrecciano sotto un sole che pur nel rigore invernale “scioglie la brina” rendendo “felici” i sagginali. Persiste l’animazione del paesaggio anche nell’ossimorica associazione della “solitudine a far compagnia” ai morti in un novembre che con “guance di gelo” si “gode la pace” del cimitero. Bellissima, struggente, l’immagine anticipatoria (non contestuale quindi al fugace frammento colto dal poeta) di madri e figli che, intenti alla preghiera presso le tombe di famiglia, puliscono le lapidi “con panni che impolpano il freddo”, sostantivo che, declinato con le varianti accrescitive “gelo” e “brina” per quattro volte enfatizza la sensazione fisica del brivido. Un brivido non solo atmosferico, ma dell’animo.
    È senza dubbio, questo “Novembre” di Nazario Pardini, una delle liriche più belle e meno convenzionali dedicate a una stagione così fortemente simbolica ed evocativa. Grazie, professore, di questo prezioso dono autunnale.

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  2. Un novembre che a poco a poco va animandosi, nella scarna, oggettiva, ma al contempo palpitante descrizione del paesaggio, improvvisamente antropomorfo, come un essere umano che si risvegli dal letargo nonostante la fredda stagione. Il lessico puntiglioso di piante e strumenti da lavoro campestri evoca la predilezione pascoliana per una precisione non certo naturalistica, quanto piuttosto depositaria di una valenza simbolica nascosta. “Tutto è fermo”: la grigia solitudine inziale è subito dopo lenita dai raggi del sole che rimbalzano sulle falci dei paesani intenti al lavoro e la figura del padre si staglia in un flash back nitido e sereno, pregustando il “ristoro di un giorno freddo e cristallino”. Gli “uccelli neri” (di memoria deliberatamente carducciana) sfrecciano sotto un sole che pur nel rigore invernale “scioglie la brina” rendendo “felici” i sagginali. Persiste l’animazione del paesaggio anche nell’ossimorica associazione della “solitudine a far compagnia” ai morti in un novembre che con “guance di gelo” si “gode la pace” del cimitero. Bellissima, struggente, l’immagine anticipatoria (non contestuale quindi al fugace frammento colto dal poeta) di madri e figli che, intenti alla preghiera presso le tombe di famiglia, puliscono le lapidi “con panni che impolpano il freddo”, sostantivo che, declinato con le varianti accrescitive “gelo” e “brina” per quattro volte enfatizza la sensazione fisica del brivido. Un brivido non solo atmosferico, ma dell’animo.
    È senza dubbio, questo “Novembre” di Nazario Pardini, una delle liriche più belle e meno convenzionali dedicate a una stagione così fortemente simbolica ed evocativa. Grazie, professore, di questo dono autunnale".

    Un abbraccio
    Angela

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  3. Canta novembre, Nazario, quasi sottovoce, 'tutto e fermo' , si staccano insieme alle foglie le lucide felicità; par che divalli il
    mondo in sprofondamenti zitti di ombra.. Il silenzio pervade l'atmosfera di questa lirica malinconica, resa particolare da flash - back che sembrano attuali: "ai piedi dei peri,/fra quelli mio padre che pensa alla sera,/al ristoro di un giorno freddo e cristallino." L'atmosfera si muove al ritmo dei ricordi, palpita insieme al cuore del Poeta e ricorre il pensiero degli amori che si sono spostati 'nelle stanze accanto', per dirla con Sant'Agostino, ovvero nel cimitero del paese. Sembra una lirica priva di slancio vitalistico, in realtà il nostro Poeta apre sempre spiragli di vita, microcosmi in movimento che rendono il paesaggio .animato: "Uccelli neri volano alti"; "si prendono il sole i sagginali "; "sospiri di figli e di madri /a lisciare i marmi con panni/ che impolpano il freddo". Ed è fortissimo alito di vita il soffermarsi sulle isole delle nostalgia, chiedersi se il nostro primo respiro sia stato così toccante per una madre, un padre, un fratello come il suo ultimo respiro per noi. Nazario nel suo canto al mese considerato triste ci offre una dolcissima preghiera. Lo ringrazio per i suoi versi lucenti come lacrime e come raggi di sole e lo stringo al cuore forte forte.

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  4. Resto sempre positivamente basito nel leggere le poesie e questo Novembre del Prof. Pardini per la estrema capacità di rendere il Suo dettato poetico di immediata comprensione; e dire che il n/s timoniere certo non prende in prestito altre forme espressive poetiche come quelle da decriptare ove il lettore deve fare -acrobazie mentali- se vuole caparbiamente entrare nel mondo poetico di codesti autori. Il N/s Pardini invece, credo che da tempo, sia andato oltre anche se puo sembrare un ritorno al passato, quanto invece e affermo che è la risultante di una grande esperienza in merito. Nella apparente semplicità del dettato, il Nostro racchiude tutti quei canoni inalienabili perchè un testo possa definirsi tale. E' palese la Sua capacità di rendere attivo, partecipe e soprattutto emozionare il lettore col e del suo sentire poetico, privo anche di ogni violenza verbale per la quale denota Esperienza, capacità, dono. Straziante quel verso " C'è solo la solitudine a far compagnia ai miei morti" oltre alla descrizione quasi miniziosa del paesagio che si rende combaciante, in quel momento, all'animo dell'uomo poeta.

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