giovedì 30 gennaio 2025

Maria Lenti legge :" La costanza del cielo " di Gian Piero Stefanoni; Roma, Il ramo e la foglia 2024


 

  

«Hai in te le rovine / di una beatitudine inversa, / di una riversa ebetudine / nello strappo dell’angelo / consumato nel pasto, / nella dicitura del legno / senza più l’albero - il grido, / alla terra che non vuole, / del petto che il cielo non aspetta, / nell’ombra che infibula la carne, / nel mondo che la copula non vede.»,  ULTIMA ROMA, p. 21.

Da una Roma caput mundi Gian Piero Stefanoni fa risalire in versi limpidi e chiari la ricchezza di un pensiero “impensierito” sull’oggi (e sul sempre?) di noi viventi,  solitudine e distacco quasi senza remissione, interferenze negative calate dal contesto politico, malinconie proprie dell’esistenza.

Ma è pensiero che offre un cuneo portante, quello su come non farci sommergere dal nero e quale possa essere il nostro apporto, nostro e del singolo:  «Non uscire dal letto senza pegni, / non andartene nudo. // Ogni giorno oltre le porte / il freddo, la paura, l’idolo - la sera / che ritorna nel nostro muto cognome, / al nostro muto scemare. //  Non uscire dal letto senza volto.»,  VOLTI, p. 22.

Quasi una preghiera, si direbbe, o un monito, un ammonimento rivolto a sé stesso come parte di una umanità ferita e sconcertata, ormai quasi ridotta a non più vedersi o immaginarsi viva, eppure viva di spiragli di speranza se ci si stringe in amore, se la sensibilità spinge amore, se è amore di insiemità.

Sguardo e animo consapevoli, così come il poeta scrive nella Dichiarazione di poetica, ad apertura della raccolta: «Soli non ci salviamo. E se la verità dell’uomo è nella condivisione, la natura e la forza di ogni vera poesia è dare dignità e racconto a questo vincolo fatto del medesimo respiro e del medesimo tormento.»

La costanza del cielo è l’ultimo libro di un autore che fin dal suo esordio ha avuto a cuore e ha trasfuso nella sua poetica la possibile salvezza di noi umani ab aeterno avvolti da reti, reti che, nel tenerci fermi, ci fanno tuttavia intravvedere il fuori dei rombi metallici: un ostacolo c’è ma pure può essere ravvisabile la sua rimozione.

Ed è la solidarietà, è la vicinanza, sono – arrivando a La costanza del cielo – l’impegno e l’amore, nella doppia valenza dell’amore per sé (impegno) e per il mio simile. Un amore, in qualche modo, da recuperare nelle profondità delle nostre fibre, forse per cristianità assorbita e non dimenticata, forse per una umanità presente da sempre se pur coperta dalle intemperanze del vivere (in quanto tale) e dell’esistenza (in quanto agita da altri). («Ma il mondo a sé rivolto non muta,

/ non dà pace, tutto occultando, / tutto spegnendo / nell’ispirazione sorda, / nel desiderio scevro. // Il cielo / non è uno spazio, la rosa / una facile voce nell’ipotesi divina.», DORSALI, p. 54).

Dalla prima raccolta In suo corpo vivo (1999) a Il dolore della casa (2020) a Di novembre (2022) si snodano lievi le poesie di Gian Piero Stefanoni con un filo di continuità, mai pressante, nel senso che mi sembra di avere individuato. Lo stesso filo che in Lunamajella (2019) appare saldamente introiettato avendo il poeta trovato in un luogo reale e simbolico,  non suo da sempre ma fatto suo, il proprio sé dentro un paesaggio terrestre e umano sotto un cielo di offerte non mendaci.

Un cielo che si vorrebbe proteso ad una costante sua chiarezza. Ma...vivere la speranza o vivere l’attesa? Esce l’interrogativo da La costanza del cielo:nell’una o nell’altro dilemma sta l’agire, pur accidentato e in salita, di chi ogni mattina si alza e inizia a camminare il suo giorno.   

 

 

Maria Lenti

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