martedì 13 maggio 2014

N. PARDINI SU "POESIE" DI GIUSY FRISINA

NOTA CRITICA DI NAZARIO PARDINI



Poesia che con voce chiara e ammiccante riesce a tradurre un sottofondo di spiritualità umanistico-classicheggiante in misure di moderna sonorità. Una sinfonia che lega tra loro nèssi allusivi di impatto emotivo. Fughe verso mari che respirano arie di mistero e di incontri mancati. Desideri di àmbiti rigeneranti, di onirica Bellezza. Contaminante dire poetico che con slanci di euritmica fattura riporta acque di un Egeo zeppo di miti a scorrere in argini di sapida novità verbale.
       E c’è la vita in questi versi con tutti i suoi sogni, con tutte le sue sottrazioni, con tutti i suoi voli, pindarici voli verso mète che oltrepassano il confine del nostro esistere verso l’ “Incantesimo  sul mar Egeo/ Di fronte all’austero Peloponneso”. E tutto si fa ritratto di un’anima volta a raffigurarsi in quadri di classica memoria rivisitati da un verso fresco e sinfonicamente attuale: spiagge, calette, scogli, ciottoli variegati dai colori antichi,  il mare sempre diverso e sempre uguale, incontri impossibili per tempi che ci rendono diseguali. Un fremito di vento antico in un’anima che si rigenera in docili misure trasparenti come mari di greca memoria.

Aggiungo un’altra significativa poesia di Giusy Frisina a conferma della sua agilità ispirativa nel tradurre il mito in un canto di cristallina resa poetica (Il cuore di Hydra).  Sta qui la grandezza della poesia: nel fare del repêchage di miti e mitologie un’attualizzazione delle vicende umane. Un’elevazione all’universale.
Ben intonata, fra l’altro, al tema del blog: Lèucade.
E non me ne voglia la poetessa se, invogliato dalla freschezza del suo poièin, inserisco nella sua pagina un mio poemetto sulla mitica isola, un poemetto pubblicato in Alla volta di Lèucade.


Il cuore di Hydra

di Giusy Frisina

Potrei approdare su Lèucade
Dove la vinta poetessa
Si slanciò sulle acque
Dall’alta rupe
Per ritrovarsi immortale_
Ma il mio destino è più lento
E imprevedibile
Al punto da stancare
perfino il tempo che resta _
E l’isola giusta si cerca
Con ogni cura
Nelle nude spirali
Della sezione aurea
Di una sola conchiglia
Appena  immaginata
Nel cuore chiaro di Hydra.



Traduzione in inglese

The heart of Hydra


I could come at Léucade
Where the defeated poetess
Ran on the waters
From the high  cliff
Recovering the immortality  _
But my destiny is long and
Unpredictable  
So to get bored
The remained time _
And the right island is looked for
With every care
In the bare spirals of
A golden section  of
An alone shell
Just now imagined
In the clear heart of Hydra.




Fuga da settembre

di Nazario Pardini

E furono le le Eumenidi a portarmi
dove non vi è stagione. Ventilava
zefiro eterno l’isola di Lèucade                     
eternamente dolce di lavanda e di timo.
“Dallo scoglio”
mi dissero “Ove siedi ad osservare
gli ampi spazi del mare ricamato
da sciami di gabbiani, si gettavano
gli sfortunati umani per disperdere
reminiscenze estreme. Ed anche Venere
restò meravigliata nel sentirsi
serena dopo il volo.
Gli infelici in amore a  Lèucade accorrevano                       
dai più lontani luoghi. Preparavano
con offerte ad Apollo
la loro prova. Ed erano sicuri
coll’aiuto del dio di sopravvivere
all’eccelsa caduta. Proprio qui
ove tu siedi stette il piede tenero
dell’infelice Saffo che Faone
abbandonò. Nel cielo di quest’isola,
lucido ed armonioso, riscontrava
solo dolore; andava su altre sponde
ove il mare violento tormentava
gli scogli dissestati per rivivere
il suo triste destino. Dalla cima
della dimenticanza, si gettò
in quest’onde fatali. Ed Artemisia
regina della Caria ed altre ancora
raggiunsero la meta, ma scambiando
la vita con la morte.” “Mi sovviene
il mio settembre tanto logorante
nei palpiti di umana inconsistenza,
nei flebili lamenti di esistenza,
nei pallidi scolori di tristezza
di un borbottio leggero di rumori
quasi alla fine. Ma non so se vale
di più restare immoti nella stasi
di un eterno sereno che provare
il dolce senso del dolore umano.”
“Proprio il poeta, diciamo di Nicostrato,
gettandosi dall’alto della rupe,
non lasciò col patire
il respiro di vita. Forse il dio
volle che poesia perpetrasse
dall’anima pacata, dopo il salto,
il suo divino suono”.  Ed io fuggii                
scabro settembre, mese addolorato,  
dal sangue che si sperde in ogni dove
dell’ultimo respiro della vita.
Io ti lasciai e un salto nelle oniriche
acque di Lèucade non mi concesse
morte né oblio, ma solo la ricchezza
d’immagini feconde rivissute
da un’anima al di sopra delle povere
storie del giorno. E ti rivissi, vita,     
con un sentire lieve e tanto amato
che in ogni fatto lieto o meno lieto,
ma scampato, vidi un superbo dono.




 Viaggio in Grecia

di Giusy Frisina

Atena Nike
Faro dell’intelligenza
E del coraggio guerriero
Regina di bronzo puro
Vegliami nella notte
Con la silenziosa civetta
Ed un ramo d’olivo
Occhio che guarda nel buio
E che non teme di accecarsi
Messaggera di pace
Tu che prepari la difesa
Di una città orgogliosa
Tu che non potrai mai vincere
Senza che Poseidone  ti sconvolga
Con il tridente d’oro
Ed una scia di pesci
Di rame e d’alabastro

Da “Il canto del desiderio”(Edarc 2013)


Traduzione in inglese


Journey  in  Greece

Atena Nike
Lighthouse of intelligence
And fighting courage
Queen of pure bronze
Take care of me over the night
Whit the silent owl
And with an olive’s branch
Eye looking in the dark
And not fearing
To blind itself
Bringing  of peace
You that  prepare  to defend 
A proud city
You that cannot win
Without Poseidon’s
Shocking strike
By a gold trident
And a swarm of copper
and alabaster fish


Hydra

di Giusy Frisina

Incantesimo  sul mar Egeo
Di fronte all’austero Peloponneso.
Qui  ti cerco senza cercarti
Tra spiagge e calette
Insolite e familiari
Di scogli e ciottoli
Variegati dai colori antichi.
E  il mare
Sempre diverso e sempre uguale
Racconta l’incontro mai avvenuto
E che mai potrà avvenire
Di due stranieri della Terra
Che in tempi diversi
Si cercano senza saperlo
Eternamente specchiati
 Nella trasparenza di un’acqua
Che sempre li rimpiange
E sorride

Da “Il canto del desiderio” (Edarc 2013)


Copertina realizzata con disegni dell'Autrice


Traduzione in inglese

Hydra

Charm on Aegean sea
In front of the  Peloponnesians austerity
I am looking and not looking for you
Among  unusual and known
 Rock  and cobble  beaches
In  the wonder of ancient colours
And the sea
 Always  different  always same
Tells the merge never been
And   that never will be
Of  two  earth foreigners
Who  in different  times 
Looks   for each other
Without  knowing it
Eternally reflected
In  the  water transparency
Forever regretting them
And  smiles        


 


Giusy Frisina è nata in Magna Grecia.  Si  è laureata in Filosofia all’Università di Messina ed ha successivamente conseguito una specializzazione in Psicologia  presso l’Università di Siena. Abita a Firenze e  insegna Filosofia al Liceo Classico Galileo. Ha scritto vari articoli e racconti per la rivista online Domani Arcoiris TV diretta da Maurizio Chierici.  Diverse sue poesie sono state selezionate e pubblicate su antologie come Poesie del nuovo millennio, Habere Artem  e Parole in fuga, a cura di Aletti editore. L’amore per la poesia e la musica di  Leonard Cohen hanno dato origine alla raccolta bilingue Il canto del desiderio (Edarc, 2013). Un’altra sua raccolta, già segnalata al Premio Letterario Ibiskos 2012, è  stata recentemente pubblicata col titolo  di Onde interne (ilmiolibro, 2013). Di prossima uscita la sua ultima silloge dal titolo Dove finisce l'amore, a cura di Teseo editore .


10 commenti:

  1. Giusy Frisina, con molta arguzia, mette a profitto le lezioni del “secondo” Heidegger e del “secondo” Wittgenstein, cimentandosi con l’«indicibile», attraverso il riferimento all’unico linguaggio significante, cioè il linguaggio della «poesia». È il mito, il racconto non-razionale, a salvare la razionalità umana in crisi; nei versi di Giusy è il muthos, narrazione incantante, a custodire, paradossalmente, il moderno, con un rifiuto netto del post-moderno artistico. L’esito ultimo della filosofia è una «poesia» che, attraverso richiami classici, tenti di invertire la rotta, di tornare indietro, indietro, troppo tardi, in una sorta di nostoi impossibile dal tardo-moderno al moderno.

    RispondiElimina
  2. lo so, parlo di ciò di cui secondo Wittgenstein si deve tacere... Però anche lui poi ci ha ripensato, con i suoi "giochi linguistici".Ma se questo strano gioco alchemico talvolta diventa "poesia" non possiamo che essere grati agli dei. O al mistero. Ecco perché amo definire la mia una "metafisica di confine". Se poi è ancora illusione chi può dirlo? Che sia almeno scetticismo aperto, vero Ivan? E comunque basterebbe ancora, purché parli con un nuovo linguaggio. Grazie a lei professore, anche della bella chiave psicologica con cui mi ha letto.

    RispondiElimina
  3. Le tre liriche di Giusy sono accomunate dal richiamo al mare nella sua valenza di elemento primordiale e archetipo...mi sembra inoltre di scorgere sotto i versi un tentativo di assaporare una dimensione acronica del vivere, una pulsione a fermare in attimi eterni ciò che inesorabilmente scorre (ancora, il flusso e riflusso delle onde). Il mare è anche volto al femminile e le sue baie e ciottoli appaiono confortanti indizi di un ritrovato accogliente utero materno...c'è una volontà di sentirsi figlia, di lasciarsi guidare per mano dalla divinità. Come in tutta la poesia novecentesca all'eterno, alla fissità del mito, al conforto di entità archetipiche si contrappone, con la reiterazione dell'ossimoro, l'ineludibile e dolorosa corsa del tempo, la quotidianità, l'assenza dell'altro da sé, l'incomunicabilità. Le liriche quindi segnalano una lotta titanica alle ferree leggi dell'umano. DIo è morto, ma anche NIetzsche non se la passa tanto bene.

    RispondiElimina
  4. Grazie Fulvio, la tua profonda riflessione tra psicoanalisi e filosofia, mi riconduce ancora, ma con simpatia, a una dimensione evasiva dove i miei versi sarebbero immersi, come nel liquido amniotico o nelle acque primordiali di un impossibile ritrovamento, ma che nella ricerca di un'immagine numinosa tenterebbero ancora di trovare una risposta, proprio quando nessuno ci crede più.. Nell'isola della follia dove tutto è possibile ho ritrovato anche Nietzsche ..ti assicuro che sta già meglio. Un abbraccio.

    RispondiElimina
  5. Se la vita è un dono offertoci dalla morte, la morte è da ripagare col ricorso alla storia, al mito, alle memorie. Vivere è aspirare all'infinito. Qualcuno - un dio o un dèmone - ha posto nel cuore dell'uomo questo assurdo bisogno di travalicare le possibilità della vita, questo pungolo che spinge a uscirne, incalzando di delusione in delusione l'anima sempre vogliosa. E aspirare all'infinito è aspirare alla morte. E' nella natura dell'uomo azzardare sguardi oltre gli spazi ristretti del nostro soggiorno. Andare oltre i propri limiti: "l'uomo va superato", nello stesso modo in cui tutti gli esseri hanno creato qualche cosa che li sorpassa. Se esiste il giorno è perché esiste il buio, se esiste il bene è perché esiste il male, se esiste la vita è perché esiste la morte. Sta in questa dualità, o meglio in questa simbiotica fusione di contrapposizioni eraclitee la vicissitudine dell'essere umani. Superarci vuol dire essere un po' superuomini, dionisiaci; vuol dire cercare quell'isola verso cui va l'immaginazione di Frisina: l'isola di Lèucade, di Hydra,... quell'isola, insomma, in cui l'uomo trova quella parte di sé di cui è carente. Ed è il mito, io credo, e non quello statico, orfico, relegato ad un atto culturale, ma quello mitopoietico, che va oltre, che guarda ad una fase di prolungamento e di rinnovamento del nostro essere, a suscitare in Giusy una spinta verso il mondo irraggiungibile (quello è il suo bello) della purezza estetica; dacché è in noi la spinta, ma anche l'impossibilità di raggiungere la meta per la miopia della nostra caducità. Diciamo che l'arte è il mezzo per avvicinarsi il più possibile all'inarrivabile.
    La vita è breve, la morte è eterna: se l'uomo aspira all'eternità aspira alla morte.

    Nazario

    RispondiElimina
  6. Certamente abbiamo una prefigurazione della morte come nullificazione, ed è un bene perché è proprio quell'idea che ci spinge alla vita. Altrimenti non ci sarebbe differenza e la malattia mortale sarebbe la depressione, la morte in vita. Ma gettarsi dalla rupe di Lèucade forse non può essere visto solo come un momento di depressione, attraverso cui eternarsi nella morte. Può essere anche rifiutare quella morte in vita che è la disperazione, la peggiore condanna, quella che Kierkegaard chiama "morire la morte dell'io" ovvero il voler essere e non poter essere se stessi...Il salto è anche il coraggio di scegliere di diventare quello che si è, perché quella è l'unica vera forma di vita. Allora quella morte è ancora una volta vita, anche se "solo" immaginazione, abbracciare quel mare e approdare ogni volta, con la poesia, sull'isola felice, raggiunta e mai raggiunta.

    RispondiElimina
  7. Il solo sistema di vincere la morte è quello di renderla immortale.
    Per questo chiudo il mio canto dedicando a Lèucade questi miei vessi:

    Ed io fuggii
    scabro settembre, mese addolorato,
    dal sangue che si sperde in ogni dove
    dell’ultimo respiro della vita.
    Io ti lasciai e un salto nelle oniriche
    acque di Lèucade non non mi concesse
    morte né oblio, ma solo la ricchezza
    d’immagini feconde rivissute
    da un’anima al di sopra delle povere
    storie del giorno. E ti rivissi, vita,
    con un sentire lieve e tanto amato
    che in ogni fatto lieto o meno lieto,
    ma scampato, vidi un superbo dono.

    Il dono della sopravvivenza dell'anima. Il dono dell’immortalità della morte che si fa eternità dello spirito. Un dono che si porta dietro la vita con tutto il suo bagaglio culturale, onirico, memoriale. E Lèucade rappresenta tutto questo: il cosmo della nostra individualità e la resistenza alla distruzione, all'annullamento. Uno dei dilemmi più assillanti del nostra precarietà è in un interrogativo: a chi consegnare il bagaglio unico e insostituibile delle nostre memorie? C’è chi lo affida ad una fede religiosa, chi ad una politica, chi alla poetica foscoliana delle dolci illusioni, e c’è chi ne affida la sopravvivenza ad un’isola come quella di Lèucade, la quale avvia una rinascita dal tuffo della morte. La morte che si autodistrugge per rendersi eterna nel canto. Una rinascita laica, libera, che si porta dietro tutte le vicissitudini buone o meno buone, anche ferali, che dopo il tuffo si fanno superbo dono. Sono immagini. E le immagini si differenziano dalla realtà cruda. Decantate in animo, tornano ad esistere e chiedono nuova vita. Sono quelle che, attorniate dal sentire, costituiscono il pane della poesia. Il terriccio fertile del canto. Di un canto che può nascere da Lèucade come da Hydra, come da una via crucis, in quanto mai ci rende soddisfatti del suo conseguimento, perché siamo imperfetti e destinati a generare cose imperfette, come la parola. Uno strumento umano insufficiente a concretizzare gli input emotivi che ambiscono a staccarsi dalla terra per volare a Lèucade. La morte che muore per farsi eterna sull’isola dei sogni, carissima Giusy.
    La tua poesia vince la fine nel suo tentativo di trasferire l’imperfezione umana in quel regno che più si avvicina all’inarrivabile.

    Nazario

    RispondiElimina
  8. Forse è anche una ricerca religiosa, o meglio spirituale, caro Nazario. Qualche anno fa ho scritto qualcosa per una persona cara che ha scelto, come a Lèucade, di morire fisicamente,con un salto. Si intitolava "Al Mistero" . Era una promessa, che mantengo continuando a scrivere. Eccola:

    al Mistero (20 giugno 2010)

    Si muore solo di dolore
    forse per un errore di natura,
    dicono,
    che ci ha resi consapevoli...
    non certo di un dio ingannatore.
    Ma non mi accontento dei disegni
    imperscrutabili
    né della casuale vicenda che ci intrappola.
    E non mi abituerò all'Assurdo:
    voglio solo sapere
    cosa c'è dietro l'angolo.
    lo urlerò all'infinito
    col mio silenzio ostinato
    AL Nulla o al Mistero
    finché non avrò risposta.
    E rimarrò affacciata sugliabissi
    del buio che inghiotte
    chi non ha avuto un giorno di pace
    nell'anima prigioniera.
    E che non ho potuto,
    ancora una volta,
    salvare.

    Ecco perché mi sono rifugiata a Hydra...Ma ogni tanto torno su Lèucade.


    .

    RispondiElimina
  9. Hai pienamente ragione, carissima. Una ricerca spirituale che continua all'infinito, attraversando strade dolorose, cosparse di fosse profonde come avelli, come afferma il mio amato Baudelaire. E' proprio questo slancio continuo verso il mistero dell'oltre che ci tiene vivi e che ci dà l'energia emotiva per scrivere poesie tanto coinvolgenti come questa tua. E credo proprio che nasca dal dolore, dal travaglio della vita, e dalla sua memoria quell'input spirituale che da Lèucade volge lo sguardo verso Hydra. Basta non restarvi chiusi; ma continuare il viaggio oltre le colonne che aprono sguardi verso l'orizzonte illimitato del mare.

    RispondiElimina