Maurizio Soldini collaboratore di Lèucade |
Caro Nazario,
ho scritto questi versi pensando ai poeti,
che in mezzo a tanta inautenticità cercano incessantemente una qualche
soluzione all'insensatezza del vivere, a quel male di vivere montaliano, che si
strozza e gorgoglia in tanta società, in tanta politica, in fatti e in cose del
quotidiano, e in tante persone, e in tanti malfattori, e in tante chiacchiere,
dove sguazza l'inautenticità del nulla e dove la parola manca e arranca.
Il poeta, - delfino solitario, raggio
di sole in tanta nuvolaglia -, è come un sarto delle maschere, che tenta di
cucire e ricucire il profilo della persona e delle persone. E lo fa
attraverso la parola, la parola cercata e ritrovata, tentando di far
volare questa parola e di farla volare alta, - il riferimento luziano non è
gratuito -, per custodirla nell'autenticità del bello e del buono e per
aspirare al vero ai cospetti del sacro e del divino. Perché soltanto la parola
nell'in-canto del canto poetico può dare la misura e il senso dell'essere
umano.
Ed è così che ho pensato a chi, come te,
forgia parole e canto con maestria e con il diuturno convincimento che
alla fine la poesia è la nostra unica ancora di salvezza.
Ed è per questo che mi sono permesso di
dedicarti questi versi: ecco il poeta!
Con stima e amicizia,
Maurizio
ECCO IL POETA
a
Nazario Pardini
Un cenno dato al vento delle strade,
quando si muove il giorno dalla notte,
sciogliendo il tempo nelle giravolte
delle nuvole appiedate dalla pioggia,
nei saliscendi metropolitani di sciarade
intorno ai capisaldi di nottambuli
nelle fazioni di sinistra e destra.
Vive in scommesse perse il lottatore
contro i destini di solerti fannulloni,
che stringono le corde sui fianchi di seta
e smerciano il nulla a favore del potere,
mentre la povertà sale sopra la breccia
per scivolare nella melma della sicumera
di chi sputa e spilla il vino dalle botti piene.
Si tinge di sospiri il raggio solitario
spuntato dai coppi sui tetti spioventi,
sulle cimase senza nidi e approdi
alle commesse fatte avanti ieri.
Si levano così in volo senza paura
le gazze in gruppo verso il cielo
e sotto nel terreno in acque calme
nuota il delfino solo come in sogno.
Esige l'esistenza l'indecenza di rovinare
sopra una salita e scorticarsi le ginocchia,
per sollevarsi ancora e credere al futuro,
scrollandosi la terra sopra le ferite aperte.
Le novità scoperchiano le pentole del fato
e scoppiano i dolori, che confondono le prese
di ogni salute e di ogni remissione di peccato
per chi trascina accanto i tremiti del canto.
Scrivere è compiere un ciclo nel tempo,
è una rinascita, che arriva a compimento,
per serrare all'interno del vento quel poco
che resta nel verso col tormento del vivere.
Un semplice soffio e è un istante, che accorre
a redimere la parola che manca e arranca,
finché nel piede s'avanza il cammino,
che porta alla meta del sogno divino.
Custode di tale ricchezza in gloria di parole,
che rimestano sciagure in agnizioni e in tropi
e in visioni di carne e di stoffa: ecco il poeta.
Che cuce e rammenda le storie di maschere
e sogna e balbetta e divampa di ghiaccio
fintanto che cola materia da un palpito in gioia.
E segna sulla pagina quel senso, che cerca
e che si trova nel rifugio mal pagato dal male
di vivere, che soffoca soltanto in canto la parola.
Maurizio Soldini
Roma, 12 luglio 2015
Carissimo Maurizio,
RispondiEliminanon ci poteva essere mattinata più lucente di questa. Ho aperto il pc ed eccomi davanti al tuo canto nutrito di perspicace vis creativa. Un quadro cucitomi addosso con grande forza ontologica; una descrizione saggia e autoptica della mia poetica, dettata da un animo generoso e aduso al verbo. Sì, la parola! Quel mezzo umanamente caduco ma al contempo sovrumano nelle sue spinte verso l’Alto, nei suoi azzardi verso l’oltre, oltre le deficienze umane; verso la Verità del Bello e tutto ciò che Esso coinvolge; dacché Bello significa spiritualità estetica, etica, cognitiva e contemplativa. E’ con la parola, con la sonorità del suo sintagma, e con l’autenticità del suo significante, che noi voliamo per vincere le miserie del nostro essere umani, coscienti della nostra fragilità ma disposti ad orizzonti d’infinita profondità; coscienti della decadenza politico-sociale di un uomo che, fattosi venale, mira solo alla negazione della sua venuta. E che gridi, dunque,la parola; gridi forte, alla Munch, da mondo a mondo, a ché lo spirito, una volta uscito dalla luce del Supremo per l’avventura umana, possa ritornarVi ripulito; e non come delfino solitario, o raggio di sole in tanta nuvolaglia, ma come parte di un grande insieme; come parte di una umanità rivedutasi, di una umanità non più offuscata dall'inautenticità del nulla, ma abbacinata da luci di un cielo, azzurro, lucente e senza nubi. Ti ringrazio, carissimo amico, e conserverò il tuo canto nello scrigno delle cose più preziose: punto luce fra tante cianfrusaglie.
Nazario
Caro Nazario, Ti abbraccio!
EliminaMaurizio
Lirica di saporosa struttura stilistica, dove la parola, incastonata con raffinata orafa cesellatura, si fa contenitore, ampio e trasparente, di un pensiero etico ed estetico di filosofica rilevanza. Conoscendo l'arte del dire del poeta cui è dedicata ritengo pregevole l'analisi che traspare da questo canto. Veramente ad hoc. I miei più sinceri complimenti.
RispondiEliminaProff. Angelo Bozzi