Valeria Serofilli |
In uscita ormai prossima delle due
pubblicazioni "Vestali" (poesia) e "Ulisse"(raccolta
antologica di racconti brevi, già nel 2014 in e-book per LaRecherche e ora in
volume), di Valeria Serofilli. Vi presentiamo alcuni passi delle relative opere. Alleghiamo
anche una nota di lettura curata a Luigi Cannillo in occasione della recente
presentazione curata dal critico Valeria Serofilli all' Ussero.
Le presentazioni dei libri si
terranno:
l'11 settembre alle 17:30 a
Firenze presso la Fondazione il Fiore, con interventi critici di Maria Giovanna
Missaggia, Ivano Mugnaini ed un saluto di Davide Caramella;
il 19 settembre alle 18 presso
il Cosmopolitan Golf & Resort di Tirrenia con presentazione di
Romboli(da cui attendo conferma),letture di Rodolfo Baglioni e musica dal vivo
con chitarra di Damiano Bertuccelli;
il 16 ottobre alle 18 presso il
Salone delle Feste di Villa di Corliano con mostra di quadri del pittore
fiorentino Giancarlo Ferruggia nonchè miei testi ad essi ispirati.
SENSO, SOSTANZA E SACRALITA’ DEL VENTO DI LUIGI CANNILLO
Nota di
Lettura di Valeria Serofilli a Galleria del vento, (La Vita Felice
edizioni, Milano 2014) di Luigi Cannillo
È un
elemento invisibile ma presente e attivo, in grado di far percepire la sua
forza e la sua influenza, il vento. È possente e vitale, pur nella sua
apparente inconsistenza. La parola stessa, in un certo senso è simile al vento
anche se spesso sembra priva di corpo, di materia e sembra sfiorare le cose senza poterle mutare.
Di sicuro non ha il potere di colmare il vuoto e di guarire le ferite del
lutto, dell'assenza, eppure, anch'essa, in modo impercettibile ma tenace,
scava, muta le cose, le rimodella. È necessario trovarla, o almeno
ininterrottamente cercarla, per provare a dare un nome perfino alla morte. Ci
si esercita, allora, si sperimenta, ci si fa modelli di calcoli sulle
traiettorie, sulla portanza e sull'aerodinamica.
Questo libro
di Luigi Cannillo è un sentito resoconto di tali esperimenti provati e
registrati in prima persona: vi si descrivono gli effetti del lutto e il
tentativo di andare avanti, nel vento della vita.
“Siamo i lembi separati da sempre/ da sempre ricongiunti/ destinati a inseguirci/ e fuggire appena sfiorati”, scrive Cannillo (pag. 33), dando voce a questo alternarsi costante di necessità e fragilità, vicinanza e abbandono. Come in altre opere dell'autore è il corpo il termine di paragone, la bussola e la tempesta che scombina le carte, smarrisce e fa smarrire. Ma il corpo è anche parola, o meglio la misura della corporeità può trovare un riferimento concreto e ideale nella parola che lo descrive e lo orienta allo stesso tempo. Il corpo è senso, inteso come immediatezza della percezione e dell'istinto, che tuttavia è lanciato verso la ricerca di un senso da intendere come significato, fosse pure la logica dell'illogico. Del resto la vita nasce con la sicurezza amara e spiazzante della morte già insita in sé, nel suo patrimonio genetico. Tra questi estremi si deve muovere il pensiero cercando di esistere e di resistere.
“Chi scuote questa galleria del vento/ dove oscillano fiori e fondamenta/ e palpitanti ci animiamo?” (pag. 11). Esordisce così, il libro. I primi versi racchiudono, come è giusto e coerente, una domanda, destinata a non avere una risposta o ad averne di infinite, una per ciascun destino individuale. In entrambi i casi, nessuna certezza assoluta, ma è questo il senso, il succo, la sostanza del vento, per così dire. Cannillo in questo suo libro alterna spunti filosofici con descrizioni di azioni e oggetti concreti, quotidiani. I due elementi messi in parallelo si rafforzano a vicenda: la filosofia diventa più umana, densa di sostanza concreta; agli oggetti e agli eventi viene conferita o meglio restituita quella “sacralità laica” che è propria di ciò che è intimamente connesso alla fatica e all'arte del vivere giorno dopo giorno. Nella prima epigrafe del libro (pag. 13), del resto, Roland Barthes, sintetizza, seppure su basi differenti, facendo riferimento al lutto legato alla perdita della madre, l'essenza e la necessità di “mantenere il suo ordine domestico, quell'alleanza tra etica ed estetica che era la sua incomparabile maniera di essere, di affrontare la vita quotidiana”.
Il senso si lega al suono tramite un tessuto di assonanze non artificiose, quasi a tentare di dare alla mancanza, al lutto e al vuoto, almeno il beneficio del suono, della musica naturale. “Così che il tempo che si seguiva innocuo/ accelera e sorpassa verso il vuoto” (pag.15), scrive Cannillo nella lirica che apre la Sezione “L'ordine della madre”. Sembra quasi di poter percepire il sibilare di quel sorpasso progressivo e brusco allo stesso tempo, un ossimoro percepito con dolore solo quando è troppo tardi per opporvisi, ammesso che sia stato possibile farlo, in qualche momento.
Le parti descrittive affiancano quelle meditative, come, ad esempio, nella lirica di pagina ventisei, in cui partendo da un giardino e da una fontana l'autore giunge a ragionare sulla “natura [che] si prodiga/ anche verso i morti”. La volontà si innesta sul progetto di mantenere un contatto che non sia solo mentale, ma che affondi le radici negli elementi di base dell'esistenza, terra, acqua, aria. Quegli stessi che alimentano e sostengono il corpo, ancora una volta asse portante della poetica di Cannillo. Partendo da questa base, si può tentare un salto verso il più scosceso dei dirupi, il futuro, il futuro con il fardello delle assenze. Nella lirica successiva, quella di pagina ventisette, compaiono verbi che accennano ad un potenziale domani, anche se restano, ineluttabili, le parole della madre, sia la voce che lo scritto, unite nelle lettere che sembrano ancora parlare con “la loro voce ferma”.
Nella Sezione dedicata ai dodici segno zodiacali, si correlano gli elementi distintivi di ogni segno con le caratteristiche proprie di alcuni tipi umani. Viene posta in connessione l'osservazione del comportamento con la somma delle azioni, creando un legame il cui scopo sembra quello di ragionare ancora una volta, con un tono più lieve, su considerazioni di carattere generale e sugli orientamenti dei destini.
La Sezione successiva è quella a cui si è fatto varie volte riferimento: “Il rovescio del corpo” (pag. 43). La corporeità, dunque, ma percepita tramite approcci e punti di vista altri, alternativi, per vie tortuose che tuttavia conducono a tratti a visioni di ampio respiro. L'epigrafe della Sezione è tratta da Nietzsche e pone fianco a fianco il corpo con la ragione, come poli contrapposti ma conciliabili. O meglio, coincidenti, nell'istante in cui si parla e si evoca la grande ragione del corpo. La civiltà tedesca, rappresentata in questo caso da Nietzsche, è studiata da Cannillo sia per ragioni professionali che per passioni e affinità letterarie. Vi si trova esaltata la coesistenza tra musica e filosofia, razionalità e astrazione, un terreno ideale anche per una poesia che aspiri ad andare oltre l'immanenza per tentare di riflettere su prospettive di ampio respiro. Il progetto è quello di ritrovare una purezza primigenia, anche nell'ambito del pensiero, liberandosi da vane sovrastrutture. Come, per fare uno dei molteplici esempi possibili, nella lirica di pagina cinquantatre: “Nel tuo mondo senza numeri/ ti restituisci agli elementi puri/ Il desiderio ormeggia al confine/ sulla soglia irremovibile del corpo”. Resta tuttavia, come pena ma anche come paradossale ricchezza, la soglia invalicabile dell'imperscrutabile: “Contemplo ad occhi spalancati/ quello che tu vedi ad occhi chiusi”.
L'ultima Sezione “Berliner”, racchiude cartoline di viaggio da Berlino, ritratti e panoramiche attente di una città che non è solo un luogo fisico ma anche e forse soprattutto un luogo della memoria e del mito, del sogno, a tratti dell'incubo, sempre e comunque un avamposto e un territorio di confine di un'umanità spesso cupa e seria che a bocca chiusa si muove nel vento.
Un libro composito questo di Luigi Cannillo, in grado di unire varie fasi del tempo, suo personale e del mondo, e differenti stati d'animo, osservazioni e spunti per un ragionamento che non è mai sterilmente freddo e anodino ma sempre conscio della fragilità e della forza della componente materica. La ragione si rende corporea e viceversa. Senza pretendere di offrire soluzioni assolute, Cannillo condivide con il lettore, con sincera onestà, momenti di dolore in cui si sperimenta la solitudine di fronte al mistero. Non offre risposte ma trova domande adeguate, quelle che è necessario farci tutti, mentre percorriamo i tratti di strada che ci toccano in sorte con il vento che a tratti ci spinge e a tratti ci sferza: “sono lampi e scatti nel corridoio buio,/ e sulla pelle vetro si alterna/ a velluto, nel vortice che scorre/ sul tappeto o si impenna/ un capitano naviga il destino”.
“Siamo i lembi separati da sempre/ da sempre ricongiunti/ destinati a inseguirci/ e fuggire appena sfiorati”, scrive Cannillo (pag. 33), dando voce a questo alternarsi costante di necessità e fragilità, vicinanza e abbandono. Come in altre opere dell'autore è il corpo il termine di paragone, la bussola e la tempesta che scombina le carte, smarrisce e fa smarrire. Ma il corpo è anche parola, o meglio la misura della corporeità può trovare un riferimento concreto e ideale nella parola che lo descrive e lo orienta allo stesso tempo. Il corpo è senso, inteso come immediatezza della percezione e dell'istinto, che tuttavia è lanciato verso la ricerca di un senso da intendere come significato, fosse pure la logica dell'illogico. Del resto la vita nasce con la sicurezza amara e spiazzante della morte già insita in sé, nel suo patrimonio genetico. Tra questi estremi si deve muovere il pensiero cercando di esistere e di resistere.
“Chi scuote questa galleria del vento/ dove oscillano fiori e fondamenta/ e palpitanti ci animiamo?” (pag. 11). Esordisce così, il libro. I primi versi racchiudono, come è giusto e coerente, una domanda, destinata a non avere una risposta o ad averne di infinite, una per ciascun destino individuale. In entrambi i casi, nessuna certezza assoluta, ma è questo il senso, il succo, la sostanza del vento, per così dire. Cannillo in questo suo libro alterna spunti filosofici con descrizioni di azioni e oggetti concreti, quotidiani. I due elementi messi in parallelo si rafforzano a vicenda: la filosofia diventa più umana, densa di sostanza concreta; agli oggetti e agli eventi viene conferita o meglio restituita quella “sacralità laica” che è propria di ciò che è intimamente connesso alla fatica e all'arte del vivere giorno dopo giorno. Nella prima epigrafe del libro (pag. 13), del resto, Roland Barthes, sintetizza, seppure su basi differenti, facendo riferimento al lutto legato alla perdita della madre, l'essenza e la necessità di “mantenere il suo ordine domestico, quell'alleanza tra etica ed estetica che era la sua incomparabile maniera di essere, di affrontare la vita quotidiana”.
Il senso si lega al suono tramite un tessuto di assonanze non artificiose, quasi a tentare di dare alla mancanza, al lutto e al vuoto, almeno il beneficio del suono, della musica naturale. “Così che il tempo che si seguiva innocuo/ accelera e sorpassa verso il vuoto” (pag.15), scrive Cannillo nella lirica che apre la Sezione “L'ordine della madre”. Sembra quasi di poter percepire il sibilare di quel sorpasso progressivo e brusco allo stesso tempo, un ossimoro percepito con dolore solo quando è troppo tardi per opporvisi, ammesso che sia stato possibile farlo, in qualche momento.
Le parti descrittive affiancano quelle meditative, come, ad esempio, nella lirica di pagina ventisei, in cui partendo da un giardino e da una fontana l'autore giunge a ragionare sulla “natura [che] si prodiga/ anche verso i morti”. La volontà si innesta sul progetto di mantenere un contatto che non sia solo mentale, ma che affondi le radici negli elementi di base dell'esistenza, terra, acqua, aria. Quegli stessi che alimentano e sostengono il corpo, ancora una volta asse portante della poetica di Cannillo. Partendo da questa base, si può tentare un salto verso il più scosceso dei dirupi, il futuro, il futuro con il fardello delle assenze. Nella lirica successiva, quella di pagina ventisette, compaiono verbi che accennano ad un potenziale domani, anche se restano, ineluttabili, le parole della madre, sia la voce che lo scritto, unite nelle lettere che sembrano ancora parlare con “la loro voce ferma”.
Nella Sezione dedicata ai dodici segno zodiacali, si correlano gli elementi distintivi di ogni segno con le caratteristiche proprie di alcuni tipi umani. Viene posta in connessione l'osservazione del comportamento con la somma delle azioni, creando un legame il cui scopo sembra quello di ragionare ancora una volta, con un tono più lieve, su considerazioni di carattere generale e sugli orientamenti dei destini.
La Sezione successiva è quella a cui si è fatto varie volte riferimento: “Il rovescio del corpo” (pag. 43). La corporeità, dunque, ma percepita tramite approcci e punti di vista altri, alternativi, per vie tortuose che tuttavia conducono a tratti a visioni di ampio respiro. L'epigrafe della Sezione è tratta da Nietzsche e pone fianco a fianco il corpo con la ragione, come poli contrapposti ma conciliabili. O meglio, coincidenti, nell'istante in cui si parla e si evoca la grande ragione del corpo. La civiltà tedesca, rappresentata in questo caso da Nietzsche, è studiata da Cannillo sia per ragioni professionali che per passioni e affinità letterarie. Vi si trova esaltata la coesistenza tra musica e filosofia, razionalità e astrazione, un terreno ideale anche per una poesia che aspiri ad andare oltre l'immanenza per tentare di riflettere su prospettive di ampio respiro. Il progetto è quello di ritrovare una purezza primigenia, anche nell'ambito del pensiero, liberandosi da vane sovrastrutture. Come, per fare uno dei molteplici esempi possibili, nella lirica di pagina cinquantatre: “Nel tuo mondo senza numeri/ ti restituisci agli elementi puri/ Il desiderio ormeggia al confine/ sulla soglia irremovibile del corpo”. Resta tuttavia, come pena ma anche come paradossale ricchezza, la soglia invalicabile dell'imperscrutabile: “Contemplo ad occhi spalancati/ quello che tu vedi ad occhi chiusi”.
L'ultima Sezione “Berliner”, racchiude cartoline di viaggio da Berlino, ritratti e panoramiche attente di una città che non è solo un luogo fisico ma anche e forse soprattutto un luogo della memoria e del mito, del sogno, a tratti dell'incubo, sempre e comunque un avamposto e un territorio di confine di un'umanità spesso cupa e seria che a bocca chiusa si muove nel vento.
Un libro composito questo di Luigi Cannillo, in grado di unire varie fasi del tempo, suo personale e del mondo, e differenti stati d'animo, osservazioni e spunti per un ragionamento che non è mai sterilmente freddo e anodino ma sempre conscio della fragilità e della forza della componente materica. La ragione si rende corporea e viceversa. Senza pretendere di offrire soluzioni assolute, Cannillo condivide con il lettore, con sincera onestà, momenti di dolore in cui si sperimenta la solitudine di fronte al mistero. Non offre risposte ma trova domande adeguate, quelle che è necessario farci tutti, mentre percorriamo i tratti di strada che ci toccano in sorte con il vento che a tratti ci spinge e a tratti ci sferza: “sono lampi e scatti nel corridoio buio,/ e sulla pelle vetro si alterna/ a velluto, nel vortice che scorre/ sul tappeto o si impenna/ un capitano naviga il destino”.
Valeria Serofilli
Pisa, 7 Maggio 2015
VALERIA SEROFILLI
uLISSE
racconti
Le zaqare
Prefazione
Un caleidoscopio di immagini in grado
di mette- re in contatto presente, passato
e ipotesi di futuro. Racconti che non temono di navigare verso e ol- tre
le Colonne d’Ercole della fantasia
senza però mai scordare la terra
ferma dei ricordi e dell’os-
servazione diretta e concreta della realtà.
Tramite un linguaggio
stringato ma mai ignaro della forza
dell’armonia e della
lirica, fonte primaria
e punto di partenza sia della
produzione letteraria dell’Au- trice che della sua ispirazione.
I racconti
sono preceduti da citazioni che orien- tano la ricezione, o meglio,
fanno presagire conte- nuti e impressioni,
incontri e sensazioni, contesti da scoprire passo dopo passo.
Il
ragionamento sul tempo
e sul destino,
sul- la ragione di ciò che è di per sé, per sua natura
intrinseca, irrazionale e imprevedibile, non può avere basi di appoggio certe, se non nella certez- za effimera e vitale di una scommessa: quella del viaggio intorno al mondo immaginato e descritto
da Jules
Verne, oppure quello di Ulisse, ancora lui,
figura imprescindibile, il cui percorso dura
anni
ed è preceduto da immense attese e seguito da lidi sconfinati di rimembranze, rimpianti e volontà di partire
di nuovo, nonostante tutto. Ma
l’interpreta- zione soggettiva e l’accorato auspicio dell’Autrice
la conducono a dare vita ad un Ulisse atipico, lon- tano
dall’immagine consolidata e prevalente, spin- to dalla volontà di un ritorno
definitivo in quanto appagato dall’amore finalmente
raggiunto, privo quindi di ulteriori pulsioni
di fuga.
I
riferimenti autobiografici,
caratteristica pro- pria della Serofilli,
sia in ambito narrativo che nel-
la sua scrittura poetica, compensano
in parte la componente fluida del moto mentale e narrativo. Senza tuttavia fare evaporare del tutto
quel senso di mistero che
si cela a volte, in modo preponde- rante, proprio dietro e dentro gli atti e gli ogget-
ti in apparenza più quotidiani e prevedibili, come ad esempio nel racconto “Qui c’è il sole” dedicato
alla madre e al suo mondo circoscritto nell’ambi- to delle mura
di una casa, che, in virtù del potere immenso della fantasia e del ricordo, risulta in ul- tima istanza assolutamente libero, privo di barriere e autenticamente poetico. Questo racconto sembra esulare
dai temi prevalenti
del viaggio, ma, per la sua natura ossimorica, in realtà
risulta del tut- to consono ed anzi in grado di illustrare ulterior- mente,
per analogia e contrasto, i simboli e i con- tenuti di maggior rilievo e presa emotiva.
Del tutto esplicite in uno dei racconti
da cui non a caso la raccolta prende il titolo, le tematiche del viaggio
e della ricerca del sé si ritrovano nelle varie storie
in forme diverse ma in ogni caso similari e cariche di risvolti simbolici e allegorici a seconda delle si- tuazioni, dei protagonisti e degli intrecci. Anche il testo “Sirena”, il cui titolo stesso rientra nel cam- po semantico del mare, è unito agli altri
racconti dal sottile
fil rouge del potenziamento delle normali
capacità percettive condotte al di là delle comuni caratteristiche
e capacità umane. In questo conte-
sto il titolo di un altro dei racconti, “Un viaggio dentro”, assume una valenza
altamente simbolica al punto
da poter essere considerato alla stregua di un potenziale
titolo alternativo per l’intero
volume. Il viaggio della Serofilli,
per scelta dell’Autrice, su-
pera con levità le barriere del
tempo e dello spa- zio, consentendo in tal modo anche l’inserimento
di racconti di tono quasi fiabesco
come Natale da Gatti, dalla raccolta
Comete per la coda, per adul- ti che si sentono
ancora bambini.
La narrazione della Serofilli in questo suo libro
costituisce quindi un’esplorazione di ciò che è per- cepibile e, in modo ugualmente presente e urgente, di ciò che
non si riesce a visualizzare, quello che
resta al di là delle facoltà umane. Ciò che
assilla e impaurisce ma al contempo attrae, quell’onda che cela l’orizzonte ma verso
cui si dirige la prua, con una sorriso
folle ma irrinunciabile.
Alcuni racconti sono di impronta
più “lirica”, vele aperte ad un vento
malinconico ma lieve. Al-
tri sono tenacemente improntati alla
ricerca di una logica ferrea
che sfugge, si eclissa o si sposta di qualche grado, in modo
costante e beffardo. Una sconfitta accettata in partenza,
quella della naviga- zione cieca, quindi, a suo modo,
una sorta di pa- radossale vittoria. “Perché il bello consiste nell’es-
sere di ritorno da ogni dove senza
essere andati da nessuna parte se non dentro se stessi e il proprio animo”, scrive la Serofilli. Il paradosso si fa ossi- moro e viceversa, in un gorgo continuo,
immutabi- le e cangiante, che induce
a smarrire la rotta, op-
pure a ritrovarla, nell’attimo in cui si accetta che
il viaggio non è il punto d’arrivo ma il percorso. Nei racconti
di questo libro la memoria si unisce
alla riflessione sul presente
e sul futuro, su timori
e aspirazioni dalla cui coesistenza
emerge il senso del viaggio la cui meta è, per la voce narrante e per ogni
viaggiatore di parole e di sogni, un’Itaca da definire e ridefinire gradualmente tramite una narrazione
sempre viva e aperta all’incontro con istanti ed echi della storia, individuale e collettiva. Perché, citando l’epigrafe del racconto
eponimo, possiamo affermare che, nel subconscio, molti pen- sieri hanno “nostalgia di casa”. Un’estensione lo- gico-etimologica del termine
“nostalgia”, che nega
il concetto nell’atto di confermarlo, oppure
il con- trario. Il tutto ulteriormente complicato dal fatto che
il subconscio è un luogo altro della coscienza, quasi un alter ego, una persona estranea che abi-
ta dentro di noi. Sulla base di questi contraddizioni e di questi attriti, fertili, o
almeno in grado di ge- nerare scintille che illuminano per qualche attimo
il panorama, la Serofilli ha messo insieme
tessere narrative che
costituiscono un mosaico interessan-
te,
di impronta personale, una prosa che ammicca
a tratti alla poesia ma senza mai scordare
l’assillo dell’osservare per tentare di comprendere, se non
la verità, qualcosa che, nel bagliore dei mari, tra
la Colchide e le nostre città, tra i secoli passati e le asprezze del presente, le possa somigliare.
ivano Mugnaini
introduzione
Considerazioni
critiche sulla raccolta di racconti
“Ulisse”
di
Valeria Serofilli.
La raccolta
di racconti
intitolata ulisse,
i cui seg- menti
potrebbero essere considerati dei frammenti
in prosa, in molti casi, per la loro brevità, ha per inci-
pit un
breve scritto
dal titolo
eponimo sottotitolato (Il mio Ulisse).
La
prosa di Valeria Serofilli
è intensa, icastica e concentratissima
con accensioni
e spegnimenti e,
at-
traverso la diegesi, ci accorgiamo che l’io narrante
al femminile,
parla di se stesso e del
suo rapporto
di coppia in modo disincantato.
L’autrice narra
una relazione
nella quale ulisse stesso, ed anche Adamo, divengono simboli
dell’ama- to, al quale Valeria si rivolge con passionalità, affer- mando
di essere
presa e lasciata da lui come
un’onda che sbatte sullo scafo.
L’epica omerica
di Ulisse si fa tout-court epica del quotidiano
nel nostro postmoderno occidentale, in un
gioco originale e sapiente
di specchi...
I
toni sono a volte sensuali,
come quando la donna parla
dell’odore dell’uomo della sua vita e ci s’im- merge
proprio nella quotidianità, nel momento
in cui
una telefonata
apre un mondo nuovo e si
esce dalla metafora della navigazione, filo rosso del racconto,
che
è sottesa alla
tematica del viaggio.
Saliente il passaggio iniziale
del testo
in cui
l’io narrante afferma che gli chiedono
di scrivere e
af-
ferma che la sua situazione sentimentale blocca i suoi
sensi e la sua mente e che
si trova
a ragionare con la parte
debole della testa,
che si chiama cuore.
Da quanto suddetto si
deduce che l’io narrante è una scrittrice e ciò potenzia
il fascino della
narrazio- ne con il meccanismo
sempre efficace della scrittura nella scrittura
stessa.
Tema ricorrente
nei testi
è il mare e il frammento Pagina mare (figlio dell’onda) ha un afflato vagamen- te filosofico; in esso, affrontando
una tematica molto
interessante, l’autrice afferma
che c’è
stata una rivo- luzione tra uomo e mare: liquidità
e fisicità: due real- tà così diverse,
come possono accordarsi?
Afferma
la poeta che, nonostante
l’apparente di- versità
tra le
due sfere,
si può
trovare
una concilia-
zione tra i due elementi, nel
loro essere entrambi simboli
della vita.
Perché l’uomo è un abisso
e come l’acqua un flui-
re in
continua transizione tra le cose
da compiere
e il già portato a
termine.
In generale
una scrittura avvertita e lucida, che
può
identificarsi con sensazioni e stati d’animo di tutti i
lettori.
Nella prosa dell’autrice si riscontrano leggerez- za, precisione e velocità, per usare termini tratti da
le Lezioni
americane di Italo Calvino, scrittore
citato dalla Serofilli stessa.
È
detto il tema dell’amicizia e centrale
è quello
del
viaggio fondamentale che è quello
in noi stessi.
L’autrice ricorda
una sua
felice esperienza amoro- sa in treno con un suo amato, nel loro abbracciarsi in una scompartimento e il controllore che entra
e li disturba.
La poeta rivive la gioia di quei momenti quan- do
una vita
intera si azzera e si raggiunge
una vaga
estasi.
un esercizio
di conoscenza
sottende questi splen- didi racconti
della Serofilli che tendono il loro arco
con frecce
che mirano
al senso
di una
pedagogia della gioia che si coniuga ad un salutare e salvifi-
co
anelito ad una visione del mondo che si basi su
un elogio
dell’immaturità, intesa in
senso positivo e produttivo. Del
resto l’ulisse omerico è una
figura vincente per la sua
intelligenza e la sua
forza e che supera molte prove e non
è un caso che l’autrice, tra tanti eroi epici,
abbia scelto lui come del
resto ha fatto anche
Luigi Malerba nel suo romanza
Itaca per sempre, nel quale
un ruolo
fondamentale ha proprio Penelope.
raffaele Piazza
Agli uomini della mia vita
Felice come Ulisse chi ha varcato i mari, o chi fino alla Colchide si è spinto,
Giasone, che
poi tornando esperto e ricco di ragione
il tempo che gli resta si gode fra i suoi cari!
J.
du Bellay, Les regrets
ulisse
(Il mio Ulisse)
“Felice come Ulisse chi ha varcato i mari, o chi fino
alla Colchide si è spinto, Giasone, che poi tornando esperto e ricco di ragione
il
tempo che gli resta si gode fra i suoi cari!”
J.
du Bellay, Les regrets
Fuori piove. Ma io a combattere la mia tempe- sta privata, il mio uragano
personale con te,che mi prendi e mi lasci come l’onda che sbatte sullo sca- fo. ulisse sirena,
naufragio d’anime. O Adamo
e la sua donna, dai tempi.
Mi chiedono di scrivere, ma questa delusione blocca i miei
sensi e la mente, mentre mi trovo a ragionare con la parte debole della
testa, che viene chiamata cuore, con la viva
convinzione che se tutti cominciassimo
a pensare e decidere col cuore, l’in- tero universo ne trarrebbe giovamento.
Poi un lampo, uno squarcio di luce, un cambio di
rotta: una telefonata ad aprire un nuovo mondo.
E torni da me, ed io a riprenderti ancora, perché anch’io ho tanto da farmi perdonare.
Anche se mai quanto te. È che l’amore
lo riconosci dall’odore e tu hai l’odore
dell’uomo della mia vita, un po’
macchiato d’inchiostro e penna.
Quest’ultimo periodo abbiamo avuto grossi pro- blemi, è vero,
così accettando ogni compromesso che possa portare un qualche vantaggio, tra il vis- suto e l’immaginato io in cucina a comporre
inuti- li poesie e racconti pseudo calviniani, e tu romanzi nella camera da letto.
E a sprazzi riemerge
la nostra storia, mentre sempre più labili i confini tra dentro e fuori, co-
scienza frammentaria di una unione. Ed è ancora poesia.
Ora e da ora, con te, sarà un nuovo viaggio. Ri-
prende il volo d’Icaro, ma con ali
che non siano di cera, che non si sciolgano
al fuoco di nuove pas- sioni: basi
più solide per nuove fondamenta. Così
ti dico – Buon viaggio, mio ulisse –.
Con l’augurio, più che altro
a me stessa, che tu sia un ulisse omerico, che torna a casa dopo il var- co delle colonne
d’Ercole, e non dantesco, a per-
dersi nell’illimitato.
Pagina
Mare
(Figlio dell’onda)
Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose … ci si può spingere
a cercare quel che c’è sotto.
Ma
la superficie delle cose è inesauribile.
italo Calvino,
Palomar
“Vi sono state due rivoluzioni, una tra l’uomo e
la terra e una tra la terra e il mare”, era solito spie- gare il mio professore di geografia nel corso del- le lezioni universitarie. Per la
proprietà transitiva, aggiungo, ve n’è stata dunque una tra l’uomo e il
mare. Liquidità e fisicità, due realtà così diverse, come possono del resto andare
d’accordo? Forse solo in virtù del fatto di essere entrambi,
uomo e mare, simboli della dinamica
della vita e della cre- azione in senso più ampio.
Ma cos’è mai l’uomo? Non è forse
un abisso, non è forse, come l’acqua, un fluire
continuo in continua transizione tra
le cose da compiere e il già portato a termine?
Posso provare a dire, semmai,
cosa non è: non
è certo un essere puramente fisico, come sostiene
l’Holbach.
Se infatti le ossa si ricollegano
alla ter- ra, il suo sangue non
richiama forse l’acqua, tanto che la medicina cinese nella teoria dei quattro
mari cosmici stabilisce una stretta connessione tra il cor- po umano e il cosmo in cui la testa è il
cielo, gli occhi il sole, il sangue la pioggia e gli umori e le vene i fiumi?
È forse in quest’ottica che il Martin Eden di London si
getta nell’acqua restandone per sempre inglobato, diventando, da buon marinaio aspirante scrittore, un tutt’uno
con la pagina mare, inchiostro di vita per sempre impresso sul foglio in cui,
pro- fumi, colori, suoni, ricordi, aspirazioni e desideri si corrispondono in un infinita
sinestesia.
Perché, facendo
mio il pensiero di Calvino,” solo
dopo aver conosciuto la superficie delle cose… ci si può spingere a cercare quel che c’è
sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile”.
valeria serofilli
vesTali
poesie
Plumbaqo
Prefazione
Una raccolta elegante
che ha la pretesa di significa- re e interpretare l’Amore come mero fulcro dell’anima, l’unico sentimento che ci può restituire tutto, o almeno in parte, quel grande bisogno interiore
di
sentirsi dop-
pio, con l’altra metà del cielo.
La poetessa Valeria Serofilli sembra approfittare di una vacanza in Grecia per sfoderare tutta la sua potenza immaginifica, il suo sirtaki,
la sua voglia di donarsi al
caldo grecale dell’isola incantevole, esorcizzando
l’apo- teosi dei sensi, alla dolce e stringente realtà di un idillia-
co
sentimento che la prende fino in fondo all’anima.
La raffigurazione poetica
è di grande
impatto, i sensi
sono allertati e desiderosi di una danza duale, di un in-
contro alla luce abbagliante, ai venti prorompenti dentro un’atmosfera che sembra rubarle
emozioni forti, carichi
di
quell’ardore che le fa dire:
“Tutti
gli incensi/ dall’ambra al muschio selvatico
non
valgono una stilla / del profumo della tua pelle
dopo l’amore
mentre
intesso tasselli musivi sul tuo corpo:
ogni
tassello un ricordo/.../ “
Così come una nuova Vestale, la Serofilli ama avvol-
gersi in pepli di nostalgia e di abbandoni, utilizzando schemi fonetici
e simbolici di grande impatto
emotivo:
“Quale
più annichilente vertigine a stordirmi e rinsavire?”
Per poi ancora ritornare
alla memoria, al richiamo dolcissimo e
suadente di una magia amorosa:
all’amore, al
fuoco di passione
non
chiedo verità
tra
il limite del sogno e recriminazione...
in altri versi la poetessa raggiunge l’acme dei sensi in un trascorrimento emozionale che entra
di prepotenza nelle sue viscere, nel suo sangue:
sul tuo corpo tracce
del
nostro amplesso/ miste ad altri odori
di
cui non mi spiego il senso...
Sono un oggetto del desiderio, una passione
inestin- guibile quelli che paiono attraversare le figure retori-
che di queste composizioni liriche, per attestarsi a pura
e semplice personificazione
dell’oggetto amoroso. Una
forte vibrazione che risveglia l’anima
dal torpore, facen-
dole gustare il miele della frenesia,
in moti d’anima
per- cettibili:
vendemmia di
pelle/ occhi negli occhi.
se è tutto inganno
inganno
sia perché è questo
il
più dolce annegamento.
E continua
la sua folle odissea, come Penelope tesse
la sua tela, invano, ella si fa magma e fuoco,
nelle vene,
scorre quel fluido che non dà requie, che mostra la sua
emozione
in continui assalti e saltuarie
epifanie:
All’amore, al
fuoco di passione
non
chiedo verità
tra il limite del sogno e recriminazione.
e
trascrive parole di fuoco alla sua pagina appassio-
nata e vibratile, presta
l’orecchio alle sibille, come sire-
ne
che incantarono Ulisse, ella si appropria dell’imma-
gine letteraria per sovvertire il suo irrazionale
afflato cosmico che entra prepotente nel suo rapporto
amorevo- le; lo tramuta spesso in vortice, in abisso, in foresta,
in fiore, in albero, lo nutre dell’humus del sogno, in deside-
rio, in carne che fanno la differenza, mentre si scioglie in lei, la fatica dell’amplesso, che malgrado conceda paradisi inimmaginabili, crea anche abissi
di perdizione
senza scampo:
E
la sete, la pazzia/
la cieca corsa verso il mare aper- to smarrendo il mio sguardo/ oltre la soglia dell’amore.
La poetessa
sa
che vi è un punto di non ritorno, un
transfert
che ingenera
la
follia di ogni trasformazione, forse di ogni abbandono
e non può rassegnarsi,
lo
de- scrive come un indicibile arrendevole volo, qualcosa
che procede a rilento nell’estinguersi, perché ormai è pene-
trato nelle vene e nel sangue, lasciando
spasmi e sof- ferenze, graffi e
contusioni: l’amore dà, l’amore toglie, perciò pronuncia
questi versi
con
pacata rassegnazione,
li
scandisce attraverso
il
singulto, il respiro e il canto; come un sogno che sa trasmettere
realtà inintelligibili,
ella si appresta forse alla fine, forse ad un nuovo addio con evidente
sofferenza:
itaca
per me/ è il tuo risveglio
quella
frazione di luce, sul tuo volto
la
rugiada mattutina, sul tuo petto
il
tubare delle tortore, sul cornicione
per
il buongiorno
mentre
felice dicevo - sono tornate
(le tortore
sono tornate al cornicione
Questa simbiotica fusione si avvicina
ad una sorta di
mito che persegue le coordinate dello slancio amoroso,
ne
marca fortemente i simboli.
Vi è una metaforicità che di frequente si abbandona
all’azzardo e all’inquietudi-
ne
di una forza epifanica di resurrezione. La Serofilli, sa
misurare l’aspirazione
della memoria ad estendersi alla precarietà dello spazio
temporale.
In questa
raccolta l’empatia entra in gioco prepoten-
temente, descrivendo tempi e luoghi, intervalli e soste.
Tutto evoca un vagheggiamento, una visione onirica che si propaga e dà compattezza alla raccolta,
la coagula
dentro un presentire amoroso straordinariamente vivo, eppure fragile.
L’idillio
è palpabile, crea atmosfere e sperdimenti fi-
sici; l’input emotivo vi entra in sintonia, ma cerca anche
una
via di fuga. L’anima tenta l’imperturbabilità ma è suo massimo delirante approdo. Una sorta di prodromo
dileggio verso quei rari momenti di abbandono
è d’ob- bligo, per ritemprare energie, misurare il turbamento.
La
poetessa carica di vitalità
e di intrecci semantici
an- che le più piccole antonomìe con impulsi ed estensioni che ne rafforzano valenza e vitalità, raggiungendo
per così dire la Bellezza della forma, entro la panica esplo-
sione delle sue configurazioni verbali,
che infine ne dan-
no
pienezza di esiti tra i più felici e realizzati.
Milano
6 dicembre 2014
ninnj Di Stefano BuSà
Sezione I
Sirtaki
“Sirtaki”
eccomi vestale/ in estasi di te
al caldo Grecale
mentre danzo sirtaki, e creo
abbracci peplo, in voluttuoso ordito
mentre ti accerchio, circuisco
e tesso/ veli
tolti ad uno ad uno
eccomi vestale/ in estasi di te
al caldo scirocco
mentre danzo sirtaki, e creo
tu
il mio pareo
Ringrazio il caro Nazario per il post unitamente ai critici che si sono occupati delle prefazioni e note ai miei due volumi di prossima uscita con Ibiskos Ulivieri Editrice.Valeria Serofilli
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