venerdì 31 luglio 2015

GIUSY FRISINA "MEDITERRANEO"

Giusy Frisina collaboratrice di Lèucade



Poesia chiara, armonicamente diluita in versi che si fanno concretezza ontologica di un sentire potente e plurimo; di un sentire che trova la sua epigrammatica lucentezza in un mare tanto vasto quanto la sua storia; quella dell’uomo alla ricerca di se stesso, della sua dignità, di un’isola, di una patria, di un mondo che lo completi e che completi la sua irrequietezza di essere umano; il viaggio, quell’odeporico impulso che Ulisse ha provato ed Enea spinti dal misterioso azzardo verso l’ignoto. E quale immagine più netta che l’immenso piano azzurro può simboleggiare lo stato esistenziale di un  essere tutto vòlto alla grandezza, all’apertura, a quegli orizzonti che tanto sanno di naufragio leopardiano; a quei confini che mai potrà raggiungere data la sua pochezza, la insoluzione ai tanti suoi perché. D’altronde l’uomo da sempre ha cercato di scoprire il mistero del suo esistere; è nelle sue corde abbandonarsi al viaggio, al mare, alla scoperta, dacché le sirene, le colonne hanno sempre simboleggiato il sapere e la voglia di andare oltre. Ed è proprio al ritorno, magari, che, ormai ricchi di storie e di vicende, scopriamo la tanto sospirata e indecifrabile verità nelle cose più semplici: Felice come Ulisse chi ha varcato i mari, o chi fino alla Colchide si è spinto, Giasone, che poi tornando esperto e ricco di ragione il tempo che gli resta si gode fra i suoi cari!” (J. Du Bellay, Les regrets). La Poetessa, ispirata dalla superba storia del Mare Nostrum, dalle grandi civiltà che l’hanno percorso, dai mostri sacri che si sono spinti nei suoi misteriosi gorghi, allora affollati di miti, giunge con grande partecipazione emotiva al Mediterraneo di oggi; alle sue acque tormentate da grecali, scirocchi, e libecci a danno di poveri esuli che cercano terre ospitali; un mare che si fa nero, e che inghiotte tanti di coloro che, spinti da necessità umane, vengono sepolti dalle sue acque; quelle che, probabilmente, ancora oggi conterranno nei fondali legni di achei in cerca di siculi riposi. Un mélange di cultura classica appena sfiorata, di attualità, e di tematiche coinvolgenti in  un fluire metrico di urgente schiettezza partecipativa: “Mare nero  comunque nella notte/ Di inauditi pianti e di tempeste/ E irrequieti tam tam/ Su tavole  di navi barcollanti/ Giunte impreviste da sud est/ Con l’osceno Scirocco - O da sud ovest/ Coi più gravi sconforti del Libeccio …/ Mediterraneo amaro/ Non sai più chi sei ?”. E dire quanto il mare sia parte integrante della vita della Frisina è come rimandare il pensiero ad Alfredo Panzini che definì i Poeti (quelli veri, e Frisina lo è) “simili al faro del mare”. Sì, a quel faro che allunga la sua scia fin dove può; ed è lì che la Poetessa sente la necessità di prolungare lo sguardo oltre quel limen, al di là degli orizzonti che demarcano il nostro esistere. Ed è per questo che la poesia si nutre di tutti quei messaggi che caratterizzano la vicenda umana. Anche e soprattutto quella di tutti coloro che cercano, attraverso le insidie dei marosi, una terra su cui far crescere figli liberi, con in mano il bene più prezioso: la dignità di essere umani.   
  
 Nazario Pardini


Mediterraneo

Mare nero? No,  Mediterraneo.
Ovvero più che mai serbatoio
Di memorie e voci inesauribili
Pozzo senza fondo di un antico sogno
Né da Enea mai raggiunto -  né  da  Ulisse.
Mare nero  comunque nella notte
Di inauditi pianti e di tempeste
E irrequieti tam tam
Su tavole  di navi barcollanti
Giunte impreviste da sud est
Con l’osceno Scirocco - O da sud ovest
Coi più gravi sconforti del Libeccio …
Mediterraneo amaro
Non sai più chi sei ?
Un  tragico dio  che invoca compassione
Mentre  pretende solo
Segreta contemplazione?
O solo follia delle ultime ore
Di  spiagge affondate negli occhi
Di chi attende o già parte per l’ignoto destino?
Spiagge vomitate di conchiglie vuote e rifiuti
Prosciugate d’anime e di corpi
Ora fantasmi - alieni lungo  i porti
Improvvisati tra  le macerie e i deserti
Dell’altra sponda.
Di qui campi - senza filo spinato, ma per poco -
Malgrado la storia urli memoria
A chi dimentica più in fretta del suo dio.

                         ***
O stella d’acqua
Trasformata in marea di pesci
E spuma luminosa
Ricordati della tua remota bellezza
E non stancarti di raccontare le tue storie
E degli sguardi persi
Di chi è pur sempre umano!
Non lasciare ai freddi timonieri
Senza  cerimonie (pur sempre umani?)
il  dominio di un mare ch’è di tutti
E di nessuno. Che poi, non siamo noi stessi?
Gli uni e gli altri …
Storditi ed abbagliati
Con  troppo sole negli occhi
Andiamo  sempre senza posa
Per  nuove strade  di sabbia e  dolore
Aspettando di arrivare tutti - liberi finalmente -
Al Mare Nostrum.


3 commenti:

  1. Grazie,Nazario, che come pochi riesci a cogliere il senso più profondo delle mie parole, facendoti generosamente interprete sensibilisimo della mia ricerca poetica. Spero che questo tuo bellissimo commento aiuti a comprendere il senso di una realtà antica e attuale, che tradotta nel testo vorrebbe farsi monito e preghiera insieme...

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  2. Sento di esprimere i miei più sinceri complimenti a Giusy Frisina per questa felicissima ispirazione poetica. Non è la solita, vuota e - vorrei dire - stancante "narrazione" (da telegiornale, per intenderci) di uno dei drammi della cosiddetta civiltà attuale; no - il suo - è un canto che apre nuove interrogazioni e nuove speranze:
    "Non lasciare ai freddi timonieri
    Senza cerimonie (pur sempre umani?)
    il dominio di un mare ch’è di tutti
    E di nessuno. Che poi, non siamo noi stessi?".
    Grazie, dunque, a lei ed a Nazario, che ha colto in questi versi la vera poesia: quella che sempre aspirerà alla dignità dell'essere umano.

    Sandro Angelucci

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  3. Grazie. Professor Angelucci, ricordo che é stato lei il primo a commentarmi su Leucade! Tengo.poi tanto in prticolare ai versi che ha citato! Grazie davvero.

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