mercoledì 8 luglio 2015

SONIA GIOVANNETTI SU "LA TEMPESTA" DI CLAUDIO VICARIO


Sonia Giovannetti collaboratrice di Lèucade

Sonia Giovannetti su "La tempesta" di Claudio Vicario

“Urla il vento” fuori e dentro l’anima del poeta.
Fin dall’esordio, la natura è resa specchio del turbamento interiore di un’anima che patisce lo scatenarsi degli elementi. Sotto il cielo in tempesta, lo spettacolo della furia turbinosa del vento diventa poi via via, agli occhi del poeta, dolente metafora di una “guerra selvaggia / che l’uomo fa all’uomo / quando il sangue brucia / di odio”.
Tutto il poema è così una tormentata meditazione sulla condizione umana, dolorosamente esposta ai colpi di una violenza sopraffattrice di cui essa è, insieme, artefice e vittima. E se incolpevoli, pur nei loro effetti devastanti, possono pensarsi le violenze della natura scossa dagli elementi, esecrabili sono invece quelle prodotte dalle nequizie umane.
 “Non è questa follia? / O la preghiera è finzione / e commedia / è la vita?” si chiede il poeta, contemplando tutte le sfaccettature della propria sofferta solitudine.
Il linguaggio a tratti classico e alcune riflessioni esistenziali sembrano echeggiare tematiche care al Leopardi, mentre il vento “che mugge” ci trasporta nel bosco evocato dal Carducci ne “La notte del sabato santo”

Ma la declinazione di un dolore apparentemente irrimediabile in cui sembra consistere la sostanza di questa poesia si salda, sul finire, con un accorato appello – che sembra aprire alla speranza – alla fratellanza tra gli uomini e alla meditazione sul significato profondo della vita. “Uomini, / aprite il cuore / all’amor dei fratelli; / pensate che breve / è il viaggio terreno / e nulla conta / o poco / l’inutile ricchezza / e il nome / e la pompa esteriore”.


Sonia Giovannetti


La tempesta


Oggi è in tempesta

il cielo:
nel cupo, tumultuoso
grigiore
de le nuvole basse
portate dal vento che mugge,
nascono, come crisantemi,
nell’anima che langue,
tristi pensieri.
Poi, calmo il vento,
larghe gocce di pioggia,
grevi come i ricordi,
piangono di nere stelle
la strada bianca.
Urla il vento
con fragor di tempesta
dopo un breve silenzio,
e le rame degli alberi
scosse,
tentennanti
in un fremito di rabbia e di paura,
urlano,
dalle invisibili gole delle foglie,
roche parole,
incomprensibili insulti,
preghiere,
voci di speranza e d’addio,
lamenti di dolore,
di spasimo,
di follia.
Il vento non perdona;
è come la morte il vento,
che su tutto si stende;
il vento
è come
la guerra selvaggia
che l’uomo fa all’uomo
quando il sangue brucia
di odio,
e gole umane,
gli occhi serrati
dal veleno dell’ira,
cercano sangue umano,
e bramosia di cadaveri
oppone il fratello al fratello.
Come la guerra
è il vento:
forza insaziabile,
inverosimile,
deboli e forti rami
travolge
e i nuovi arboscelli
sbocciati alla vita
uccide,
e l’erbe e i fiori roridi
d’innocenza
e i dolci frutti
dai verecondi seni
d’alberi generosi
germogliati,
e tutta infine la vita
che ferve in ogni atomo.
E chi, chi nell’impetuosa
rabbia del vento
che in moti impazza
di vendetta e di odio
zeffiro dolce
ravvisar potrebbe
che appena sussurrar
tra fronde senti,
timido,
sospiroso in mormorii
di dolci note
tra virgulti nuovi?
E chi nell’uomo che uccide
l’uomo,
e schianta i focolari
e ne disperde (sacrilego)
i nomi,
e al sacrificio delle madri irride
e al sudor delle fronti,
l’uom che s’inchina
alle are sacre
e dice: “Siam tutti
fratelli” e schiude,
d’amore divino fervide,
le labbra
alle dolci preghiere?
Non è questa follia?
O la preghiera è finzione
e commedia
è la vita?
Uomini,
aprite il cuore
all’amor dei fratelli;
pensate che breve
è il viaggio terreno
e nulla conta
o poco
l’inutile ricchezza
e il nome
e la pompa esteriore
a chi andrà spoglio
de le miserie del mondo
a quella soglia.
Pensate
a quanti attendono muti
sotto la terra erbosa,
che di tristi fior
s’infiora
e odora di cipressi…


Inutilità


Inutilmente la sua vita vive,
inutile per sé e per gli altri tutti,
chi di sé lustro in opere non lascia,
chi non affida al tempo ciò che nasce
dalla sua intelligenza, dalla forza,
ché non imprime in ciò che sopravvive
l’impronta del suo spirito, chi pensa
solo al presente, al godimento, ai beni,
all’effimere gioie della droga,
al bere, al fumo, al pasteggiare scelto,
che al corpo pensa e l’anima trascura.
Morto è quest’uomo, morto è con lui tutto,
e il figlio non può dir: “Questo egli fece”,
ma il vuoto immenso trova nel ricordo.
Miglior sorte hanno gli alberi caduti
sotto i colpi di scuri e magli e seghe:
tagliato in lunghe tavole ne è il legno,
che prende varie forme, a più funzioni
destinate dall’uomo, e ognun si serve
per propria utilità di quegli oggetti.

Così se un uomo regalasse gli occhi

a un nato cieco, morirebbe in parte
lasciando di sé il meglio a chi abbisogna
con quella carità che di sé gode,
e in lui egli vedrebbe, anche se morto,
come vivesse ancora in altro corpo,
e il figlio potrà dir: “Quegli è mio padre:
vive, pur morto, e può vedermi ancora”.



Homo homini lupus


Spazio nel mondo non avrà mai Temi

finché coscienza ciascuno non abbia
del suo dovere, fino a che il potente
privilegi otterrà, sprezzo la plebe;

fino a che, superato l’egoismo,
ch’in suo fermo voler ciascun coltiva,
fratelli non sian gli uomini, e su tutti
l’amor non regni e la pace sovrana;

fino a che Carità l’altrui travaglio
non farà suo, finché ciascun mortale
anello non sarà d’una catena
ch’amore leghi e invidia non disgiunga.

Vano sperar! Ché nella tempestosa
scena del mondo, il veleno dell’odio
nel sangue brucia, e sete di vendetta
l’uom contro l’uomo spinge. E nel selvaggio

cozzar d’armi funeste, quasi avversi
sentimenti dell’Essere, l’eterna
lotta dell’uomo all’uomo, ciecamente
cerca indarno nei lutti un lieto fine….



2 commenti:

  1. Mi congratulo con Sonia per l'introduzione a "La tempesta" di Claudio Vicario e con lo stesso autore.
    Trovo interessante la presentazione perché incentrata, si, sul tormento della condizione umana (decisamente presente nel testo) ma, soprattutto, per quanto riguarda il senso catartico da attribuire all'interiorità come antidoto e ridimensionamento-recupero della condizione umana.

    Sandro Angelucci

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  2. Sonia Giovannetti, nota scrittrice e poetessa conclamata, conferma, in questa breve nota introduttiva, le sue qualità di critico letterario ben collaudate. Direi che Claudio Vicario può dirsi fiero di questo scritto. Il suo orizzonte umanistico ben si conforma agli orizzonti esegetici ed alla cura di questa voce emergente nel diorama della giovane letteratura italiana. Lo mostrano, tra l'altro, quei puntuali e scrupolosi riferimenti alla poetica leopardiana e soprattutto carducciana che ci sa regalare. Complimenti vivissimi.
    Franco Campegiani

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