Lino D'amico |
Poesia
di forte intensità umana; di ontologica vicenda esistenziale; qui si va oltre il
terreno, oltre gli spazi ristretti del soggiorno; si volge lo sguardo a pietre
antiche che hanno sepolto memorie, volti, sogni, civiltà: “antiche pietre vegliano/
profughe memorie”; memorie in fuga verso orizzonti indefiniti. Tutto è silenzio.
Il tempo ha chiuso la sua porta a fantasie, sentimenti, voli e svoli. Restano
di un’intera vita delle piccole fiammelle come fuochi fatui; un crepuscolo che tanto
sa di ultimazione, di redde rationem, di sottrazione. Ogni tratto del percorso
si fa simbolo della brevità del giorno, della fugacità dell’ora, dello svanire
del tutto, di una vita di passioni e di memorie. Onirici allunghi; pietre
testimoni di un esistere di amori perduti, gioiose nostalgie, furtive carezze,
perdoni negati, abbracci affettuosi, sprazzi di luce, nuvole al vento, sciami
di aromi, ombre di cieli vuoti. Una sottile melanconia pervade l’intera pièce
dandole compattezza e organicità. Dire che il memoriale e il mistero siano
parte integrante delle vita del poeta è come rimandare il nostro ricordo a “Le
Génie du Christianisme di Francois-René de Chateaubriand” che afferma: “Tutto è
nascosto, tutto è ignoto nell’universo. Lo stesso uomo non è forse uno strano
mistero? Da dove parte il lampo che noi
chiamiamo esistenza e in quale notte si spegne?”. La versificazione scorre con
armonia e varietà metrica affidandosi ad effetti contrattivi ed estensivi per
concretizzare il pathos del poeta; e sono le misure accessorie (in prevalenza
settenari) a rafforzare la funzione sonora e visiva degli endecasillabi; della
loro musicalità in una poesia che dice dell’uomo, della sua storia, del suoi
odeporici intenti, del suo essere tassello di un perpetuo foscoliano
storicismo.
ANTICHE PIETRE
Nell’etereo
e silenzioso oblio,
sudario di riposo
per la quiete dei giusti,
antiche pietre vegliano
profughe memorie.
In quel ricetto, ogni fruscio
è silenzio,
senza spazio, senza tempo,
svapora tra fugaci sensazioni,
antichi ascolti di echi latenti,
chimere di un fugace passato.
Aleggiano impulsi di amori
perduti,
gioiose nostalgie, furtive
carezze,
perdoni negati, abbracci
affettuosi,
sprazzi di luce, nuvole al
vento.
sciami di aromi, ombre di
cieli vuoti.
E nel tenue calar del
crepuscolo,
fioche fiammelle sembrano
danzare,
nel vuoto di mille ombre,
che
dalle antiche pietre,
sussurrano a chi sa ascoltare.
Lino D’Amico
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