Che ne sa un uomo
di ciò che nasce
di ciò che muore
nel ventre ove trova
abbandono?
Che ne sa un uomo
se torci in te il dolore
offrendo in nuovo dono
passate primavere?
Vivi in te, accetta,
fai spazio al tuo sorriso,
-sola -
le rughe del tuo viso (Sola, pg. 120).
Poesia
di una vita, una vita in poesia. Un tomo che ci riporta a memoria i bei libri
che un tempo venivano prodotti da case editrici importanti e che continuiamo a
tenere ben esposti in biblioteca per la loro preziosa veste grafica, dacché la
bellezza di un testo, la copertina, la quarta, l’insieme editoriale insomma, sono determinanti per invogliarci a prendere contatto con le
confessioni poeticamente umane di un’Autrice: sfogliarne le pagine in qua e in
là, trovare forse qualche vicinanza col nostro mondo interiore, soddisfare
curiosità, capirne i primi nessi, la filosofia, sono i primi input che ci
avvicinano alla scrittura. Libro corposo
quindi di ben 448 pagine dal titolo: Alma Borgini: tutte le mie opere a cura di Franco Manescalchi; seguono le varie sezioni
in cui il testo è suddiviso: Poesie –
1993¸Cristalli di memoria – 1994; Una notte e lo specchio – 1999 (in V parti);
Soffiare sulle acque – 2005; Ballata corretta – 2009; La rete di Indra – 2011 (Del paesaggio,
Donna, Dalle montagne al sé, Meditazione, Case, E’ lì, Unione); (Un inedito);
Letture e lettere di alcuni amici. Una raccolta imponente, di generosa e
fattiva valenza, su cui lavorare a livello filologico per tirane fuori momenti,
travagli, impatti, diacroniche evoluzioni di un racconto che la Poetessa ha
vissuto in prima persona relazionandosi con gli entourages o scavando nel
profondo del suo essere donna ed essere mortale, soggetta alle mutazioni
esiziali della sorte:
…
Ora non sento più gli odori
né quei sapori densi.
Ora sento sola la sensazione
sottile – anestetica – della
chemio.
Ma forse tu li senti ancora
mescolati all’odore aspro
della terra fatta tua carne…
(pag. 335).
Mi piace iniziare il mio scritto dalla
riportata prodromica citazione testuale che credo emblematica per chiarire
alcuni punti focali della poetica di Alma: nascita, morte, vita, memoria,
tempo, accettazione, solitudine, passate primavere, amore, fugacità del
presente, incertezze, abbandono.
Scriveva Erich
Fromm: “I sogni sono come un microscopio col quale osserviamo le vicende
nascoste della nostra anima”. E la poetessa: “Cenere di luce rosa/ si disfa su
due linee/ nere di case./ Un chiarore perlaceo accoglie la notte/ e rimango a
fissare/ un’unica luce palpitare/ dal buio, là fuori, libera/ addensando in sé
sogni prigionieri…” (Sogni prigionieri, pg. 105). Un filo di luce come fuga
verso mete liberatorie; verso aspirazioni di libertà, sogni in cui allontanarci
dalle sottrazioni del nostro esistere, o avvicinarci a rivoli di stagioni
perdute. D’altronde i sogni fanno parte della vita, come ne fa parte la morte.
Ed è proprio con quelli che costruiamo alcove
d’incontri, di voci, di amori sfumati, volti, a consolare i silenzi.
Virgilio, nelle Georgiche,
IV, 226-7, afferma: “Nec morti
esse locum, sed viva volare sideris in numerum atque alto succedere caelo”
(“Per la morte non c’è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle
nell’alto cielo”).
Sì, c’è in ognuno di noi il
tentativo di eludere la morsa del tempo; di cercare spazi che azzardino lo
sguardo oltre il breve soggiorno della terrenità,
dacché in noi vive la scintilla dell’oltre, del sempre; il desiderio di vincere
i nostri limiti: una vela che gonfia di
vento ci porti verso felicità di terra-mare-cielo; verso azzurri incontaminati
dal male di esistere “… Forse felicità sarebbe/ la mente immota nella spuma
incontro/ terra-mare-cielo/ nuda aderendo al fondo della barca/ col vento nella
vela” (Forse felicità, pg. 101). Ma è la coscienza della nostra miopia; del
nostro essere terreni che ci riporta a terra a soffrire della nostra
insufficienza; d’altronde l’uomo si è sempre sentito a disagio di fronte
all’idea di Thanatos, e dell’eterno: De
Chirico “… Il mistero del sonno e della morte è l’unico tema della grande arte...”.
Il mistero della poesia che ci accoglie e ci tramuta, che ci incontra quando
meno ce lo aspettiamo. Ed è nella sua voce che ritroviamo noi stessi, o quella
parte di noi che è rimasta inespressa; il mistero della vita che gioca con noi
ora illudendoci, ora dandoci speranze, ed ora deludendoci. Forse è col
memoriale che ripeschiamo quella parte del vissuto che è degna di esistere.
Forse è nel memoriale che ritroviamo una verità frutto di una realtà sedimentata
da tempo. Mi diceva il mio vecchio professore che l’unico verso di vincere la
morte è quello di prolungare la vita con le memorie. Ma la vita è fatta di
rinunce, di lontananze, di amori incompiuti: … Ma non è qui il tuo respiro/ né
il flessibile giunco del tuo braccio/ mi sostiene sull’onda/ di questo fiume
solitario/ in cui sprofondo/ avvinta a me stessa (Se tu fossi qui, pg. 119).
Un viaggio nel nulla, un nostos
carico di dubbi e di incertezze; chi lo raffigura in una barca, chi in un
fiume, chi in un autunno decadente e arrugginito, chi in un fondo di burrone
senza fine; e la voce del viaggio misterioso e incognito è viva in questa
storia: “Questo viaggio che mi coglierà/ acquattata/ quando cadrà in me/ il
buio/ della anestesia/ e insinuante si diffonderà la flebo nelle vene -/ questo
viaggio nel nulla/ da cui tante volte mi sono risvegliata/ al lancinante amore
della vita -/ come nel mio ma senza primavere…” (Pg. 254).
Blaise Pascal scrive nei Pensées: “Tra
noi e l'inferno o il cielo c'è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più
fragile del mondo”. Sono proprio questi gli input emotivi che condiscono le meditazioni di
un’artista a tutto tondo; che trovano in una versificazione ora essenziale,
contrattiva; ora estensiva, narrativa, la trama di una storia. Ed è la
compattezza fra dire e sentire che salta agli occhi; che convince per sincronia
e sinestetici giochi di plurale entità, involucri di un’anima tutta volta a
dire di sé, del suo vissuto, in un raffronto
tra precarietà e senso d’eternità da cui l’uomo è oppresso cosciente della sua impotenza
di fronte al tutto. Ma sempre si parte da dati di fatto, da concreti
accadimenti, approdando ad un realismo lirico di euritmica musicalità. E anche
se spesso una sotterranea malinconia pervade lo scorrere del testo; anche se
una visione dell’esistere tocca punte di amara vicissitudine; al fin fine è
l’amore per la vita; l’attaccamento al sacrosanto suo patrimonio; la coscienza
del fatto di esistere hic et nunc che dominano; un amore che fa da filo conduttore,
da intima intrusione nell’intera opera:
… Questa volta voglio sia
il sogno
di tutti i miei viaggi.
I frammenti vissuti solo
dai miei occhi
nel
mio viaggio strano in piaga ignota
li aliterò
non
anestetico ma vita
che
arriverà nella memoria antica
musica
che si estingue – onda sommessa – sussurro di vento (pag. 234).
Nazario Pardini
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