giovedì 1 settembre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "BAMBINI" DI ANNA VINCITORIO



Anna Vincitorio: Bambini. Blu di Prussia Editrice.
 Monte Castello di Vibio (PG). 2016. Pg. 40. Euro 8,00



Una plaquette intensa, emotivamente umana, umanamente disumana, che, con versi brevi, secchi, apodittici, e di urgente concretizzazione ontologica, cerca di agguantare tutto il disagio di una scrittrice sensibile e inquieta davanti a: “Piccole schiere/ presto ombre di fanciulli alteri/ nudi d’inerme giovinezza”. Sì, sono proprio i bambini che attraggono lo sguardo sconcertato e  addolorato della Vincitorio. Ma non quelli che giocano allegri e spensierati su prati verdi, su spiagge profumate di salmastri,  al sole ridente sui loro capelli, o rassicurati dallo sguardo delle madri. No! Questi fanciulli giocano alla guerra; la giovinezza è stata loro strappata; rubata senza pietà alle loro braccia, gambe, mani, ai loro cuori; le loro altalene o le loro fionde sono state sostituite da fucili di morte e di sangue. Magari storditi da droghe vanno spavaldi in prima linea incoscienti e ignari di quello che sono e non sono: “Ignare le rane/ sopra ninfee giganti/ ti osservano: soldato/ non ancora soldato/ ma con negli occhi/ viva fame di guerra,/ forse anche di gloria…” (ibidem). I versi vanno svelti; devono correre per star dietro a sentimenti che fluttuano a cascata; persino la punteggiatura non rispetta la canonica grammatica; è d’intralcio per un cuore che palpita, che scalpita; per un cuore tutto vòlto a gridare al mondo nefandezze esiziali; per confessare agli uomini tutto il suo rammarico. Si tratta di bambini, spighe di grano non ancora imbiondate dei refoli degli anni; su costoro il tema si fa contagiante, straziante. Non si può scherzare su tanta indifferenza, su tanta disumanità. Ed è così che la poetessa ricorre a stratagemmi di alta valenza figurata; di palpabile significanza cromatica; di forte impatto significante ed epigrammatico: panici ausili,  folgorazioni,  potente creatività per rendere le scene più visive e scottanti: “Betulle dalle foglie ovate,/ lisce, verde traslucido/ nella campagna coltivata a grano/ Ancora  non maturo il tempo/ per la sua chioma d’oro/…/ Nelle tue mani/ la mortale stretta/del kalashnikov/ Dove la tua innocenza…” (Bambino in guerra). Un tessuto narrativo che sgorga fluente e sonoro da un animo, addolorato e pietoso, verso primavere senza speranza: “Tu, primavera/ non porti con te/ la speranza/ Quello che resta/ è luccicore d’armi…” (ibidem). Un poetare dove una sola parola, scelta con acume e “onestà” sabiana, è sufficiente a se stessa per un verso; dove la penna va da sola verso Bambini invisibili, sofferenti Afriche, carestie di Niger, Mali, Mauritania; e dove interrogativi inquietanti ci lasciano di stucco: “quando, gli aiuti umanitari/ raggiungeranno le sofferte grida?” (Bambini invisibili). Ma l’indifferenza copre spesso immagini che farebbero tremare il mondo. Sì, è sufficiente un telecomando: si cambia canale, o si spegne il video, e il gioco è fatto! Si torna ai nostri solipsismi, ai nostri ego infradiciati dalla vita moderna fatta di consumo e occhi spenti: “Siamo sordi alle immagini/ non emettono suoni e/ invocazioni d’aiuto/ Basta interrompere il video/  e spegnere la luce/ Tutto torna eguale” ( ibidem). E sono proprio quegli interrogativi iterati che colpiscono, come frecce appuntite, tutti noi umani disposti ad essere bravi a chiacchiere, a spavalderie, ma distanti quando l’umanità ci chiede di  esserci: “Cosa porti negli occhi, bambino?/ Cosa porti sul cuore?/…/ Ci sarà un domani,/ un ritorno?” (Bambini  abbandonati). Immagini di calda stagionatura:  fresche azzurrità; quiete silente; frinire di cicale; stoppie e giochi di luce; sì, tutto un ben d’Iddio che dovrebbe fare da contorno a grida e guizzi gioiosi di bambini innocenti; ma qui si tratta di un ossimorico gioco piuttosto triste e desolante: “Per queste ali d’angelo recise/ non basterebbe il mare/ Solo pietà rimane/ alle sue sponde” (Cronaca); un deprimente gioco che chiama tutti noi mortali a una prece; a una meditazione; a un impegno attivo, costruttivo; un parenetico invito alto e sublime a ché l’uomo torni alla terra, ai suoi drammi, dopo le sue tante avventure spaziali: “E’ inutile per l’uomo conquistare la luna, se poi finisce per perdere la terra”. (FranÇois Mauriac)
                  
Nazario Pardini




1 commento:

  1. Bambini, di Anna Vincitorio

    La fanciullezza è sparita, o sta sparendo, nella civiltà che abbiamo creato, sempre più fagocitata dalla lucida follia della dea Ragione. Tanti sarebbero i fatti di cronaca che spingerebbero ad avallare l'assunto. Anna Vincitorio, nel testo-denuncia di cui qui parla Nazario Pardini, evidenzia la triste realtà dei bambini-soldato. Bimbi che non più giocano alla guerra, come quelli di un tempo (e come noi stessi abbiamo fatto prima di diventare adulti e di raggiungere l'età di ragione), ma che sono addestrati per fare la guerra, quella vera, con "fucili di morte e di sangue", così scrive Pardini. O per farsi saltare in aria in mezzo alla gente, come terroristi incalliti. Ho sulla scrivania, da qualche tempo, il testo della Vincitorio e l'occasione mi spinge a riprenderlo tra le mani: "Bambino dov'è il tuo aquilone / il filo rosso / lo ha portato via / tra nuvole ingorde / Tu, senza guardare, avanzi / tu, senza ancora saperlo, / ti prepari a morire, / pallido, acerbo fiore / nel tuo sudario di guerra". Dove è andato a finire il "fanciullino" pascoliano? Dove abbiamo sepolto l'innocenza? Dove la capacità di dialogare con noi stessi, con la sapienza arcana che è in noi dalla nascita e che vorrebbe crescere con noi, impedendo all'adulto di adulterarsi con l'arrivo della dea ragione? E non è da credere che l'innocenza consista nell'assenza di azioni negative. No: innocenza è capacità innata di neutralizzare il negativo con il positivo, e viceversa, come accade in ogni ambito della vita naturale. La civiltà purtroppo smarrisce questa sapienza sostituendola con la conoscenza del bene e del male, con i frutti dell'albero proibito che separa i due inscindibili poli della sfera morale. E fa benissimo Sandro Angelucci a concludere la sua acuta appendice critica al testo, ricordando che "il bene e il male convivono in ciascuno di noi: armonizzarli è il vero problema". Stupendi i versi (suoi) con cui correda questa felice intuizione.
    Franco Campegiani

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