domenica 1 gennaio 2017

MAURIZIO DONTE: "A UGO FOSCOLO"

(A Ugo Foscolo)
Nei sepolcri ormai giace la pietà dell'uomo
23/12/2016
Ugo Foscolo


Maurizio Donte,
collaboratore di Lèucade

Dormono un sonno eterno nella pietra,
coloro che poiché vissero, furono
detti eroi. Altro di meno non chiede
il vivere all'umano: di combattere
sapendo certa l'ultima sconfitta.
Così la vita passa, percorrendo
la tempesta, nel vento teso e forte
che soltanto alla morte ci conduce
tra le difficoltà che reca il giorno.
Sorge d'inverno la luce a fatica,
diradando le tenebre del male,
e va nascendo con lei la speranza
che per qualche ora almeno s'allontani
da me il pensiero del morire. Nuvole
passano basse all'orizzonte, senza
che nessuna di loro si soffermi
per un istante; vanno via, si mutano
di forma, e vanno evolvendosi in altri
sogni, ricordi, rimpianti di qualcosa
che afferri, ma non tieni in nessun modo:
il tempo, fiume rapido e funesto
alla vita, che in lui scorre in tumulto,
scivolando così rapidamente
al mare silenzioso che l'accoglie:
alvëo, disperante e muto, oltre
il quale mai nessuno vede cosa
l'attende, né ritorna mai nemmeno
l'eco della domanda posta al vuoto
che rifrange sui moli flagellati
dal vivere da soli, riversando
domande, destinate a non avere
risposta alcuna, all'infinito cielo
che ci guarda solenne, indifferente
al nostro breve nascere e finire.
Dunque il fragore di guerre volute
per l'illusoria sete di potere,
a che mai serve a voi, nati al morire?
Vanità e peggio, il riempir di dolore
l'altrui vivere, già volto al soffrire
sin dall'istante in cui noi rivolgemmo
gli occhi alla luce e, piangendo, venimmo
al mondo. Pazzi, siete, e criminali,
voi che vi fate scudo di dottrine
insane volte solamente al nulla.
Dite di non temere quanto andate
ricercando con forza, ma esso è là,
vi attende, presto o tardi, nella morte
che tutti ci accomuna: eterna fossa
che azzera i vostri sogni di dominio
sulle genti. Così voi lascerete
al mondo il segno dell'aver distrutto
speranze e vite in boccio; d'aver spento
il sorriso al mattino dei bambini.
Cenere resterà della protervia
con cui cercate di imporre alla terra
un nuovo medioevo. Volge il tempo
ad altro e muove in secoli futuri,
giammai ritorna indietro sui suoi passi,
ma già, non è dei pazzi, il ragionare.
Lacere vele che il furioso vento
dell'indomani spazza: siamo niente
e ci crediamo onnipotenti, eterni
dei capaci di volgere la storia,
piegandola alla nostra volontà.
Rido al pensiero che in pochi anni ancora
di me e di voi non resterà che solo
un ricordo sbiadito, o forse meno,
vivremo giusto nei figli o in qualcuno
che di noi per motivi suoi conservi
in sé memoria. Di voi non avrà
pietà la storia, come non l'avete
avuta voi per gli inermi fanciulli
uccisi, per le donne violentate,
per chi non la pensava come voi.
Siete dei morti, cadaveri in piedi,
servi di chi vi manovra per loschi
fini che nulla hanno a che spartire
con qualche religione. Solo l'odio
vi nutre, e l'ignoranza, siete ciechi
e sordi alla ragione, ma ben peggio
di voi sono coloro che manovrano
le vostre azioni, nelle oscure stanze
dove adorano il dio denaro, il soldo,
strumento di potere nella logica
del male. Iniquità soltanto vedo
in giro nel calare della tenebra
infinita, ed un mare di dolore
che va a coprire ogni vita che nasce
in questi tempi. Cosa lasceremo
ai figli, mi domando, d'un pianeta
sconvolto dalle guerre, violentato
per il lusso di pochi, per il gusto
egoista e perverso di affamare
tanti, lasciando dietro sé il veleno.
Non cerco il vostro applauso, io lo temo,
perché temo che in noi tutto diventi
abitudine; e più nulla mai venga
a disturbare le nostre coscienze
assuefatte da un male pervasivo,
in cui davvero tutto, anche quanto
si va dicendo solo a fin di bene,
venga considerato vanità.
E lo dico ai potenti della terra:
guardate i figli! Vi sia di severo
monito il loro sguardo: sono loro
i primi che v'accusano del male
che voi state facendo al mondo intero.
Che non vi accada di pensar di fare
il loro bene, rendendoli ricchi
e insensibili oltre ogni misura.
Così facendo decretate ora
la loro certa e prossima rovina,
perché i poveri a loro chiederanno
ragione e il conto del tanto patire
nell'ingiustizia evidente, e il perché
ai vostri figli è dato quanto a loro
è stato tolto, senza che ne abbiano
bisogno. Sangue allora scorrerà
in terra come accade ora; purtroppo
la storia non insegna a chi non legge
e non vuole riconoscere il fatto
che l'uomo altro non fa che ripetere
sempre lo stesso errore e nulla vale
a farglielo capire. Volontà
di potenza, dominio sul diverso
da sé, sull'altro, sul debole, oppure
sullo straniero, sulla donna. Dio,
quale disastro si compie nel mondo,
quale rovina! E quali frutti mai
potremo avere da questa voluta
epoca di perversi mali? Lutti
ancora, ed altre rovine, dolori
e sofferenze dentro una spirale
infinita in cui l'odio e la vendetta,
prendono il posto che spetta all'amore,
alla pace, al rispetto che dobbiamo
a tutti gli altri. Dormono gli spiriti
dei grandi nelle tombe e nelle chiese:
ceneri mute. Ormai dimenticate
le loro idee, le gesta compiute
per dare a noi, indegni figli, questa
terra su cui viviamo, liberata
dal dominio straniero. Ancora schiavi
ci siamo resi, servi nuovamente
della disonestà, sia dei politici
che dei banchieri: di coloro i quali
del soldo fanno ragione e misura
d'ogni discorso, ignorando i bisogni
delle persone, di popolazioni
intere; indifferenti totalmente
al grido di chi chiede solo il modo
di guadagnarsi il pane necessario
per la famiglia. Sono ancora i figli
il bene più prezioso? No, purtroppo,
spesso son visti solo come pesi:
degli incidenti di percorso, frutto
di giochi divertenti che ci è lecito
gettar via come spazzatura. Dove
credi di andare, uomo, se sopprimi
te stesso, e il tuo futuro? Non so, questo
è il mondo d'oggi, terra desolata,
dove i pastori camminano avvolti
in vesti lunghe metri, cappe magne
di porpora e di bisso o di preziosa
seta, e dal sommo pulpito ci parlano,
splendenti d'oro e gemme, di quel Dio
venuto al mondo dentro ad una stalla,
per esserci d'esempio e predicare
a tutti amore, pace e fratellanza.
Estremo paradosso, qui si nota,
vedendo accanto a un Papa che si china
con tutta l'umiltà che gli è possibile
sui bisognosi, vivendo lui stesso
modestamente, costoro, che vanno
con le cappe di seta e d'ermellino,
ingioiellati com'erano i satrapi
persiani. Sono questi nostri tempi
confusi, e tristi, e massime pensando
ai preti quando violano bambini,
rovinando così la loro vita
che dicono d'amare. A tal proposito
ricordo cosa ne disse Gesù,
al tempo suo: nel Vangelo vi è scritto
chiaro. Guai a chi dà scandalo ai minori:
meglio per lui se al collo si legasse
la pietra d'un mulino, e con la stessa
poi si gettasse in mare. Pure un segno
di speranza rimane nel vedere
accanto a chi fa il male, chi s'adopera
con tutti i mezzi che sono possibili
per fare il bene. Penso ai missionari,
ed alle suore di madre Teresa,
al Papa stesso, ai tanti sacerdoti
dediti al loro compito che assolvono
nel quotidiano servizio alla gente.
Un compito titanico m'assegno,
con questi versi: d'essere coscienza,
indegna, in quanto anch'io sono fallibile
e soggetto ad errore e correzione.
Eppure una parola, oggi, deve
essere detta in maniera incisiva;
e forse solo un poeta è capace
d'incidere il bubbone velenoso
che va ammorbando il mondo intero. Possa
la mia misera voce, nelle tenebre
suonare forte come una campana,
o risplendere alta come un faro
che illumina la notte. Sono i vati
isole perse tra gli scogli, in mari
tempestosi, incapaci di discernere
la via per indicarla alle persone.
Ed invece d'essere per ognuno
esempio, loro s'attardano in sterili
diatribe, litigando sopra il nulla,
nel vagheggiar per sé la gloria a scapito
dei loro pari. Infinite polemiche
scatenano in concorsi buoni solo
a rimarcare il niente, accapigliandosi
sul come e quando un verso possa essere
migliore, scritto in un modo piuttosto
che nell'altro. Notare questo, poco
mi sorride, segnando ciò il confine
tra la miseria umana e il desolante
nulla [che porta a scrivere talvolta
in modo incomprensibile parole,
messe insieme del tutto a caso, senza
che possano in tal modo far capire
a chi le legge proprio niente].Sono
solo un groviglio inutile di frasi
che nessuno di noi potrà comprendere,
né tanto meno ritenere. Solo
al finire del vivere si vede
dove conduce l'immortalità
che concede il comporre in versi quanto
pensiamo. Sono i sepolcri in cui dormono
i grandi, a dirlo: polvere, null'altro
siamo, presunti vati. Voci perse
nell'abisso profondo della nostra
vanità, volta solo a dire quanto
non serve al mondo e conta ancora meno
del palpitare d'un astro perduto
nella lontana immensità del cosmo.
Corre al di là del bene e d'ogni male
il tempo e tutto si volge all'oblio:
che cosa siamo mai? Povera gente
che si protende al domani, cercando
almeno al nostro vivere un motivo;
un compito che dia ragione, o un minimo
di senso, ai giorni che passano svelti,
senza tornare se non nel ricordo.
Posano le ombre silenziose sopra
il passato nel vano annoverarsi
di anni che vanno via, accumulandosi
nella catasta sempre più pesante
da portare, nel volgere del tempo
verso nuove stagioni. Quindi cosa
resterà di noi, oltre la memoria
delle persone a cui abbiamo dato
la vita? Poco o nulla, sembra certo
in terra: non la gloria, ma l'affetto
resta e domani forse ci sarà
qualcuno che dirà di noi per quanto
avremo fatto di buono. Così
sia, dunque, agiamo in modo da lasciare
qualche motivo che sia per i posteri
d'esempio. Forse potrà non servire
a nulla, o forse sì, non lo sapremo
mai; ma intanto che questa vita volge
al declino e la forza affievolisce,
altro ci chiama al destino reale
che ci attende: non qui, in questo esilio
terribile e meschino della terra
saremo ricordati, ma lassù,
oltre le nubi in cielo, dove il Dio
della misericordia aspetta il nostro
arrivo per donarci veramente
l'Esistere per sempre, così credo.
Scivolerà in silenzio l'ambizione
nel vuoto spazio temporale, e l'onda
del vivere e morire svanirà
dentro l'immensa perfezione in cui
vive Dio nell'eterno Paradiso.
Ma si trascina in noi degli anni il peso
e il dubbio si fa strada nella mente:
rovine sono i nostri giorni, svelti
a scendere nel nulla e l'orizzonte
si chiude all'occhio umano come un velo
che circonda l'intera nostra vita.
Semplice pare ai giovani il mattino,
un tempo che li illumina di gioia,
promessa lieta che non troverà
risposta, ma soltanto eterna pena
che durerà finché sarà domani.


Maurizio Donte

9 commenti:

  1. Siamo al cospetto di un carme che, neppur tanto velatamente, richiama “I Sepolcri “del Foscolo, innanzitutto per l’uguale (credo) numero dei versi, poi per l’alta e risentita moralità che li genera e li governa, infine per suggestioni, atmosfere, echi, accenti tipici del Poeta veneziano. Per essere sincero fino in fondo dirò che, nel corso della lettura, ho colto anche riflessi e influssi leopardiani.
    Rilevo altresì che questo poemetto è permeato d’un forte afflato religioso, che impone al poeta di farsi strumento e cassa di risonanza di un’etica seria, puntuale, necessaria. Tuttavia il rischio che si corre in tale, peraltro nobile, missione è quello di non riuscire qualche volta a dominare l’intensità della passione, sicché il flusso poetico può risultarne intorbidito per accenni enfatici o retorici. Ciò -a mio modesto parere- accade talvolta, in modo peraltro contenuto, anche in questa poesia di Maurizio Donte. Cosa del resto quasi inevitabile, se si considera la lunghezza del poemetto e l’urgenza dei sentimenti che stanno alla base di questo componimento che mostra evidenti aspetti di vera bellezza.
    Pasquale Balestriere

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    1. Ne convengo, professore, e la ringrazio del puntuale rilievo. Si, la mia opera è lunga esattamente quanto i Sepolcri, 295 endecasillabi sciolti, ma come lei giustamente rileva, non è facile in un'opera di tale lunghezza mantenere sempre la necessaria concentrazione e il tono stesso del discorso, senza scadere nella retorica e,aggiungo, nella ridondanza, tant'è che il passo in parentesi quadra andrebbe, credo, eliminato, essendo una ripetizione del concetto successivo. La ringrazio della sua attenzione

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  2. Caro Maurizio, concordo umilmente con il caro Pasquale. La tua Opera,di altissimo spessore, riecheggia sotto molti aspetti quella del Foscolo. Ciò non la priva di un'autentica, profonda, e oserei dire, moderna bellezza, ma le sottrae, forse, originalità.
    Non intendo muoverti critiche. Non ne sarei in grado. Ma esporre, a fior di emozioni, ciò che provo leggendoti. Complimenti e buon anno a te, a Pasquale e al Nostro Nazario.
    Maria Rizzi

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  3. Cara Maria, in primis, che piacere risentirti dopo tanto tempo. Buon anno, spero che le cose vadano bene. Venendo alla poesia, certo, non è originale, per nulla, credo; peraltro alla stessa stregua di altre mie composizioni. In poesia ormai, dopo millenni di composizioni e migliaia e migliaia di autori,
    inventare qualcosa di totalmente nuovo credo sia difficile per chiunque. Se per " originale" vogliamo intendere composizioni in versi liberi, dopo un secolo di poesie scritte in quel modo, anche lì l'originalità è una chimera, almeno credo, a meno d'esser dei geni (e non rientro in questa categoria). Mi premeva dire le cose che ho detto, e mi andava di fare un omaggio a Foscolo, dopo quello a Leopardi; sai bene che sono i miei preferiti. E così ho scelto l'endecasillabo sciolto che, come già teorizzava padre Dante secoli fa, da solo o insieme al settenario, era e, a mio avviso è tuttora, il modo migliore di fare poesia " alta". So bene che molti non la pensano come me, l'ho ben riscontrato in molte occasioni, e me ne son fatto una ragione. Porto pazienza e vado avanti sulla via che ritengo giusta.
    Un caro saluto e grazie per il commento

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  5. Bentornata, cara Maria Rizzi! Buon Anno e tanta serenità e salute.
    Pasquale

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  6. Non entro nel merito della poesia, il prof. Balestriere è stato molto chiaro ed esaustivo nel suo commento. Mi piace solo aggiungere una personale nota di plauso per l'opera di M. Donte, per il piacere che mi dà riscontrare la passione poetica autentica in un giovane che promette di andare molto lontano. Un plauso anche per la
    modestia che è segno di intelligenza ,e soprattutto utilissima a progredire.
    Auguri sinceri e ad maiora.

    Edda Conte.

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