domenica 1 gennaio 2017

N. PARDINI: LETTURA DI "UN'OMBRA NEGLI OCCHI" DI GIANNICOLA CECCAROSSI

Giannicola Ceccarossi: Un’ombra negli occhi. Ibiskos-Ulivieri Editori. Empoli. 2016. Pp. 64. € 12,00

Se ti allontanerai in un giorno senza pioggia
e suoni muoveranno grani di memoria
ascolta la luna che di lontano spegne la paura
e lascia che il melograno indugi sulle nostre ombre.
Allora saremo volti senza  amore
o solo orme sconosciute al vento


Una poesia fresca, duttile, generosa, folta di input memoriali e di accostamenti umani, che, con continui giochi sinestetici, riesce ad abbracciare l’animo, a dargli concretezza, e vivacità eufonica. C’è la vita in questi versi con tutte le sue meditazioni esistenziali: l’amore, le memorie, l’inquietudine, la saudade, l’illusione, la delusione, la terrenità, la spiritualità; ma soprattutto il pensiero del tempo che fugge e che tutto trascina nell’oblio. Fenollosa Ernest Francisco affermava che la poesia è l’arte del tempo. Ed è proprio l’idea del tempo a concretizzarsi in ogni aspetto della natura, e a farsi leitmotiv in questo percorso poetico. La coscienza della precarietà dell’esistere, della futilità dei giorni e delle occasioni, si traduce, in questo spartito, in una sinfonia vicina ad ognuno di noi; in un analitico scavo  personale e oggettivo, dacché ognuno può scoprire in questa filosofia una parte del suo esistere. Ci sono primavere, lontane primavere che tornano, anche se un po’ sfumate, a creare impulsi vitali; ancoraggi ad alcove di edeniche quietudini; ma ci sono anche pallidi autunni che, fragili e mortali di foglie rubino, lasciano sogni in balia dei venti, senza precise destinazioni. E Ceccarossi si chiede se tali stagioni avranno un seguito; se tali preziosi tesori, accumulatisi in anni di esistenza, avranno un destino riconoscibile. Sta qui l’inquietudine del poeta; in una ricerca affannata e di difficile soluzione umana: tante domande che senza risposta determinano un disagio esistenziale che va oltre; oltre il fatto di esistere. D’altronde il poeta cerca di indagare la realtà, i suoi messaggi, le sue manifestazioni, per cercar di scoprire il ruolo della sua vicenda. Allunga lo sguardo oltre il limen che marca il confine dei nostri pensieri ma si accorge anche, e di questo si rammarica, che l’uomo è destinato a vivere in questi spazzi ristretti in un continuo turbamento del qui e dell’ora, del rien e del tout: riflessioni in cui la natura umana si perde come si perde  nella contemplazione del cielo o del mare pur trovando un riposo fra le braccia della fede. Tre le sezioni in cui si divide l’opera (Solo il tempo che non ha croci, A capo chino, Forse ci sarà un altro tempo per vivere), che ha come titolo UN’OMBRA NEGLI OCCHI. Forse un’ombra che sa tanto di vita, di mistero, di ostacolo; un’ombra che, ai piedi delle cose, ci allontana dalla verità con la sua pallida essenza, dacché noi non siamo altro che ombre, riflessi di un tutto che ci sovrasta.  O forse un’immagine che, crogiolatasi nell’anima da anni, si è fatta sfumatura, vago ritorno di tutto ciò che ha segnato il nostro cammino: ieri, oggi e domani che, embricandosi indissolubilmente, danno luogo al senso della poesia; della vita in cui la morte è un breve cammino già disegnato:
La morte è un breve cammino già disegnato
e io guardo con fede a quest’altra vita
Il passato è il mio presente
il mio presente è l’inizio del mio futuro
il futuro è pace e altri echi

Sta proprio qui l’isola felice a cui approda Ceccarossi;  l’unica soluzione ai nostri dubbi; e ci approda con il vento in poppa della fede, l’unico mezzo per oltrepassare la siepe che ci limita in quanto esseri umani ma che ci apre all’azzurro in quanto dotati di anima, di luce, e di palpiti poetici.


Nazario Pardini

2 commenti:

  1. Conosco Ceccarossi da qualche tempo ed ho letto le più recenti prove poetiche di cui mi ha fatto gradito dono. Purtroppo io sono lento nella lettura e chiedo scusa del ritardo con cui finalmente credo di potermi esprimere sulla sua poesia, grato anche agli stimoli illuminanti di una penna come quella del Prof. Pardini. Giustamente costui sostiene che è "l'idea del tempo... a farsi leitmotiv in questo percorso poetico" (parliamo del recentissimo "Un'ombra negli occhi"). "Troverò mai questo luogo di gioia e salici / che mi incantino fino a tacere per sempre?". La domanda è sull'Oltre, sostenuta da un inquieto senso della precarietà e del limite unitamente alla percezione di un viaggio infinito dello spirito umano. L'uomo sosta sulla terra, ma il suo cammino è proiettato verso il cielo, attratto dalla sua primigenia patria cosmica, dal mistero dell'Essere da cui viene. Il verso, generalmente scarno ed intenso in questo poeta, breve ed essenziale - un'architettura matematico-musicale che ricorda le stagioni del Simbolismo e dell'Estetismo, ma anche quelle dell'Ermetismo meditativo ungarettiano - nell'ultima sezione della raccolta ("Forse ci sarà un altro tempo per vivere") si fa ampio e interrogativo, maestoso e fluente, ricco di inquietudini umane. E' un diario interiore, un ritratto dell'anima sospesa tra i rapimenti dell'Oltre e le flessioni esistenziali: in sintesi, l'altalena dello spirito umano. Mi viene alla mente "Birkenau", precedente lavoro di Ceccarossi dove i versi erano un urlo sonoro e prolungato sulle efferatezze di cui si rende artefice la nobile stirpe di Adamo: un singhiozzo, una lacerazione dell'anima di fronte alla follia dell'auto-sterminio umano. Faceva seguito a "Fu il vento a portarti": poesie d'amore, al contrario, lievi e soavi, arabeschi interiori, quasi fiabe surreali. Per non dire di "La memoria è un grano di sale" dove si alzava un inno alla bellezza della vita e del creato (sia pure bellezza fuggevole e precaria). In sintesi, una poesia di conoscenza, un periplo intorno alla natura dell'uomo, un'altalena di negazioni e affermazioni, una navigazione di stupore e di orrore tra le isole dell'umano e del disumano.
    Franco Campegiani

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  2. Sento di poter dire ben poco sulla poetica di Giannicola Ceccarossi, che conosco da tempo, di nome, ma non ho mai avuto l'onore di leggere.Posso dire ben poco dopo due giganti come Nazario e Franco, che presentano la sua Opera con dovizia di particolari e con voce autentica di critici letterari. Ma i versi letti mi hanno fatto pensare a uno spartito steso ad asciugare in attesa che il tempo si mostri indulgente, mitighi la diffidenza dell'Autore, che Franco sottolinea con la consueta sapienza. Uno spartito che rende omaggio all'estetica, al senso puro e incontaminato della Poesia e che induce a tante riflessioni. Mi son chiesta se il Dottor Ceccarossi intendesse chiedersi e chiederci se le cose continuano a esistere fin quando esiste qualcuno che le ricorda o se è utile aggrapparsi al passato, come fosse un tesoro da custodire, 'l'inizio del futuro', invece di setacciarlo per scorgervi gli indizi di delusioni, rimpianti, fallimenti.
    E forse, ho interpretato... come non si dovrebbe fare, soprattutto quando si leggono pochi versi, ma la spinta emotiva ha vinto sulla logica e ne chiedo venia all'Autore e ai due Immensi recensori. Colgo l'occasione per salutarli e augurare a tutti un anno luminoso.
    Maria Rizzi

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