sabato 15 aprile 2017

PASQUALE BALESTRIERE: "LA SCRITTURA POETICA DI G. B. SQUAROTTI"


Giorgio Bàrberi Squarotti


Pasquale Balestriere,
collaboratore di Lèucade



LA SCRITTURA POETICA
DI GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI

Spunti per riflessioni e approfondimenti



La nota che segue si riferisce in particolare ad alcune pubblicazioni in versi di Giorgio Bàrberi Squarotti -che sono Lo scriba delle stagioni (Samperi editore, Castel di Judica, CT, 2008),  Gli affanni, gli agi e la speranza (L’arcolaio, Forlì, 2009), La storia vera (Zanetto Editore, Montichiari, BS, 2006)-  e al volume collettaneo,  a cura di Eugenio Rebecchi, Nei dintorni di Elicona ( Blu di Prussia, Piacenza 2011),  ma anche a tante altre  sue poesie  che qua e là ho avuto occasione di leggere  e apprezzare.
Qui dunque si riflette sul poeta. Senza nulla togliere alla grandezza  dell’esegeta, del saggista e del critico letterario.

Accostarsi a un prodotto artistico, in qualsiasi forma si manifesti (grafica, iconica, fonica, ecc.) è sempre un’avventura da vivere con pienezza di cuore, più ancora se ci si imbatte in testi poetici come quelli di Giorgio Bàrberi Squarotti che hanno la peculiarità  di avvincere solidamente il lettore -su cui l’artifex esercita una soave e tersa sovranità- prendendolo per mano e guidandolo in un percorso di ammaliante bellezza  fino all’ultima pagina del libro. E ciò avviene per l’interazione che immediatamente si stabilisce tra mittente e destinatario, basata sull’aspetto verbale (immediatamente comunicativo e comprensibile sotto il profilo denotativo, come -immagino- doveva essere il linguaggio dantesco per i lettori fiorentini del Trecento) , sulla capacità poetica e sulla dimensione più puramente icastica o rappresentativa: infatti Bàrberi Squarotti non alza  steccati e barriere linguistiche (come spesso in passato è accaduto nel regno delle Muse e come  ancora accade)  ma anzi si produce solitamente in una scrittura di una semplicità e naturalezza disarmanti, democratica mi vien da dire; e la sua forza creativa, rompendo gli argini dell’interiorità, s’ incarna in immagini e figurazioni oggettivamente vive e fascinose.  Perciò il lettore può avere l’impressione di aver capito tutto. E non è quasi mai così,  perché la semplicità è nel lessico e, in parte, nella sintassi (che talvolta pure presenta una certa complessità), non già negli aspetti della costruzione poetica o in quelli figurali e semantico-esegetici. Ciò capita perché il poeta affida - com’è giusto -  alla parola il ruolo si svelamento se non del mistero, almeno di qualche verità o di qualche grazia (  quest’ultima nell’accezione più ampia del termine, ma in particolare come elemento o aspetto della più generale  bellezza, e da percepire, secondo i casi,  come affetto, beatitudine, cortesia, predilezione, armonia, concessione, benedizione, benevolenza, favore, venustà, leggiadria) che dia gioia e luce all’esistenza. Resta che già l’amplissima gamma di significati del termine “grazia”, pietra angolare nella poesia di Bàrberi Squarotti,  ne dice con chiarezza la pregnanza polisemica.
Alla fine conta poco che il lettore comune non colga la bellezza di tale poesia fin nelle pieghe più riposte, bastandogli e avanzandogli una semplice immersione vivificante in questo mare pullulante di fantastica vita.

Il mondo interiore di un poeta è l’humus della poesia, il luogo dove si agitano passioni e pulsioni, dove impattano, più o meno violentemente, le impressioni provenienti dell’esterno, dove lo spirito è chiamato a prendere posizione,  e il poeta, fabbro incandescente, a produrre versi. E Bàrberi Squarotti, produce versi di vita, che cantano la bellezza, la grazia , la giovinezza, la donna, la speranza. Insomma tutto ciò per cui val la pena di venire alla luce.
Il suo mondo interiore è di un’ampiezza  e ricchezza straordinarie, in parte per doti naturali, in parte per assiduità di letture, di esperienze culturali e di confronto con i grandi del passato, richiesta peraltro dalla sua condizione di saggista e di critico letterario ma, ancora di più,  voluta dalla sua inesausta curiosità intellettuale.
E la situazione poetica è questa, che in un sostrato di grande spessore culturale e di acutissima e affinata sensibilità germina e quasi deflagra in versi  ogni aspetto e occasione della vita.
In fervida interpretazione.

Vediamo ora di ricostruire il processo creativo di Bàrberi Squarotti nei suoi vari passaggi. Si parte dall’occasione che sempre siede in un dato reale (un’immagine, un paesaggio, una figura, ecc.), quello che risveglia l’emozione in cui si concentra tutto il mondo esterno e in cui questo, perdendo ogni connotazione di materialità e urgenza, si risolve e si esaurisce; perché impiega poco il poietès a trovare il varco per un’altra dimensione, aprendo e imboccando la porta che lo immette in un’atmosfera sospesa tra l’onirico, il surreale e il visionario, meravigliosamente nuova e viva, seppur rarefatta e luminosa; percorsa da notazioni allusive, allegoriche, metaforiche, analogiche; segnata da provocazioni culturali e morali, da scarti linguistici e semantici.
Tecnicamente, a realizzare questo  passaggio ( se non, addirittura,  fuga dal reale ), basta il cambio repentino di un modo o di un tempo verbale (o una loro alternanza ), di una scena, di una prospettiva.
Nella nuova realtà il poeta è libero e leggero: sprigiona la sua creatività senza ostacoli e limiti,  obbedendo ad una sola regola, quella estetica, e a un solo imperativo, peraltro nobilmente  eudemonistico, quello del dire (anche se talvolta la realtà rappresentata si mostra deformata e paradossale, se non tragicamente ironica o grottesca). In altre parole la poesia di Bàrberi Squarotti  poggia sulla necessità di ricercare e di ri-creare poeticamente la bellezza che diviene terapia del dolore, antidoto ai mali, soccorso alla speranza; pur se, al fondo, non si fatica a trovare la consapevolezza della sofferenza  e della violenza che intridono la vita.
In conclusione il poeta torinese si tira fuori, come il Foscolo delle Grazie, dal quotidiano: con la differenza che, mentre nel secondo si completa un processo di astrazione per cui ogni elemento della sua creazione si compone in un’assorta atmosfera di imperturbabile serenità, di bellezza e di armonia sovrumane, in Bàrberi Squarotti non muore per oblio la coscienza della storia; anzi l’amara coscienza della vacuità della storia è sottesa ad ogni suo momento creativo, spesso condito di salvifica ironia.

La figura femminile sembra incarnare il momento centrale dell’avventura poetica squarottiana. La donna è spesso colta nella sua corporeità giovane e fresca, in lieve e quasi aerea nudità, in innocente sensualità  e talvolta in una quotidianità da cui cerca di svincolarsi;  o nell’atto di evadere (nel senso di uscire quasi  fisicamente) da una rappresentazione iconografica per collocarsi in un’atmosfera surreale: in tutti  i casi la figura femminile, oltre a significare l’ideale della bellezza ( della quale Bàrberi Squarotti è assolutamente  innamorato in tutte le sue forme, naturali e artistiche), si carica di valori simbolici, poiché per la sua stessa gioventù rappresenta la speranza, necessaria alla vita dell’uomo. Non a caso  il termine “speranza” si aggiunge al secondo emistichio dantesco di Purg. XIV, 109 (“le donne e’ cavalier, li affanni e li agi”) a formare il titolo di una raccolta del nostro poeta ( Gli affanni, gli agi, la speranza)  e figura anche in un altro suo titolo  (I doni e la speranza, Roma 2007). E, già che ci siamo, un ulteriore  e quasi identico ammicco dantesco (“fra l’affanno e l’agio”) è ne La declamazione onesta, Rizzoli, Milano 1965 (Le carte imperfette, v. 27, p.27).
L’immagine muliebre, percepita e colta in vari contesti situazionali  (per strada, in treno,  in un prato, in un ufficio postale, in un quadro, nello svolgimento di attività casalinghe, ecc.) serba poi nella sua accentuata carnalità - seni, fianchi, ventre – il presagio della maternità che apre nuove vite e garantisce il futuro. E questo, al di là di ogni piacere estetico.
In ogni modo l’imponente occorrenza della figura femminile contribuisce a creare, in ambito simbolico-concettuale, un sorta di campo semantico che conferisce alla donna una serie di attribuzioni - bellezza, gioventù, speranza, ideale -  tali da farla ritenere  fonte di ispirazione,  primaria e insostituibile, nella poesia di Bàrberi Squarotti.

I testi del poeta torinese sono fruibili  a più livelli di lettura e nel grande mare di questa poesia ognuno naviga secondo le sue possibilità.
Al primo ed elementare livello denotativo ci arriva ogni lettore, che può accontentarsi di immagini immediate, fresche e suadenti. Solo i lettori più colti, sensibili e audaci, capaci di cogliere e  decrittare allusioni e scarti, citazioni e rimandi, trasposizioni e contaminazioni, possono accedere a livelli sempre più elevati di godimento estetico, poiché in questa poesia l’ampia cultura dello studioso si è messa a disposizione del poièin, innervando la potenza creativa, visionaria e “disfrenata” del poeta. L’ultimo aggettivo, che ricorre con una certa frequenza, anche nella sua forma avverbiale, nella silloge Lo scriba delle stagioni e in altre opere, evoca, anche per ragioni semantiche, allusioni surrealistiche.
Una scelta di libertà e di godimento estetico consiglierebbe una lettura senza bussole, rotte o scandagli. Senza prudenze o prevenzioni. Attratti semplicemente dalla promessa di avventura.

La scrittura poetica di Bàrberi Squarotti possiede peculiarità meravigliose e una compattezza poematica oggi molto rara. Tuttavia il poeta corre il rischio, non solo nell’opinione comune ma anche nella valutazione di esperti poco attenti, di essere messo in ombra dal saggista o dal critico letterario. Se ciò accadesse, sarebbe un’autentica ingiustizia, poiché a mio parere nulla il poeta ha da invidiare al critico; e testimonierebbe, quanto meno, la disattenzione degli addetti ai lavori, ossia di coloro che esercitano l’attività critica con l’occhio rivolto anche al presente. Se questi studiosi fossero più “militanti”, non avrebbero difficoltà ad accorgersi della perspicua novità di questa poesia e della straordinaria portata di questo poeta che può diventare un autentico caso letterario. Un po’ come è accaduto per Campana e Rimbaud, poeti che certamente non sono estranei alla sua formazione e alla sua sensibilità.

Concludendo, la poesia di Bàrberi Squarotti danza tra sintomi di carnalità generosamente ma innocentemente impudichi, figurazioni naturali e umane colte nella loro unicità e nel portato allegorico, balzi onirici e visionari, guizzi allusivi e simbolici,  scarti semantici e analogici, ardenti fulgurazioni; penetra nel mito,  percorre la storia, la Bibbia, i grandi poemi antichi e moderni, le letterature, l’arte (pittura in particolare), scardina le categorie spazio-temporali. Con andamento incalzante.
La verità è che al Nostro basta poco per spiegare le ali della poesia: un quadro, un tramonto, una scena, un tremito di vento, una luce improvvisa e particolare. Così sono i veri poeti: sensibilità vibratile ad ogni minima provocazione, cassa di risonanza di ogni fremere di vita. Così è lui che sontuosamente ammannisce poesia, procedendo spesso per accumulazione e rovesciando sul foglio un flusso di coscienza oggettivamente lirico, incarnato in un tessuto linguistico prosodicamente andante, metricamente nuovo e vario, su base endecasillaba.
Nessuno si chieda chi sia “ lo scriba delle stagioni”. È lui, il nostro poeta, il solerte notatore del tempo, anzi dei tempi, della vita, il demiurgo che infonde il suo ànemos  nel mondo che crea.
In fondo Giorgio Bàrberi Squarotti con la sua poesia “di visione” porta al proscenio la vita. La sua,  la nostra.


Pasquale Balestriere


POESIE
di
Giorgio Bàrberi Squarotti


Precipita nera la tempesta

Precipita nera la tempesta
dalle colline, arde il fulmine i fienili,
il fiume scava lungo i peschi in fiore
in questa nostra terra
piccola come una foglia di salice,
in riva al mare oscuro delle viti
senza difesa ora che le case
sono vuote di voci, e inutili si alzano
verso la muta chiesa
brulle mani di vecchi.
(1956)


La pastora

Una pastora giovane: nel prato
scosceso, al centro, con la verga in pugno,
e tutti, in giro, gli animali. 
Pecore, capre, giovenche candide e pezzate?

No: porci e scrofe, ed è ella succinta
per non lordarsi in tanto brago e puzza,
ed è pure costretta a intervenire
spesso fra strilli e grugniti a dividere,
a sospingere via i più riottosi,
a costringerli infine a incolonnarsi
verso la conca d'acqua fonda, buia,
per poi entrare mondi nello stabbio.

  Era la povertà a farle fare
quell'infame lavoro? Carestia
nel suo paese dell'Oriente o guerre
con i guerrieri che, negli armistizi,
con lacci, funi e gabbie vanno in; scuole
o per boschi alla caccia di ragazze
vergini per portarle nei teatri
a farle danzare nude davanti
ai turisti e, poi, quando sono esauste,
frustarle ancora per domarle e in templi
e bar infine consumarle, e questa
fosse qui la meno aspra di speranza?

E se l'unica fosse che volesse
tentare ancora la trasformazione
opposta a quella che la dea o l'angelo
che fu di luce fece, e prima o poi
le bestie immonde uscissero dall'acqua
lentamente assumendo volti,
voci pur rauche e errate, mani tese?

Stava seduta sulla panca, dopo
aver chiuso la porta, stanca. Aveva
accanto pane, un pezzo di formaggio,
un bicchiere di vino. Contemplava
il tramonto scarlatto di framezzo
gli elci, le querce fruttifere, i pini.
Domani si sveglierà presto, e l'alba
pazientemente interrogherà mentre
si verserà la grande tazza colma di latte.

Dalla terrazza


Sulla terrazza, davanti alla luce
del tramonto che lenta si ritira
dall’ormai tenue calore delle case,
c’è un lievissimo vento che sommuove
le foglie dell’acacia e le pagine del libro
dove più non leggerà avanti né stasera
né domani né ormai con altre, a questa età:
guarda il tempo, ora rapido ora quasi
inavvertibile, vede anche la Morte che si prende
la foglia quasi secca nella tenebra
ancora dolcemente mista del rimpianto
del sogno che fu il giorno e, forse, infine,
lo strazio della Storia, se proprio è un grido
strozzato d’animale quello che
trema al margine della vigna e anche
oltre.

Giorgio Bárberi Squarotti, In un altro regno, Genesi, 1990


8 commenti:

  1. Sugli scogli di Lèucade appare, oggi, il saggio critico sulla poesia di Giorio Barberi Squarotti, per la penna di Pasquale Balestriere, ricco di notizie, di note, di avventure viste e quasi rivissute. Si tratta di un lavoro ampio, di grande pregio, a cui Balestriere ci ha abituato da tempo, che aveva già preannunziato e che ho aspetato. E' un affresco su un poeta da molti conosciuto solo come letterato raffinato e studioso della letteratura italiana. Devo dire che nei miei anni di insegnamento ho usato con dovizia i suoi numerosi saggi, per la lucidità delle sue esegesi. Ma si tratta anche di un poeta che esprime, in tutte le sue opere poetiche, una forza creativa ed una potenza compositiva eccezionaali. E Balestriere ne coglie ogni aspetto con precisione e dovizia di riflessioni di note e di rimandi. Si tratta di un lavoro che rappresenta una certezza per capire la vita e l'opera di Giorgio Barberi Squarotti.
    Grazie, Pasquale, per averci fatto dono di questa strenna "pasquale", gradita come poche.

    Umberto Cerio

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  2. Caro Pasquale, grazie del tuo saggio che, come è tua consuetudine, è molto profondo e che, in questo particolare momento, assurge a ricordo di una persona che ci è stata molto cara per i consigli e gli incoraggiamenti che ci ha dato. Tuttavia le liriche scelte, a mio parere, pur essendo molto belle, non rendono quella caratteristica della poetica di Bàrberi che lo contraddistingue da tutti gli altri scrittori: quelle sue donne, cioè, innocentemente impudiche che popolano molti dei suoi testi. Per essere maggiormente esplicativa ne riporto qui di seguito uno tratto da "I doni e la speranza" (Anemone purpurea editrice, 2007)

    LA RAGAZZA E LA PANCA

    Dopo aver innaffiato le scarlatte
    rose, piantate nell'esiguo spazio
    di terra lungo il muro del negozio
    (e, guardando le cupe fiamme e roride,
    pensava sorridendo all'altra immagine
    dei petali di carne), la commessa
    padrona si sedette sulla panca
    nell'ombra ancora del primo mattino,
    quando il culmine del paese e vigne
    d'ardore e azzurra luce appena è acceso:
    di lì non si vedevano né le Alpi
    che dovevano ormai essere grigie
    e celesti senza più il candore
    della neve e del latte delle nuvole
    di primavera, né le linee alte
    di borghi e di boschi e di ritani
    stretti, luminosi di lecci e tufi
    vertiginosi. Libera, poteva
    contemplare se stessa, finalmente
    felice nel lieve lago degli occhi
    chiari, delle mammelle che un po' tremano
    per l'agitato cuore irragionevole,
    della dorata pelle del suo corpo
    che aveva lentamente denudato,
    come se fosse sola nella piazza
    impietrita, oh sogno di Narciso
    che il lavoro dimentica e l'avaro
    tempo che un poco già la turba, e abbassa
    il capo, finge di vedere sotto
    di sé tremula una distesa d'acqua
    oscura, paga ammira la sua doppia
    bellezza senza passione e senz'anima,
    solo disegno, finché dura il giorno.

    Monforte d'Alba, 16 luglio 2003


    Carla Baroni


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  3. Concordo pienamente con Umberto Cerio: un lavoro fine, organico, polivalente che mette bene in luce la versatilità di questo grande scrittore. Complimenti!

    Luisa T.

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  4. Giorgio Barberi Squarotti è giustamente noto come critico letterario fra i maggiori del nostro tempo, grande innovatore della metodologia esegetica secondo un modello polisemico aperto ad ogni indagine e ad ogni indirizzo critico, con assoluta indipendenza di giudizio. Ha dato vita ad una produzione sterminata di libri e saggi critici, ma non meno importante e significativa è la sua produzione poetica, forse ingiustamente oscurata dalla sua fama di critico. Pasquale Balestriere scrive qui una pagina davvero illuminata per ricordarne la figura poetica: visionaria, surreale, capace di giungere, dalla deludente vita d'ogni giorno, ad una rigenerazione mentale che renda presente e palpabile un ideale di bellezza e grazia incorruttibili. Una sorta di "terapia del dolore, antidoto ai mali, soccorso alla speranza".
    Franco Campegiani

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  5. Grazie per questo profilo che ci ha ricondotto, in modo vivo e commovente, alla figura alta, illuminata e profondamente umana del Professor Giorgio Barberi Squarotti
    Valeria Massari

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  6. Carissimi,
    di vero cuore vi ringrazio, perché, con la sola lettura di questo mio breve saggio, avete tributato un omaggio alla grande figura di Giorgio Barberi Squarotti, persona di conclamato valore purtroppo non sempre e non da tutti adeguatamente riconosciuto. Con lui se n'è andato l'ultimo vero gigante della nostra letteratura. Per questo ho voluto che l'eccellente studioso e poeta da poco scomparso continuasse, attraverso le mie povere parole, a vivere in qualche modo nel nostro ricordo e nell'ospitale territorio letterario del blog di Leucade.
    Davvero grazie a voi che, con squisita sensibilità, avete sentito il bisogno di intervenire con una vostra testimonianza. Grazie a Nazario che mai nega spazio ad alcuno.
    Vi stimo
    Pasquale Balestriere

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  7. Con questo saggio Pasquale Balestriere non solo rende un doveroso omaggio a quell'inimitabile Maestro che è stato GBS, ma ci consegna una pagina di critica letteraria assolutamente esemplare, sia per lucidità esegetica che per nitore descrittivo e introspettivo, frutto non solo di una approfondita conoscenza della produzione poetica di Squarotti, ma anche, e soprattutto, di una raffinata e rara capacità interpretativa. La poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti è solo apparentemente piana e chiara, in realtà nascondendo all'occhio del lettore meno avveduto un ordito di finissima, allusiva, visionaria filigrana. Ed è interessante seguire Balestriere nella ricostruzione della genesi della poesia di GBS: “ Si parte dall’occasione che sempre siede in un dato reale (…), quello che risveglia l’emozione in cui si concentra tutto il mondo esterno e in cui questo, perdendo ogni connotazione di materialità e urgenza, si risolve e si esaurisce; perché impiega poco il poietès a trovare il varco per un’altra dimensione, aprendo e imboccando la porta che lo immette in un’atmosfera sospesa tra l’onirico, il surreale e il visionario, meravigliosamente nuova e viva, seppur rarefatta e luminosa”. E, più avanti: “In altre parole la poesia di Bàrberi Squarotti  poggia sulla necessità di ricercare e di ri-creare poeticamente la bellezza che diviene terapia del dolore, antidoto ai mali, soccorso alla speranza; pur se, al fondo, non si fatica a trovare la consapevolezza della sofferenza e della violenza che intridono la vita”. Magistrale chiave di lettura, che felicemente sintetizza l'alfa e l'omega del poièin di Bàrberi Squarotti. Una breve chiosa sull'ultima affermazione di Pasquale Balestriere, ovvero su quella “consapevolezza della sofferenza e della violenza che intridono la vita”. E' proprio questo, infatti, il sentimento che in GBS resta, come sfondo ineliminabile, a marcare la sua poesia. A conferma di ciò, e proprio riguardo ad una delle opere qui proposte, “La pastora” (a suo tempo oggetto di una mia noticina), lo stesso GBS, tra l'altro, mi scriveva: “Le sono gratissimo di aver letto con tanta cordialità e partecipazione i miei versi, di cui ha colto mirabilmente il senso: la pietà di fronte allo strazio vano della vita”.
    Grazie a Pasquale Balestriere per questa, come dice Umberto Cerio, “strenna pasquale”; e grazie soprattutto per avere con forza e convinzione sottolineato il valore assoluto della produzione poetica di Giorgio Bàrberi Squarotti, produzione che, come giustamente osserva Franco Campegiani, è stata “forse ingiustamente oscurata dalla sua fama di critico”.

    Umberto Vicaretti.

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  8. Ecco un'altra voce molto autorevole che viene a rendere onore a Giorgio Bàrberi Squarotti, uomo di molti e grandi meriti.
    Grazie, carissimo Umberto, e considera riferite anche a te la riconoscenza e la gratitudine che ho espresso agli altri intervenuti per la testimonianza d'affetto verso chi ora può parlarci solo attraverso i suoi scritti, e non più - purtroppo - in altro modo.
    Pasquale Balestriere

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