In questo
periodo Maria Grazia Ferraris, assidua e proficua collaboratrice di Lèucade, ha
lavorato al catalogo Il palpito del colore. Un secolo di pittura a
Varese, che accompagna l’importante mostra di pittura appena aperta in provincia. La mostra è stata
curata da Chiara Gatti, storica e critica dell’arte, specialista di scultura e
di grafica moderne e contemporanee, che scrive per le pagine del quotidiano «La
Repubblica» e cura progetti che incrociano ricerca estetica e antropologica. Ecco
la Presentazione della Ferraris:
Il palpito del colore. Un secolo di pittura a Varese
La mostra Il palpito del colore che si è
aperta il 10 giugno 2018 a Laveno (VA) e
che nasce dalla collaborazione di alcune significative realtà culturali attive
nel territorio dei laghi varesini (Museo Civico Floriano Bodini, Museo
Innocente Salvini, Associazione Amici del MIDeC - Laveno Mombello, Associazione
Menta e Rosmarino,…) è l’ occasione per illustrare il panorama pittorico
varesino del Novecento estendendolo fino ai contemporanei, e sottolineando come
l’arte varesina abbia rilievo anche in un quadro nazionale.
È stata curata da Chiara Gatti, storica e
critica dell’arte, specialista di scultura e di grafica moderne e
contemporanee, che scrive per le pagine del quotidiano «La Repubblica» e cura
progetti che incrociano ricerca estetica e antropologia, e ha curato monografie
e testi critici dedicati a Carlo Carrà, Fausto Melotti, Alberto Giacometti,
Angelo Bozzola, Enrico Baj, Carlo Ramous …, pubblicando per la casa editrice
Bruno Mondatori. Il suo saggio critico introduttivo dal titolo “Il tessuto
delle cose terrene. Indole e umori di una pittura regionale”, che apre il bel catalogo è illuminante nella
sua chiarezza storica ed espositiva.
“Quando
Roberto Longhi curò la celebre mostra sull’arte lombarda, allestita nel 1958 al
Palazzo
Reale
di Milano, nel testo di introduzione dichiarò energicamente la necessità di
“sciogliere la cultura lombarda dagli ostinati residui del lungo complesso
d’inferiorità che l’ha costantemente tenuta in soggezione al confronto d’altre
regioni d’Italia; della Toscana soprattutto”.
Fu
grazie ai suoi studi illuminanti che l’arte in Lombardia tornò al centro degli
interessi critici, tutti
concentrati
nell’individuare un lineamento comunque, un’indole, un’identità… Volendo
affondare ulteriormente nel panorama geografico regionale, si potrebbe
individuare nel singolo caso della provincia di Varese un altro centro di
interesse, una fucina di esperienze altrettanto intense e caratterizzate da
umori comuni. Sullo sfondo di “una Lombardia umida e feconda”, distinta – a
detta di Longhi – dalla “forza di scrutinare il particolare dell’epidermide, il
tessuto delle cose terrene”, ciò che accadde sui colli verdi del Varesotto
sembra condensare nello spazio di pochi chilometri la stessa natura vitale, lo
stesso temperamento campestre.”
La geografia fisica, il paesaggio tra le Alpi,
il lago e i piccoli bacini intramorenici, le località amene a pochi chilometri
da Milano fecero per lungo tempo di questa provincia un rifugio, a due passi
dalla metropoli industriale.
Fra
Sette e Ottocento Varese fu soggetto culturale di fama, passò dal neoclassico
al liberty. Continuò nel Novecento. All’alba del secolo, molti intellettuali
scelsero la provincia come il loro luogo di riflessione e lavoro: fu legata al
mondo dell’aviazione, attività che
attrasse l’attenzione degli autori del futurismo e dell’aeropittura.
Fra
Otto e Novecento emersero figure come
Antonio Piatti, che ricorda Tranquillo
Cremona, in una versione scapigliata, inquieta, mescolata a una certa
sensibilità simbolista propria di Gaetano Previati o Oreste Albertini , erede di un’arte divisionista piena di luce e di
rifrazioni e di senso di attesa, di
melanconia, Domenico De Bernardi riprende la migliore simmetria classica
paesaggistica in un gioco di fra cielo e terra, la pittura audace di Innocente
Salvini vira verso l’acidità dei toni aspri, più espressionisti, con echi della ricerca tedesca o nordica.
Molti
dei pittori varesini studiarono a Brera
o nelle scuole d’arte di Milano, di Pavia o dall’Umanitaria ed esposero in più
occasioni alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma. Giuseppe
Montanari, marchigiano, diplomato a Brera, giunse ventenne a Varese e ci rimase
per sempre. Arturo Tosi, bustocco da generazioni, formatosi sulla scia della
Scapigliatura di Ranzoni e Cremona, diede voce a una poetica di matrice cubista
miscelata al vibrante sentimento della terra tipicamente lombarda.
In
questo ampio ventaglio di esperienze spicca il nome di Luigi Russolo, futurista
di prima ora che, al fianco di Marinetti, Boccioni, Severini, Carrà, partecipò
alle sorti della prima avanguardia storica italiana. Negli anni della maturità
arrivò a distendere le sue inquietudini
davanti al lago Maggiore, a Cerro di Laveno nell’ultimo suo periodo,
quando incrociò i suoi studi filosofici, con i colori e la sua riflessione
sulle cose. Intanto, nel cuore di Varese, crebbero cenacoli importanti per il
ritrovo di autori raccolti attorno a personalità di spicco, particolarmente
carismatiche, come Leonardo Spaventa Filippi, nel cui studio facevano tappa
amici pittori affascinati.
Enrico
Baj, dopo gli anni milanesi, elesse Vergiate come sua dimora principale,
allestendovi un grande studio immerso nel verde, Renato Guttuso soggiornò per
oltre vent’anni a Velate. Baj partecipò attivamente anche alla vita politica e
culturale varesina, mentre i suoi famosi “ultracorpi” germinavano sulle tele.
Guttuso passeggiava per le vie del centro, visitava il mulino Salvini,
presenziava alle inaugurazioni in galleria… lavorava alle cappelle del Sacro
Monte. Tutti lo chiamavano “maestro”.
Più
riservata fu la villeggiatura di Fontana, trascorsa, nell’ultimo periodo della
sua vita, sul lago di Comabbio: argentino di nascita, italiano di famiglia,
guardava lo specchio d’acqua che gli
ricordava un’ansa del Rio Negro. Un lungo portico bianco incorniciava
l’ingresso della casa, ispirato alle dimore in stile coloniale e ai patios di
Santa Fé.
Tanti
sono i casi di personaggi venuti da altre regioni e che proprio in provincia di
Varese trovarono terreno fertile per il proprio pensiero e la propria ricerca.
Franco
Rognoni fece di Luino lo scenario notturno e lunare dei suoi racconti
trasognati, ironici e visionari, Piero Cicoli, marchigiano, mescolò i colori
della sua terra e le luci terse di un paesaggio mediterraneo con la natura
verde del Varesotto, in un gioco di memorie sovrapposte in composizioni
astratte. Una specie di sintesi di un orizzonte globale e nazionale.
Da
un lato c’era chi, come Gottardo Ortelli, aderì al fronte compatto della
pittura analitica: scansioni di spazi in ritmi, linee, toni e tratteggi
rigorosi su lavagne monocrome. Dall’altro lato, si muoveva invece una pattuglia
di figurativi tecnicamente forti e poetici: Giancarlo Ossola, Albino Reggiori
che affilava verso il cielo le celebri cattedrali tradotte anche in incisione e
in ceramica, mestiere tradizionale appreso nei lunghi anni di studio dentro i
laboratori di Laveno, quando fu allievo scrupoloso di designer noti come Andlovitz e Antonia Campi.
Gli artisti attivi a Varese, legati al clima
della Milano contemporanea, hanno offerto un contributo significativo alle
sorti dell’arte in provincia, superando il limite del regionalismo e aprendosi
verso una prospettiva italiana, grazie anche ai rapporti con le gallerie di
punta o la partecipazioni ai premi nazionali, dal Castello di Masnago al caso
straordinario, internazionale di Villa Panza, dalla Fondazione Bandera di Busto
al Maga di Gallarate, simbolo di una coraggiosa scommessa di riconversione
culturale e turistica di una città industriale, “la città delle mille
ciminiere”, in un polo espositivo dalla vocazione europea.
I
nomi che oggi spiccano sono quelli di artisti che hanno raccolto e interpretato
linguaggi correnti, in chiave personale, come Piero Dorazio, Vittore Frattini o
la riflessione raffinata di Giorgio Vicentini,
che affascina col suo “linearismo di memoria orientale”. La novità introdotta
da Domenico D’Oora, “minimalista dal cuore rinascimentale”, è quella della
pittura come oggetto, del valore attribuito al supporto come parte espressiva
dell’opera.
“Fra
gli autori legati alla figura, emerge la
personalità eclettica di Luca Lischetti con i suoi teatrini, montaggi che
uniscono “citazioni baconiane con soluzioni neo-pop; riti e miti di un universo
esotico convivono in vaste stele dalla materia densa”. Parlando di scrittura e
simboli, resta fondamentale l’esperienza di Giancarlo Pozzi che ha sviluppato
un alfabeto di segni dalla matrice letteraria e la vocazione per un racconto
fatto di immagini e allegorie.
Conclude
la Gatti: “Tipicamente terrigno, erede di quelle “passeggiate in Lombardia” lodate
da Roberto Longhi nelle opere di Vincenzo Foppa, Antonio Pedretti si è
segnalato come cantore di un paesaggio madido di pioggia e di una vegetazione
selvatica resi attraverso una pittura umorale, viscerale, morlottiana. Il
percorso si chiude con un maestro per il quale, fra pittura e scultura, non
esistono fratture, ma un confine liquido. Antonio Pizzolante scolpisce e
dipinge vessilli dal gusto primigenio, insegne apotropaiche, scudi di ferro e
legno appartenuti idealmente ad antichi guerrieri, mappe celesti di origine
rupestre. Il colore della pietra sposa innesti di porpora e lapislazzuolo
portando a Varese i venti caldi di un’antichissima storia messapica.”
Chiudono
la prima parte due testi critici: “Il Futurismo a Varese” di Maria Grazia Ferraris e “Arte a Varese tra istituzioni pubbliche e
mondo privato” di Consuelo Farese, segue il catalogo delle opere di 33 pittori
con le relative biografie suddivisi in: I maestri storici, I maestri del secondo dopoguerra, I
contemporanei.
Vari
i contributi. Da segnalare il contributo
di C. Gatti su Villa Panza, posta sul
colle di Biumo superiore, che è un esempio raro di casa-museo, dove arredi
antichi convivono con opere d’arte ambientale e nei saloni un tempo “da
parata” affreschi settecenteschi e sculture
concettuali.
“La
storia di stratificazioni di questa dimora aristocratica comincia nel Seicento
con la sua originaria funzione di “casa da nobile”, diventata villa di delizia,
poi residenza privata e oggi galleria d’arte contemporanea. Trasformazioni mai
radicali, che ne hanno mantenuto la struttura a U, aperta in direzione dello
splendido giardino all’inglese, rivolto
verso l’interno privato…
Un’esigenza
di riservatezza condivisa da tutti i
proprietari, dai conti Orrigoni ai marchesi Menafoglio, dai Bossi ai Litta …”
che ha ospitato mostre eccezionali diventate, in tempi recenti, un punto di
riferimento per il mondo dell’arte, offrendo a Varese una visibilità
straordinaria oltre frontiera ( omaggio a Giorgio Morandi, una rassegna
sull’Arte povera, la personale di Christiane Löhr, Robert Rauschenberg, il
profeta pop, Roxy Paine e Bob Wilson, genio apolide per interessi,
collaborazione e diramazioni tra teatro, danza, musica, scrittura, nuove
tecnologie, autore di quadri vivi, video-portraits).
Originale
il ricordo della mostra Cara Morte di R. Oldrini che lasciò un segno per
lo sconquasso notevole che portò nel quieto vivere artistico del territorio.
Si può affermare che essa abbia, in
qualche modo, precorso i tempi, sfruttando il potere provocatorio dell’arte
concettuale aprendo il programma ad altre discipline (cinema, musica, teoria),
cosa che avvenne con l’istituzione dei Seminari di Gavirate: l’arte, la festa,
la morte.
Maria
Grazia Ferraris
Montanari,1925
Interessante excursus sui fermenti artistici più significativi, a partire dai primi del Novecento fino ai nostri giorni, in un'area, quella del varesotto, particolarmente sensibile al confronto tra cultura industriale e cultura rurale, tra provincia e metropoli, tra tradizione e innovazione. Questo scritto costituisce una preziosa indagine, un vero e proprio faro sull'ampia vetrina di artisti delle più svariate tendenze che hanno vivacizzato quei luoghi, come l'intera arte lombarda, negli ultimi cento anni, contribuendo in maniera significativa allo sviluppo dell'arte contemporanea e di tutte la avanguardie. Il ricco e ghiotto panorama pittorico prende spunto dalla mostra "Il palpito del colore" curata da Chiara Gatti e contiene in catalogo un contributo critico sul Futurismo varesino della stessa Ferraris. Complimenti vivissimi a Maria Grazia, che conferma in tal modo le sue ben note ed entusiasmanti qualità di critico militante e di intellettuale a tutto campo.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie carissimo Franco: riconfermo con amore e pazienza l'amore per le mie terre e per la cultura lombarda alla quale appartengo senza indulgere in provincialismi vari, anche se ritengo che il Varesotto dovrebbe essere meglio conosciuto.
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